sabato 26 febbraio 2022

2022 02 26 – Si vis pacem

 2022 02 26 – Si vis pacem

 

Per quello che serve qualcosa bisogna scriverla.

Mi ero promesso di non partecipare al circo delle voci ed opinioni che itinera per tutto il mondo, anche perché l’unica verità è che nessuno sa dove potremmo andare a finire.

Evitiamo allora di partecipare all’orgiastico egotico orgasmo di analisi più o meno fondate, se non per questo piccolo commento.

Ecco che dopo l’attacco, Putin “il lucido” inizia ad essere taggato di follia.

Una sorta di virale patologia nazionalsocialista in questa nuova salsa che credevamo impossibile e che lo ha colpito di improvviso prendendo tutti alla sprovvista.

Ma credo si debba notare che l’origine è sociogenetica ed inizia secoli se non millenni fa.

Il dato di fatto è che l’Europa, ammesso che abbia senso individuarla così, è il continente, o uno dei, più belligeranti della storia dell’umanità.

A stare in pace pare proprio che non ce la faccia.

E così le responsabilità affondano le radici nella storia e sventolano le chiome al vento dell’incertezza.

E’ semplicistico forse dire che gli Usa ci hanno messo del loro per umiliare la apparentemente finita potenza sovietica dopo il crollo dell’Ussr, con una sistematica attività di erosione dei confini russi che gli americani li ha portati a qualche chilometro di pianura da Mosca.

Eppure le cose semplici di solito hanno un fondamento.

Come è semplicistico chiedersi che bisogno c’era di continuare la corsa Nato, per altro mondiale, agli armamenti con la figliazione continua e programmata di ogni ben di Dio distruggitore, fino a missili spaziali e centinaia di nuove testate nucleari fungine.

Eppure io credo che sia davvero così semplice.

Oggi disponiamo di un arsenale di guerre tale, che non vale nemmeno più il trito aforisma di Einstein.

La terza guerra mondiale, ma a pezzi, annunciata tempo fa dal solo Santo Padre, si può fare in una miriade di modi l’ultimo dei quali è quello che ci porterà alle famose clave. 

Se ci arriviamo, fino all’olocausto.

Guerra tradizionale, ma oramai hi tech

Guerra dei cieli e dei mari

Guerra del gas e materie prime

Guerra cyber e dei dati e informazioni

Guerra finanziaria

Non so, forse ne dimentico qualcuna, ma il punto è che ce ne è da divertirsi.

Sembrava che 70 anni di pace fossero per sempre, e invece ci troviamo proiettati nell’incubo senza nemmeno sapere da dove arriverà il pericolo di un attacco che spacchi il delicato perverso equilibrio che ci tiene in piedi.

Noi Europei poi siamo abituati a crederci un centro del mondo, e d’improvviso ci riscopriamo terra di conquista, conquistata ed asservita a giochi più grandi.

E quindi condannando ovviamente l’invasione russa, come tutti siamo buoni a fare, la domanda è :

“Si vis pacem, che amma fa’?”

Rivoluzioni? No

Colpi di Stato? No

Riarmamenti? No

E quindi?

Revoluzione, delle farfalle di sopramezzo.

Ci resta che iniziare a pregare, che è quello che sta succedendo in tutto il mondo.

Si prega in mille modi, non solo in chiesa.

Dalla sobrietà di esternazioni alle proteste di piazza, alimentando la neurosfera di pensieri degni della civiltà dell’intelletto.

Mi scopro papale e confido nella forza del pensiero e nella sua capacità di instradarsi.

Non solo per l’Ucraina.

Ma ora e sempre.

E forse un giorno ci sveglieremo nell'era del brucomente

Si vis pacem, òra pacem.

Kalimmudda òra pacem

Generale la guerra è finita


domenica 20 febbraio 2022

2022 02 22 – Aperture e chiusure

 

2022 02 22 – Aperture e chiusure

 

Per www.parolebuone.org : apertura

Quando e’ iniziato il Covid ero appena uscito da un ricovero.

Ricovero e’ clausura.

E io era come se avessi anticipato l’esperienza di due anni di lockdown e limitazioni.

Ho esultato all’idea che il Covid cambiasse le nostre abitudini.

Meno mobilità.

Meno consumi.

Meno presunto benessere.

Meno droga sociale in genere.

E così via.

Poi sono arrivati i primi morti.

E tutti giù chiusi in casa.

E io ancora chiuso nel mio bozzolo a festeggiare l’arrivo del nuovo mondo.

Col passare del tempo la chiusura diventava sempre più abitudine.

E io escludevo controindicazioni, tutto pieno di soddisfazione per la novità che mi sentivo congeniale.

Passarono i mesi e poi gli anni e arrivò il momento di cedere al vaccino per potere riuscire a uscire in quella tanto denigrata normalità di prima.

E uscìi per andare in ufficio la prima volta.

Mi ricordai che all’uscita dal ricovero mi disserro che mi dovevo abituare alla non clausura.

E io pensavo che i matti erano loro.

Voglio uscire, basta varcare la soglia ed e’ fatta.

Invece appena fuori mi sentìì tutto il peso della neurosfera gravare su di me centro di gravità per la mente.

Ricordo una sensazione di peso alterato che mi zavorrava il giro dell’isolato, accompagnato da un operatore che mi continuava a dire che era normale.

Ecco, l’uscita dal lock down mi ha dato la stessa sensazione.

Il cambio di spazio comportava un cambio di gravità che mi faceva voglia di tornare all’ambiente leggero e coperto perche’ chiuso protetto.

Ma poi e’ passato, direte voi.

E invece no.

Adesso coltivo un sogno autarchico.

Apertura zero, praticamente

Chiuso sotto il tetto di casa, immagino cosa serva per non uscire più di casa.

E lo faccio in condizioni estreme, con l’incubo di non avere più soldi.

Penso che bisogna pagare il condominio, e si può evitare che non credo mi possano sfrattare.

E’ casa mia.

Niente luce, seguiamo i ritmi naturali e ci disintossichiamo anche dai media spazzature.

Del gas si può fare a meno.

Senza caldo e cucina non so perche’ mi viene in mente sempre il dottor Zivago.

Il giardino lo adibisco a orto, almeno le patate dovrebbero uscire.

E poi il tocco di genio.

Mi servono proteine, ci metto le galline.

Chissà come me la riderei a portarle al guinzaglio a fare la passeggiata dell’isolato tra lo stupore dei piccolo borghesi di zona.

Nel frattempo causa attacchi d’ansia mi hanno dato degli antidepressivi.

Evidentemente la mancanza di apertura non da soddisfazione che dura.

E autarchico non si può essere, se non nei sogni.

Quindi mi tocca essere sociale.

E riprendere a contribuire a sorreggere la neurosfera onde evitare che il cielo ci cada sulla testa.

Non chiuso per ferie.

Aperto post ferie.

Ma disadattato.

Kalimmudda ipsum dixit

L'autistico



domenica 6 febbraio 2022

2022 02 06 - Domani

 2022 02 06 - Domani

 

Per www.parolebuone.org

Quando ero piccolo avevo spesso periodi di forte ignavia.

Vale a dire che mi prendeva una pigrizia cosmica.

E io non riuscivo a trovare motivazioni, o giustificazioni, per fare nulla.

Mia madre se ne usciva controproducente con varie frasi fatte che manco ricordo più.

Roba tipo comincia  presto che il mattino ha l’oro in bocca.

Prima cominci prima finisci

E cose simili.

E poi c’era la mia preferita.

Non fare domani quello che puoi fare oggi.

Si riferiva soprattutto allo studio, attività che non mi ha affascinato mai troppo da piccolo.

Io che bastian contrario ci sono nato, non mi facevo scappare mai l’occasione.

E rispondevo senza farmi sentire.

Ti sbagli mamma.

Il detto dovrebbe essere non fare oggi quello che puoi fare domani.

Perché affannarmi tanto se domani è un altro giorno a disposizione

Con gli anni il bastian contrario si contrariò da solo

Pur non  ricordando di avere ricevuto grandi punizioni, non so per quale archetipo emerso dal subconscio iniziò a montarmi l’ansia contraria.

Forse tutte quelle ripetizioni si erano innestate comunque nei miei neuroni della pigrizia, blindandoli dentro il bisogno di fare e non lasciare sospesi.

In modo da avere sempre un domani pieno di opportunità.

Il domani divenne fonte di speranza.

Cessando di esserlo di ansia.

Una diversa interpretazione di tempo, come se viaggiasse col riavvolgimento e non con lo scorrimento.

Con la crescita, e le esperienze manicomiali, la ricerca di consapevolezze accompagnò il bisogno di capire tante cose.

Per poi spesso dimenticarle.

Tra queste questa questione del tempo, tale per cui oggi non è domani.

Ecco in manicomio non vale più.

E io mi chiedevo perché

Oggi, domani, ieri, scorrevano tutti uguali

E anche il domani si affaticava a portare speranza.

Perché?

E leggendo di qua e leggendo di là incappai in alcune teorie sul tempo tra cui due opposte.

La prima è che il tempo è una dimensione che abbiamo connaturata nella coscienza.

E la seconda, molto bastian contraria, che il tempo non esiste ma è solo una convenzione con cui misuriamo le variazioni dello spazio.

Questa seconda mi irradiò e io la scelsi per provare a cercare un domani sapendo che non dovevo cercare nelle lancette di un orologio ma piuttosto nel giro di luce di un giorno attorno al sole.

A quel punto il tempo si fermava, o meglio cessava di esistere, e le variazioni dello spazio circostanti diventavano irrilevanti.

La prospettiva non era più quella del domani, ma piuttosto quella di riempire gli spazi che mano a mano si presentavano .

Fare una cosa in un certo “momento” e poi un'altra in un altro “contesto” e così via.

Partendo da mattina per arrivare ad un'altra mattina.

Forse c’entrava quel tormentone del aggrapparsi al qui e ora a cui venni spesso sottoposto in vari gruppi di recupero.

Non saprei, ma una cosa mi strabilia, come spesso capita con le parole.

Domani viene dal latino di mane.

Di mattina, come se preparandosi bene a riempire lo spazio mattutino, il resto della giornata venisse poi da se.

E quindi?

Chiosa alla franzosa: obligatuàr

E quindi:

“domani è un altro giorno”.

Tutto qua.

Chi vuol esser lieto sia.

Del diman v’è si certezza.

 

Kalimmudda de Medici

Bandabardò Fuori orario