Le Clofrenì
(Les Claufrenìes)
il migrante
è portante
Premessa
In poco più di 1550 parole, e in 350 versi, si intende
offrire un “percorso, o cammino, verbale” che rappresenti una visione
complessiva sul tema dei migranti.
Già nel 2014, in 2014 05 19 - I
migranti sono una risorsa. abbiamo dato una visione generale
alternativa a quello che viene troppo diffusamente presentato come problema e
che può essere tale nell’immediato breve periodo, mentre a lungo termine la
visione è del tutto opposta.
Il punto cruciale è intendere la migrazione come diretta
conseguenza delle nostre responsabilità di mondo “ricco” e al tempo stesso come
opportunità per un nuovo sviluppo sociale, economico e culturale.
Il testo nasce come testo di sinergia e connessione, già in
quanto tale utile riferimento ed esempio per future o altre prassi.
Crediamo che la tecnica adottata meriti una menzione a
parte.
Essa è di seguito descritta in sintesi.
1. Si
è partiti con l’elaborazione di uno schema in cui le parole sono state
osservate e organizzate fino a diventare versi, privilegiando una metrica di
ritmo, seppur flessibile, a scapito di un approccio da feticcio della rima.
2. Successivamente
si è proceduto a sostituire due parole di ogni verso con i rispettivi link al vocabolario Treccani.
In questo modo il poemetto
diventa un “centro di smistamento” per i motori di ricerca internet, i quali
funzionano con dei programmi detti “crawler”, che mappano proprio i percorsi e
collegamenti degli hyperlink.
Sintetizzando, se ogni parola del
poemetto si riferisce a un link Treccani che contiene almeno altre 10 parole,
le 1.500 parole iniziali (ripetizioni incluse) ne “valgono” teoricamente 15.000.
3. Ma
questa non è la parte più interessante.
Seguire gli hyperlink è prassi
delle versioni del web precedenti a quelle definite come parte del “web
semantico”, vale a dire del web che riconosce i significati delle cose. Che è
intelligente, e in quanto tale educabile.
La nostra composizione si pone quindi
anche come “significato” potenzialmente riconoscibile dalla rete e da molti.
Inoltre, essendo legata con i
link al vocabolario Treccani, se ne guadagna una associazione implicita anche
con l’enciclopedia Treccani, la quale fa riferimento al suo stesso vocabolario
per i significati delle parole usati nelle voci enciclopediche.
4. Si
ritiene che questa modalità di “ancoraggio” costituisca un “rotore semantico”,
vale a dire uno schema di pensiero (di significato) che si nidifichi nei
percorsi neurali della rete semantica e che infine possa emergere e fare da
riferimento cognitivo condiviso ricorrente e, in quanto ciò, “rotante”.
5. In
tal modo si starebbe facendo “girare” (da cui il termine di rotore, anche se
forse è più proprio dire che siamo noi e i nostri pensieri che giriamo attorno
al centro di gravità per la mente di cui più avanti) un “modo di vedere le
cose”, con tutte le conseguenze auspicabilmente benefiche, immediatamente
visibili o no, che ciò comporti.
La ritmica dei versi, serve
dunque anche a innestarsi nelle teste dei lettori, in senso lato, in maniera
più efficace di una semplice prosa.
Riferendoci al mondo della
musica, potremmo chiamare questa
modalità “effetto tecno”.
6. Il
fatto poi di avere incanalato in guide ritmiche il flusso delle parole,
dovrebbe servire proprio a fornire un percorso semantico (una determinata
successione di parole la quale ha un suo significato preciso e che, come
un’idea, sia rappresentabile da una determinata mappa di connessioni tra
neuroni) di facile memorizzazione e pronta ripetizione.
Caratteristiche, queste, tipiche
di quelli che chiamiamo memi, i quali sono meglio riconoscibili in alcune loro
configurazioni specifiche : i tormentoni.
A questo punto si deve ricordare
che ogni parola o pensiero (oltre ad azioni, letture, significati e altro)
determina una piccola onda gravitazionale, che già fu definita ne “ 2015
06 30 - Una "lecca" semantica - La tetralogia di Clò - Mini guida
alla Civiltà dell' intelletto ” come
“incisione in gravitone”, la quale proprio in quanto alterazione del tessuto
(campo) gravitazionale in cui avviene, determina un “peso”.
Ad ogni ripetizione di pensiero,
parola e altro, dovrebbe corrispondere una sovrapposizione a quella di
mappatura del “rotore” originario e in questo modo si passa dal metaforico
concetto di parole di peso, pensieri pesanti e così via, ad una spiegazione su
base fisica di questi modi di dire comuni.
L’utilità di “accumulare peso
semantico” può essere riconducibile anche a fenomeni macroscopici e osservabili
come uno spostamento organizzato su Milano (nel nostro caso) di un più grande
centro di gravità per la mente collettiva, ad esempio misurabile in correlati
fenomeni atmosferici (o per meglio dire della neurosfera) e orbitali riconoscibili anche a occhio nudo.
Il peso semantico servirebbe
infine anche a dettare una rotta, la quale sia fatta da un solco nel vinile (la
terra gira, i satelliti girano, per questo c’è il riferimento al giradischi)
del campo gravitazionale di cui prima, il quale solco determini per sua stessa
natura un punto di attrazione, probabilmente sempre gravitazionale, a beneficio
di possibili pensieri più o meno erranti nei quali possa dibattersi il pensiero
comune.
Con il passare delle “solcate”, e
contrariamente a un disco di vinile, il solco diventerà più marcato ciò che
determinerà sia una maggior forza di attrazione gravitazionale, sia una maggior
risonanza delle vibrazioni emesse durante il passaggio nel solco stesso. Vale a
dire che si sentirà più forte.
Sempre più voci “canteranno” la
stessa canzone, magari iniziando da singole strofe le quali li guidino poi nei
sentieri di retrieving del resto della storia, saltando di archetipo in
archetipo (direbbe Jung) in una successione che noi avevamo già apposta
consequenzializzato nel “rotore iniziale”.
Se tutto funziona, il rotore
semantico diventa quindi una sequenza memetica di archetipi.
Una catena di basi archetipiche
replicabili che possiamo anche chiamare una sequenza di DNA pensativo.
Se invece non fosse così, che
dirvi : bella lo stesso la storia.
Buono il tentativo.
Hi, hi.
7. Infine,
una notazione su chi scrive, il quale sarebbe una sorta di tramite.
Forse una sorta di medium,
termine che letteralmente vuol dire sia “che sta in mezzo” (nel nostro caso tra
tutti, con le loro coscienze individuali, e la coscienza collettiva) e sia
“strumento”, proprio di retriving di quello che la mente collettiva pensa o ha
pensato o forse penserà (anche i pensieri passati e forse futuri restano
incisi, o sono già incisi, nel campo gravitazionale).
Una sorta di imbuto dentro cui si
riversino i messaggi generati dalle vibrazioni gravitazionali di cui in
precedenza.
In tal senso non ha merito
alcuno, se non quello di stare a ricevere ciò che arriva e metterlo in ordine.
Questo è il motivo per cui non
gli piace apparire ne prendersi particolari meriti per quello che fa.
Non è quindi un vezzo, quanto un
modo per educare.
In tal senso il medium è egli
stesso pedagogo.
Un personaggio importante, di cui
non ricordiamo il nome, disse una volta che il problema della televisione e dei
suoi programmi era che determinava il fatto che il medium (la televisione)
diventava esso stesso il messaggio.
Ecco.
Ricordatevi che il medium non è il
messaggio.
In questo caso specifico
ricordatevi delle idee (o forme, schemi, memi, percorsi neurali, archetipi et
cetera : il concetto è sempre lo stesso) e non di chi le ha scritte.
Il culto della persona, così
diffuso oggi nel nostro mondo con il preciso intento manipolatorio di
testimoniare una possibilità di successo o emersione a portata di tutti, anche
se di fatto solo in apparenza, non ha futuro nella civiltà dell’intelletto.
Il MIGRANTE E’
PORTANTE
5.
10.
15.
20.
25.
30.
35.
40.
45.
50.
55.
60.
65.
70.
75.
80.
85.
90.
95.
100.
105.
110.
115.
120.
125.
130.
135.
140.
145.
150.
155.
156.
Si, partire dall’Eurasia,
160.
165.
170.
175.
180.
185.
190.
195.
200.
205.
210.
215.
220.
225.
230.
235.
240.
245.
250.
255.
260.
265.
270.
275.
280.
285.
290.
295.
300.
301.
All’opposto Buda e
Pest
305.
310.
315.
320.
325.
330.
335.
340.
345.
2014 05
19 - I migranti sono una risorsa. Si dovrebbe cercare di pensare a come farli entrare e non a come
tenerli fuori.
Testo originale
completo di immagini a :
Io sono un privilegiato.
Alcuni migranti li ho potuti conoscere di persona. E non
soltanto di sfuggita in qualche centro di accoglienza come Lampedusa. Ma
vivendoci insieme.
Ne arrivarono una ventina presso le varie sedi
dell’Associazione Comunità il Gabbiano Onlus quando ero ospite anche io. Da
Burkina Faso, Bangladesh, Nigeria e non ricordo più da dove altro.
Tutti erano partiti dalla Libia, dove c’era la guerra, dopo
giorni ad aspettare sulla spiaggia senza cibo ne acqua. Molti su quella
spiaggia ci erano arrivati dopo settimane di viaggi indescrivibili attraverso
varie porzioni d’Africa.
Tutti avevano storie simili di povertà e di terrore.
E tutti avevano lo stesso miraggio della terra promessa, ma
senza alcuna illusoria speranza. Erano tutti rassegnatamente, eppur
dignitosamente, consapevoli della loro disperazione.
Dei circa 20 che furono allocati al Gabbiano, 5 gravitarono
sulla struttura dove risiedevo anche io, e ci trovammo a vivere nello stesso
appartamento per 3 o 4 mesi.
E’ stato bello. E molto istruttivo. Come per tutte le cose,
un conto è la teoria e un altro conto è la pratica. Viverci insieme è stato un
bagno di umiltà e una fonte di ispirazione.
La prima cosa che mi colpì fu che nonostante fossero rimasti
alcune settimane a Lampedusa, nessuno si era degnato di insegnare loro una
parola di italiano. Non sapevano dire nemmeno cose banali, come ho fame, ho
sete e simili.
Nessuno aveva pensato a dedicare un soldato, un infermiere,
un volontario qualsiasi ad insegnare loro i rudimenti linguistici della terra
promessa.
Voleva dire che già in partenza tutti, tutto il sistema,
davano per scontato che fossero intrusi e che in un modo o nell’altro dovevano
sparire.
Mi inventai dunque un corso improvvisato di italiano. Tutti
erano avidi di quelle poche parole che iniziai a spiegare loro. Ricordo che
fogli e penne sembravano un enorme dono. Ci intendevamo a gesti o in francese
con alcuni di loro. Le grottesche “lezioni” si tenevano sui prati della
comunità.
Io ero anche scostante. Li guardavo e mi chiedevo cosa
sperassero di trovare in Italia. Non c’è speranza per tanti italiani
figuriamoci per loro. In ogni caso per mia natura ero un insegnante “cattivo” :
mi incazzavo con chi non stava attento o con chi non imparava in fretta. Il che
tutto sommato mi sembra un atteggiamento “paritario” senza false ed ipocrite
indulgenze, di per se razziste.
Comunque dopo qualche tempo, essendosi un po’ meglio
adattati ed ambientati, si decise che potevano partecipare ai lavori della
comunità. Tutti lavori manuali: da pratiche agricole a manutenzioni degli
immobili.
E a quel punto io, e molti altri ospiti, ricevemmo il giusto
contrappasso da nemesi razziale.
Mi ricordo che un giorno stavo zappando l’orto e Nufu, dal
Burkina Faso, mi guardava.
Mi accorsi che sorrideva.
Dopo un po’ mi si avvicinò e a gesti, perché avendo circa 40
anni era uno degli allievi più recalcitranti del corso di italiano, mi spiegò
che voleva fare lui. Che voleva zappare lui.
Io gli diedi la zappa e mi misi a guardare.
Gambe parecchio divaricate, ginocchia piegate e baricentro
basso, prese la zappa e iniziò a “mitragliare” zappettate ad una velocità
incredibile. In 10 minuti finì quello che io avrei fatto in un’ora. Certo: io
non sono un contadino, ma garantisco che anche rispetto ai contadini italiani
che ho conosciuto in vita mia, Nufu era un “fuori categoria”.
E così tutti gli altri.
Tempo dopo, quando iniziammo a capirci meglio, mi spiegò che
fare il contadino era il suo mestiere.
E ne era ben fiero. Come dimostra il fatto che mi volle far
vedere come si faceva.
Un sano e commovente “orgoglio zappatore”.
Mi raccontò che a casa, sua per potere coltivare, doveva
scavare a mano un pozzo profondo parecchi metri ogni settimana. Lo aiutavano i
suoi bambini. Non gli pareva vero di potere innaffiare con la pompa. Il che è
una bella dimostrazione di relativismo: quello che per noi è scontato per lui
era un sogno.
E mentre lui, nel suo “paradiso irriguo”, innaffiava,
innaffiava, innaffiava, io iniziai a capire due cose.
La prima era che il mio atteggiamento iniziale improntato a
“cosa sperano di trovare in Italia” era intrinsecamente etnocentrico: ragionavo
con le mie “categorie” che per loro erano assolutamente incomprensibili e
inadeguate. Per loro il paradiso era l’acqua corrente, tanto per capirci.
La seconda era che tanta “perizia”, oltre alla forza,
resistenza e adattabilità, erano un dono del cielo. Che bisognava almeno
provare a capire come metterla a frutto perché per noi italiani oramai era
“storia dimenticata”.
Il “nostro” occidente tende sempre più a “smaterializzarsi”,
ma la civiltà materiale è pur sempre la base su cui poggia tutto il resto.
Da queste riflessioni nascono gli spunti seguenti. Credo
innanzitutto che sia utile circostanziare la questione, perché troppi proclami
vengono “sparati” senza che siano supportati dai fatti. Anche se presumo che i dati siano noti ai
nostri governanti, a noi gente comune non vengono quasi mai comunicati nel loro
quadro di insieme.
Le fonti sono tutte ufficiali : Istat per lo più. I grafici
e tabelle sono tutte a fine scritto.
Infine una precisazione: migranti e stranieri non sono lo
stesso concetto. I dati disponibili riguardano la seconda categoria.
Molte cose sono note se non banali, ma ciònonostante vederle
tutte insieme può forse contribuire a fornire un quadro diverso.
Si tralascia qui ogni aspetto etico, seppur fondamentale.
Si tralascia anche ogni considerazione su una pur benefica
“mescolanza genetico-razziale” che i flussi in entrata portano alla nostra
cultura ed “etnia”.
Ci si concentra su questioni di fatto comunemente ritenute
pregiudizievoli. E si ipotizza una possibile soluzione.
- Gli stranieri compensano il calo demografico nazionale
Dal 2002 al 2014, la popolazione straniera residente in
Italia è passata da 1,3 a 4,4 milioni di persone.
Nello stesso periodo la popolazione italiana totale è
risalita da 57 milioni a quasi 60.
Il trend di immigrazione ha quindi bilanciato il calo
demografico “nazionale”.
- Gli stranieri sono relativamente integrati
Dalla tabella CONFRONTO ITALIANI-STRANIERI - FONTE ISTAT, riportata integralmente in
coda emergono alcuni dati significativi evidenziati in rosso.
La tabella è per altro riportata per intero a fine di
possibile comparazione “sociologica” da parte di chiunque.
Il quadro che emerge è, a giudizio di chi scrive, di relativa
integrazione e relativa comparabilità di larga parte di questi indicatori.
Ciò testimonia la “capacità di accoglienza” Italia che in
dieci anni ha assorbito 3 milioni di stranieri.
- Gli stranieri generano reddito e imposte
Spesso si dice quanto al paragrafo seguente : “ci pagheranno
le pensioni”. Di reddito e tasse non si parla mai. Con riferimento ai dati in
rosso della tabella a fine scritto emerge che i 4 milioni di stranieri sono
aggregati in circa 1,6 milioni di famiglie (stante la famiglia media di 2,44
persone).
Con un reddito familiare di 12.400 euro circa (anche se il
dato è del 2008), gli “stranieri” producono reddito per circa 20 miliardi di
euro.
Assumendo un livello di imposizione medio del 20%, che tra
imposte dirette e indirette appare prudenziale, ciò vuol dire che gli
“stranieri” hanno prodotto entrate fiscali allo Stato per oltre 4 miliardi di
euro.
In un contesto in cui si fanno manovre per importi anche
molto inferiori è un dato che si dovrebbe tenere più presente.
- Gli stranieri sono giovani
L’età media degli stranieri è di 32 anni contro 45 degli
italiani e la percentuale di over 65 è di appena il 2% contro il 22% italiano.
Questo dato “alimenta” il luogo comune che gli stranieri
ci pagheranno le pensioni. Come tutti i luoghi comuni è fondato su dati reali.
- Gli stranieri non sono delinquenti
Con 78.000 condanne rispetto alle 150.000 italiane gli
stranieri sono evidentemente a maggior tasso di criminalità, ma :
- marginale rispetto al totale (78.000 / 4.000.000 = 2%)
- probabilmente se si considerassero solo le fasce più disagiate di italiani la situazione italiani/stranieri apparirebbe più simile.
- Una possibilità di accoglienza agricola ?
Prendendo spunto dal racconto iniziale e riferendosi alla
situazione agricola nazionale si osserva che dal 1982 al 2010 in Italia si sono
persi 5,3 milioni di ettari di Superficie Agricola Totale (SAT) e quasi 3
milioni di Superficie Agricola Utilizzata (SAU). (Istat – Censimento Agricolo).
Territorio - SAU - HA
|
SAU 1982
|
SAU 1990
|
SAU 2000
|
SAU 2010
|
D 2010 - 1982
|
Italia TOTALE
|
15.832.613
|
15.025.954
|
13.181.859
|
12.856.048
|
-2.976.565
|
|
|
|
|
|
|
Territorio SAT - HA
|
SAT 1982
|
SAT 1990
|
SAT 2000
|
SAT 2010
|
D 2010 - 1982
|
Italia TOTALE
|
22.397.832
|
21.627.667
|
18.766.583
|
17.078.307
|
-5.319.525
|
|
|
|
|
|
|
SAU/SAT
|
SAU/SAT 1982
|
SAU/SAT 1990
|
SAU/SAT 2000
|
SAU/SAT 2010
|
|
|
70,7%
|
69,5%
|
70,2%
|
75,3%
|
|
Dei 17,078 milioni di ettari di SAT del 2010, 647.789 sono
classificati come Superficie Agricola non Utilizzata.
Se si ipotizzasse di suddividerli in appezzamenti da 10
ettari ciascuno, si avrebbero quasi 65.000 potenziali nuove aziende agricole.
10 ettari potrebbe essere una dimensione plausibile di
sussistenza. In coda si riportano anche i dati di distribuzione delle aziende
italiane per classe di dimensione.
Si consideri che il reddito medio familiare degli stranieri,
come evidenziato in tabella Istat, è di 12.000 euro. Replicarlo nel contesto
agricolo delle aziende da 10 ettari vorrebbe dire ricavare 1.200 euro ad
ettaro. Possibile.
I terreni potrebbero anche essere condotti in affitto da
proprietari privati, considerando che gli affitti dei terreni agricoli non sono
particolarmente onerosi, e spesso sono risibili.
Se tali aziende fossero condotte da famiglie di 3 persone si
avrebbero quasi 200.000 possibili “posti” di accoglienza.
Se poi si ampliassero le superfici disponibili, anche
utilizzando terreni demaniali o terreni non già classificati come “non
utilizzati” il potenziale si amplierebbe ulteriormente.
La tabella seguente ipotizza alle ultime 3 righe di impiegare
4 milioni di ettari. Le persone
“accoglibili” diventerebbero 1,3 milioni.
Azzardo anche un paradosso volutamente iperbolico: per
un’Italia multirazziale da 70 milioni di persone si potrebbe anche disboscare
un po’ di demanio. Un po’ di disboscamento in più forse Madre Natura Rediviva
riuscirebbe a sopportarlo e compensarlo.
647.789
|
SAT
Non utilizzata
|
64.779
|
Nr.
aziende da 10 ha
|
194.337
|
3
persone per azienda
|
|
|
4.222.259
|
Differenza
SAT-SAU
|
422.226
|
Nr.
aziende da 10 ha
|
1.266.678
|
3
persone per azienda
|
Si tenga presente che i benefici
possibili sarebbero in termini di :
- qualificazione e utilizzo del territorio
- generazione di reddito e imposte
- produzione agricola nazionale e minor importazioni dall’estero
- La questione abitativa
Il deflusso dalle campagne, oltre ai terreni inutilizzati,
lascia anche abbandonato un patrimonio immobiliare spesso di valore storico.
Una possibilità da considerare sarebbe quella di dare in uso
ai neo-coloni strutture abbandonate, che vengano ristrutturati da essi stessi
“in economia”. Come già detto queste persone sono spesso brave in tutto quello
che è manuale
Anche in questo caso i vantaggi sarebbero innanzitutto di
riqualificazione del territorio che attualmente appare spesso “desertificato”.
Come per i terreni anche gli immobili potrebbero essere
condotti in affitto da proprietari privati, considerando che gli affitti
agricoli non sono particolarmente onerosi, se non risibili. Con l’ulteriore
vantaggio di trovarsi le proprietà
“rivitalizzate”.
- Far west e pionieri italiani
Come sarà evidente, quanto sopra non è un’idea nuova. Il più
lampante esempio pregresso è la corsa al west del Nordamerica.
Ovviamente il contesto italiano è molto più piccolo e
iniziative di “ripopolamento” delle campagne sono già giustamente patrocinate a
favore dei cittadini italiani. A titolo esemplificativo si riporta qui di
seguito un articolo del 2013.
Ciò rende necessaria una valutazione di “capacità ricettiva”
per tutti da parte delle nostre campagne.
E’ pur vero che non molti italiani riescono poi di fatto a
percorrere il cammino del “controesodo”, come testimonia il fatto che la
maggior parte dei lavori di manovalanza agricola è già oggi realizzata da
personale straniero.
E’ quindi auspicabile pensare ad una convivenza pacifica.
- Un business plan
Sembra
che la Cassa Depositi e Prestiti stia prendendo
il posto che la Protezione Civile ricopriva (e forse ricopre
ancora) qualche anno fa, cioè quello di ente soprannaturale, al quale affidare
ogni tentativo di “strategia di sviluppo e ripresa” nazionale. Come andò a
finire per la Protezione civile è ormai chiaro a tutti: abusi, truffe e
grandi regali agli amici di amici. Quante sono le possibilità che la Cdp
viaggi su binari diversi ?
Dal Manifesto del 31 maggio 2013,
articolo di Marco Bersani:
Secondo l’Agenzia del Demanio,
che utilizza i dati del Censimento per l’ Agricoltura 2010, l’estensione dei
terreni agricoli demaniali in Italia ammonta ad oltre 338.000 ettari, per un
valore che oscilla fra i 5 e i 6 miliardi di euro.
Un patrimonio importante che, grazie alla sua equa distribuzione
geografica, consentirebbe la messa a punto di un progetto nazionale per una
diversa agricoltura, per una conseguente salvaguardia e manutenzione
idrogeologica del territorio e per il rilancio di nuova occupazione, in
particolare giovanile, durevole e di qualità.
Riflessioni che non sfiorano
l’attuale Ministra dell’Agricoltura De Girolamo, che ha recentemente incontrato
i vertici dell’Associazione bancaria italiana (Abi) e il presidente della Cassa
Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, per mettere a punto un programma di
“valorizzazione” e (s)vendita dell’immenso patrimonio agricolo demaniale.
Replicando
quanto sta già proponendo agli enti locali in merito alla svendita del
patrimonio immobiliare, Cassa Depositi e Prestiti avrebbe la funzione di
assegnare un prezzo ai terreni demaniali, di acquisirli consentendo allo Stato
di fare cassa e di metterli successivamente sul mercato.
Incredibile l’obiettivo dichiarato dalla Ministra De Girolamo : «(..)
un’occasione per sbloccare la situazione e mettere nuovi terreni a disposizione
soprattutto dei giovani, perché senza terra da lavorare non è possibile pensare
ad un vero rilancio del comparto».
Altrettanto
incredibile è che per questo ulteriore processo di colossale espropriazione di
patrimonio pubblico si utilizzino le risorse del risparmio postale affidato dai
cittadini alla Cassa Depositi e Prestiti.
Davvero si pensa che i giovani disoccupati (oltre il 35%) siano
provvisti di capitale e non attendano altro, per trasformarsi in futuri
agricoltori, che divenire proprietari dei terreni da coltivare?
Davvero
si pensa che privare la collettività del bene terra, di inestimabile valore
pubblico e sociale, corrisponda a «servizio di interesse economico generale»,
qualifica cui dovrebbe attenersi ogni investimento di Cassa Depositi e Prestiti
(art. 10, D. M. Economia 6/10/1994)?
Possibile che non si pensi ad un piano per un’agricoltura di qualità e
per una nuova occupazione giovanile attraverso il mantenimento della proprietà
collettiva del demanio agricolo, l’affidamento dei terreni ai giovani con
affitti calmierati e l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti per il sostegno
dell’avvio di attività (start up di impresa) e dei primi investimenti in mezzi,
tecnologie, impianti e sementi per consentire alle diverse nuove aziende un
funzionamento a regime?
Ancora una volta l’obiettivo è
quello di consegnare patrimonio pubblico alle banche e beni comuni alla
speculazione finanziaria, con il paradosso di renderlo possibile attraverso
l’utilizzo dei risparmi dei cittadini.
La
socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti e la sua gestione territoriale,
democratica e partecipativa diventa un obiettivo sempre più urgente, che da
oggi dovrà vedere coinvolte in prima fila tutte le esperienze e reti dell’altra
economia, dei gruppi di acquisto solidale, dell’agricoltura autogestita e di
qualità, del commercio equo e solidale.
*Attac
Italia
Su Agro Notizie
compare un’alternativa alla s-vendita del demanio agricolo, così come
presentata dalla De Girolamo:
”
(…) Posta come unica strada possibile, quella della vendita
dei terreni agricoli demaniali avrebbe diverse alternative.
Tra queste, la possibilità di affidare, come da più parti proposto, i terreni a
quanti, magari giovani sprovvisti di capitale
iniziale ma ricchi di capacità, preparazione universitaria specifica e idee
spesso all’avanguardia, in grado di restituire ai terreni una funzionalità
non solo agricola ma anche sociale e paesaggistica.
In tal modo, grazie ad affitti calmierati, allo sviluppo di nuova occupazione e
alla nascita di nuove attività imprenditoriali che andrebbero a contribuire al
rilancio economico del paese, lo Stato otterrebbe un beneficio economico
duraturo ma, soprattutto, non si priverebbe del bene terra, di inestimabile
valore pubblico e sociale, strappandolo alle fauci della cementificazione da
cui, con la sua vendita, prima o poi potrebbe essere azzannato. “
Fonte : http://www.istat.it/it/immigrati