sabato 30 agosto 2014

2014 08 29 – Geopolitica, insiemistica imperiale, commercio e guerre.


2014 08 30 – Geopolitica, insiemistica imperiale, commercio e guerre.

Il commercio fa progredire il mondo
Ho già detto quanto segue in questo primo paragrafo. Mi riservo ulteriori analisi quantitative.
L’insiemistica imperiale ha come area di sovrapposizione proprio quella degli scambi commerciali, che sono una larga parte del totale di attività economiche mondiali.
Si deve ricordare che storicamente, dalla notte dei tempi, l’essere umano commercia.
E commerciando scambia cultura, conoscenza reciproca, informazioni e infine contribuzione di pace.
Il commercio internazionale è fonte di progresso e stabilità. Anche se a volte sembra, e spesso è, una guerra.
Maggiori sono le interconnessioni commerciali, minore è la probabilità di farsi una guerra reale.
Gli interessi economici in ballo smorzano l’utilità economica di una guerra.
I secoli bui, il medioevo, sono quelli in cui c’è molto meno commercio.
Dove l’autarchia diventa autoreferenza. E l‘autoreferenza è geneticamente implosiva.
Chissà chi riesce già a vedere il nesso con la civiltà dell’intelletto e l’unità di scambio relativa: il Neuro.

La terza guerra mondiale e le altre
Tutto questo è la premessa. Adesso vorrei osservare quanto segue.
1.    Di recente il Papa, riferendosi a tutto quello che sta succedendo in Medio Oriente, in Russia e Ucraina, in Nord Africa e così via ha detto che è in corso la terza guerra mondiale. Impossibile dargli torto. Ma purtroppo questa non è la sola terza guerra mondiale in corso.
2.    Alcune persone informate sui fatti sostengono poi da tempo che la guerra fisica sarà quella con i droni. Portatori di morte e distruzione per “delega”. Con sempre gli stessi a pagare. Quelli del punto 1.
3.    Le stesse persone continuano poi a segnalarmi la reiterata manifestazione di episodi di cyber-war, guerra informatica, attacco alle reti e simili..
4.    Ultimo livello di una possibile war-escalation è la guerra finanziaria. Potenzialmente più dannosa di quelle fisiche.
Di recente Putin ha fatto anche riferimento a qualche sorta di riarmo nucleare.
Uno spettro portatore di terrore che speravamo non sarebbe più stato attuale.
Ma c’è un motivo per cui io non credo (o forse non voglio credere) a una definitiva deflagrazione.
Ed è proprio l’interconnessione del mondo che conosciamo.
E’ uno step successivo all’interconnessione esclusivamente commerciale, ma è lo stesso concetto di fondo.
In questo mondo, più che mai, nessun soggetto che portasse un attacco globale di qualsiasi genere potrebbe dichiararsi vincitore.
Le conseguenze tornerebbero indietro annientando qualunque “first striker”.
Come nella guerra fredda, ma più velocemente e più diffusamente.

I macroblocchi e le guerre
Dei 4 livelli di guerra sopra identificati, secondo me quello potenzialmente più devastante sarebbe quello finanziario.
Non solo per le immediate conseguenze materiali, ma soprattutto per l’annientamento in un solo colpo di tutto il modello di vita occidentale.
Un super 1929.
Da cui non ci rialzeremo mai più.
Se iniziasse una guerra fisica, dopo si potrebbe ricostruire.
La distruzione del modello socio-economico invece non sarebbe rimediabile.
Un sistema costruito per stratificazioni successive in 200 anni e più (se non millenni), non potrebbe più essere ricostruito.
Ma un tale crollo si tirerebbe dietro tutto quanto.
Nemmeno un first striker, ad esempio produttore di energia, si salverebbe. Non avrebbe più nessuno a cui vendere energia.
Si salverebbe forse solo se potesse ripartire da zero ma restando completamente autarchico.
Ma anche in questo caso dovrebbe fare riferimento alle ritorsioni di altri blocchi.
E poi, quale imperatore assoluto vorrebbe mai imperare su di un mini-impero ?
Ma tutto questo si basa sulla logica razionale di un Homo oeconomicus (Wikipedia) principe del buon senso.
Logica questa che non è ancora del tutto esclusiva.
Esiste sicuramente qualche altro scenario, basato su istinti primordiali, diabolici, in qualche modo.
Una reincarnazione del diavolo potrebbe decidere un first strike solo per vedere l’effetto che fa, come un bambino viziato che gioca ai soldatini.
O solo per ritrovarsi minimperatore assoluto: meglio mini e assoluto che niente.
O infine, per vendetta, ad esempio se fosse parte di un popolo segnato da secoli di guerre sanguinose e crolli di imperi, ultimo dei quali quello sovietico.
E questo è il collegamento con le dichiarazioni di Putin.
Ma io, ripeto, non ci credo.

Il backgammon imperiale – Appunti su una ipotetica guerra finanziaria
Ovviamente posso sbagliare, ma è come se stessimo assistendo ad una colossale e infinita partita di backgammon, dove ad ogni mossa di una parte, corrisponde una mossa equivalente dall’altra parte.
Consiglio una breve lettura di http://it.wikipedia.org/wiki/Backgammon, da cui riporto un estratto storico.
Gli storici hanno spiegato come, nel backgammon, sia stato rappresentato il ciclo annuale e giornaliero della vita umana: i 24 punti rappresentano le 12 ore del giorno e le 12 della notte ma anche i 12 mesi dell'anno, le 30 pedine i giorni del mese. Anche i due dadi possono rappresentare il giorno e la notte e la somma dei punti ai lati opposti di un dado può far riferimento ai giorni della settimana ma probabilmente anche ai pianeti allora conosciuti. La compresenza di elementi cromatici discordanti (le punte della tavola, le pedine) sembra rappresentare la visione dualistica del mondo nella antica cultura indoeuropea caratterizzabile dal conflitto tra il bene e il male, la vita e la morte. Il backgammon, nella sua capacità di miscelare componenti di abilità e fortuna, simboleggia perciò una certa visione dell'esistenza umana. L'esito di una partita non può essere pianificato a priori così come il successo nella vita: la sorte è importante quanto l'ingegno (infatti molti giocatori esperti concordano con l'idea che il backgammon sia un gioco in cui la fortuna occupi un ruolo parziale; molti di essi infatti sostengono che un giocatore bravo vince più spesso perché sa ottimizzare i lanci più fortunati, minimizzando al contempo i danni di quelli meno favorevoli).[4]

Dicevamo che la più devastante delle guerre sarebbe proprio una guerra finanziaria. Potenzialmente più dannosa di quelle fisiche.
Ma anche questa non mi pare vincibile.
Faccio un esempio basato su di un film tratto da un romanzo di Tom Clancy. Rende ben l’idea.
Ipotizziamo che si voglia distruggere l’economia e la finanza mondiale. Si ipotizza un attacco fatto di ordini di vendita simultanei a Wall Street per un totale di 2.000 miliardi di dollari (Circa un PIL italiano).
Sembra una cifra enorme, ma in realtà è una piccola frazione della massa monetaria esistente.
Per fare ciò, a priori si è dovuta nascondere questa somma in qualche posto cyber-sicuro.
Diciamo frazionandolo in moltissime microsocietà, sparse ovunque per il mondo, ma interconnesse via web. In modo da potere ricevere gli ordini e provvedere alla vendita istantaneamente e simultaneamente.
Facciamo finta che siano 2.000 società da 1 miliardo ciascuna. Ma in realtà per non essere notate sarebbero molte di più e molto più piccole.
Come si bloccherebbe una simile follia ?
Costruendo case (diremmo a backgammon) di fronte a quelle di colore opposto, in modo che dopo una loro mossa, noi si possano muovere le pedine specularmente.
In soldoni vuol dire che dovrei costruire una rete di altrettante 2.000 società con in pancia 2.000 miliardi da usare per “parare” ogni vendita delle 2.000 società nemiche. Quelli vendono a -50% rispetto al mercato? E istantaneamente io compro a + 50% rispetto al mercato.
O qualcosa del genere.
L’unica cosa veramente importante è sapere dove sono e cosa hanno in pancia le 2.000 società.
E questo è mestiere da intelligence, che diamo per scontato che esista e che riesca nello scopo. Ovviamente da entrambe le parti.
Tra l’altro questo è il motivo per cui non solo sono favorevole a ogni tracciamento di informazioni, ma penso anche che sia indispensabile.
Ma è anche la stessa logica della paventata guerra nucleare. Uno punta un missile su New York, e l’altro ne punta uno su San Pietroburgo.
Sembra obsoleta, ma invece è una logica viva e vegeta e ancora li.
Ma il succo è che la guerra non si potrebbe comunque vincere.

La guerra del gas
C’è una altra guerra che è in fieri, contro la quale invece non possiamo costruire case come a backgammon.
Non è virtuale, non è informatica.
E’ quanto mai fisica.
E per me sta arrivando all’apice.
E’ quella del gas.
Il primo produttore e detentore di riserve è la Russia. http://it.wikipedia.org/wiki/Gas_naturale
In termini geopolitici, questa è una guerra pianificata da decenni, durante i quali si sono costruiti gasdotti come un ragno con la sua ragnatela.
E mentre si costruivano gasdotti il prezzo del gas restava miracolosamente basso.
Qualche centesimo, rispetto ad un euro teorico.
Qui sotto le quotazioni di un ETF, soltanto negli ultimi 5 anni.

Il conflitto con l’Ucraina sembra proprio strumentale.
Inoltre le dichiarazioni di Putin del tenore “manderemo il prezzo alle stelle”, lasciano presagire una storia già vista.
Quella del petrolio che nel 1973 in pochi giorni decuplicò il suo prezzo (http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi energetica 1973.
Già tanti anni fa a me apparve una lucida visione in testa, che riassumevo dicendo “questa volta saranno loro a mandarci il Generale Inverno direttamente a casa”.
Sarà la conferma di un radicale riassetto geopolitico, in questo caso.
Come fu per il petrolio.
E come allora, saremo in balia di imperatori esterni.
Potremmo solo confidare che siano imperatori illuminati, e non optino per la scelta di un’apocalisse che abbia una partenza energetica.
Sarà una loro scelta. Starà a loro l’esercizio del libero arbitrio.
Io spero che optino per una logica di imperialismo commerciale, e non per raderci al suolo.
Perché l’integrazione dell’Europa con la Russia sarebbe davvero una bellissima evoluzione sistemica.
Un grande mercato interno con solo due oceani come confine.
E capace di autosopravvivere.
Ma capisco anche che, io Russia, se volessi entrare nell’Euro vorrei farlo con un parità che tenga conto della plusvalenza gas.
Quindi con un rublo a 5 e non a 50.
O con un PIL che invece di 1.500 miliardi di euro ne valga, se non dieci volte tanto, almeno 5.000 miliardi (per fare un esempio).
Per cui penso sia impossibile che non assisteremo ad un momento in cui il gas varrà tante (dieci ?) volte il prezzo attuale.
Ma spero che sia passeggero, o perlomeno che i venditori di gas pensino a come farci stare in piedi anche con la bolletta molto più cara, applicando quella lungimiranza tipica dei migliori imperi commerciali, antichi e non.
Nell’attesa, sarebbe davvero doveroso terminare, o adoperarsi per farli terminare, i massacri anche in Ucraina.
Non riuscirò mai a capire l’esigenza di “fare morti”, soprattutto quando si parla della capacità, del ruolo, di “imperare” su miliardi di persone.
Se proprio si deve guerreggiare, si dovrebbe farlo senza morti civili.
Una grande conquista dell’impero romano fu alcuni secoli di duratura convivenza civile di molti popoli.
La chiamavano Pax romana.
Ecco, un vero impero dovrebbe sempre lavorare per la pace.
Dal suo conseguimento e mantenimento si misura la sua forza.

venerdì 29 agosto 2014

2014 08 29 – Italia – Export (e import) nell’insiemistica imperiale e reti di vendita (sell centers)




Riprendo dal ruolo dell’Italia in questo insieme di imperi che è il mondo.

Il commercio fa girare il mondo
Il primo fatto è che a guardare i dati di BOP (Bilancia of Pagamenti), italiani o mondiali che sia, non si acquisisce a pieno la reale dimensione della questione.
La BOP,  infatti è un valore netto tra un più e un meno, che nasconde la reale portata delle due grandezze sottostanti : Export e Import.
Se prendiamo il caso Italia, a fronte di una BOP  tendente a zero abbiamo importazioni ed esportazioni per 400 miliardi circa, sia in entrata che in uscita
Un quarto del nostro PIL ciascuna.
Ma dirò di più: quando, e se, si prescinde dai segni algebrici, il nostro commercio internazionale vale 400 di esportazioni +400 di importazioni = 800 miliardi. Quindi più del 50% del nostro PIL.
Se si vuole un indicatore di quanto gira un’economia, ci si deve ricordare che il commercio è quello che fa girare il mondo. In qualsiasi senso vada : sia in entrata che in uscita.
Anche nel caso di una economia non enorme come l’Italia, che vale meno del 3% del PIL mondiale.

Il commercio fa progredire il mondo
La seconda questione è a livello globale.
Ci vorrei dedicare un futuro post ad hoc. Ma per ora basti un accenno.
L’insiemistica imperiale ha come area di sovrapposizione proprio quella degli scambi commerciali.
Se riportiamo il dato percentuale italiano su scala globale, otteniamo che a fronte di PIL per 55.000 miliardi di euro circa, ci sarebbero scambi per 13.750 di import e altrettanti di export. Sommandoli, otteniamo 27.500 miliardi. Pari al 50% del PIL, PIL, che come già spiegato; è una dimensione di quanto gira l’economia per valutare la quale si deve considerare anche il commercio come sopra detto. E questa è solo la dimensione quantitativa.
Si deve poi ricordare che storicamente, dalla notte dei tempi, l’essere umano commercia.
E commerciando scambia cultura, conoscenza reciproca, informazioni e infine contribuzione di pace.
Il commercio internazionale è fonte di progresso e stabilità. Anche se a volte sembra, e spesso è, una guerra.
Maggiori sono le interconnessioni commerciali, minore è la probabilità di farsi una guerra reale.
Gli interessi economici in ballo smorzano l’utilità economica di una guerra.
I secoli bui, il medioevo, sono quelli in cui c’è molto meno commercio.
Dove l’autarchia diventa autoreferenza. E l‘autoreferenza è geneticamente implosiva.
Chissà chi riesce già a vedere il nesso con la civiltà dell’intelletto e l’unità di scambio relativa: il Neuro.

Esportazioni Italia – Capacità commerciale
Partiamo dal metodo. Ho fatto riferimento a ICE e ISTAT. In particolare sul sito www.ice.it ci sono dati separati per settore di attività e paesi di export o di import http://actea.ice.it/wizard.aspx?id_analisi=26
Anche l’Istat fa delle belle pubblicazioni sul tema http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120719_00/Sintesi.pdf
Una cosa che ho riscontrato, però, è che si pubblicano dati a prevalente uso statistico, ma non necessariamente rappresentativi sotto il profilo commerciale. Ma è normale che sia così.
Le tabelle ICE di import e export per settore, riportano per ogni settore i primi 20 paesi a cui esportiamo (o da cui importiamo). Ovviamente questi primi 20 paesi dei 27 settori individuati, differiscono da comparto a comparto.
Per cui nelle 2 tabelle seguenti, troviamo un totale di 62 paesi destinatari delle nostre esportazioni.
Rimane dunque il fatto che ne mancano 130 per coprire tutti i 190 paesi censiti dal Fondo Monetario.
Ovviamente tra questi ci sono paesi molto poveri o molto piccoli, ma il dato di 62/190 comunque rimane.
Questi 62 paesi totalizzano 4,7 miliardi di abitanti a fronte di 7 miliardi totali nel mondo. E un PIL pari 48.000 miliardi su 55.000 miliardi totali.
In pratica non copriamo 2,5 miliardi di persone e circa 8.000 miliardi di PIL.


E questo, soprattutto in termini di PIL relativo (8 mld), potrebbe anche non essere grave.
Ma il fatto è che anche facendo attenzione solo ai 62 paesi coperti, si osserva che il grosso delle esportazioni è concentrato in pochi paesi e poche classi merceologiche.
184 miliardi di euro è il totale delle voci nel riquadro azzurro della tabella precedente, riquadro che copre 10 classi merceologiche e 19 paesi (quelli che raggiungono il 90% del totale di 290 miliardi).
Sono inoltre ben visibili i principali destinatari di nostro export nella colonna “Totale complessivo”. I primi 12 paesi coprono 234 miliardi, pari all’80 % del totale.
E questi 12 rappresentano 32 miliardi di PIL e 2,2 miliardi di popolazione.
Insomma, la sensazione è che vendiamo per lo più ai soliti (12) noti.
Ma anche tra questi soliti noti ci sono delle belle discrepanze.
Se si guarda la seconda tabella delle due precedenti, le ultime tre colonne rappresentano :
  1. Esportazioni in % sul PIL del paese cliente
  2. Esportazioni in % sul PIL del paese cliente – dato % progressivo
  3. Esportazioni Euro per abitante del paese cliente
In particolare la prima e la terza colonna sono dei banali ma pratici indici di penetrazione commerciale all’estero. Ecco alcune osservazioni
La media totale delle nostre esportazioni sul Pil dei paesi clienti è pari a 0,61%.
Ma inoltre questo dato è molto variabile. Si va da valori prossimi a zero, al 2% di Germania e Francia, che ci danno 51 e 43 miliardi.
E’ questa variabilità proprio quella che richiede e suggerisce interventi.
Si consideri che, al tempo stesso, non viaggiano bene (rispetto alla media o a Francia e Germania), nemmeno le grandi economie tra cui quelle un tempo emergenti.  
L’India (che ha quasi lo stesso numero di abitanti della Cina: 1,2 vs. 1,4 miliardi di cui una buona parte di clienti potenziali) è allo 0,08%; La Cina allo 0,14%. Ma oltre a queste, anche i due colossi storici non fanno faville. Gli USA sono allo 0,2% e il Giappone allo 0,13%.
Anche i dell’Est non sono in grande evidenza.
Le stesse informazioni si possono ottenere guardando la colonna finale della stessa tabella. Anzi, forse questa è anche più immediata. E’ la colonna con il valore in euro/abitante del paese a cui esportiamo. Vuol dire quanti Euro ci da ogni abitante del paese oggetto.
La media totale è di 63 euro a persona. Ma balzano agli occhi importi da 600 euro (Francia o Germania, ancora), 1.000 il Belgio, 2.300 la Svizzera. Anche senza arrivare a questi valori, il Regno Unito “vale” 300 euro a persona. Ed in generale, come sopra, dove c’è variabilità c’è spazio di manovra
E’ ovvio che alzare la media dallo 0,61% o dai 63 euro sarebbe un bel successo.
Insomma non ci si deve lasciare ingannare dal fatto che le nostre esportazioni vanno bene.
Dovrebbero andare molto meglio. E una chiave, per me, è quella delle reti di vendita.

La sensazione di una non ottimale capacità di penetrazione commerciale è anche visibile nelle tabelle seguenti che riportano il dettaglio per classe merceologica di esportazioni, importazioni e Bop per ogni singolo paese. Sono quei paesi che partecipano a totalizzare i soliti 291 miliardi di export.
Sono evidenziate in verde alcune aree favorevoli all’Italia, e in rosso quelle sfavorevoli.
Un considerazione è che abbigliamento, articoli in pelle e varie (cioè parte del Made in Italy) non è così determinante in nessun paese. Alcune considerazioni. Si rinvia alle tabelle per altre considerazioni personali.
Germania: si vede bene l’impatto dell’industria che si porta via quasi 30 miliardi. Noi siamo forti su abbigliamenti, pelle varie metallurgiche. Addirittura siamo in negativo anche nell’alimentare.
Francia :siamo forti su abbigliamento, pelle, apparecchiature
Stati uniti : celle verdi un po’ ovunque, ma solo 14 miliardi di totale
Regno unito:  9 miliardi totali di Bop, 0,73% sul loro PIL
Svizzera : 9 miliardi, 0,81% sul loro PIL
Russia : -12 mld da agricoltura
Cina : -23 mld da manifatture varie
Paesi bassi : - 10 mld Bop


 Importazioni
Non aggiungo molto in questa sede, confermando che vanno ridotte rispetto alla situazione attuale.

Il riquadro azzurro della tabella totalizza 170 miliardi. Sono quindi altrettanto concentrate delle esportazioni.
Un modo per ridurre le importazioni, oltre a tanta pubblicità progresso (come già detto), può essere proprio partendo dalle precedenti tabelle con le BOP per paese.
Quando si trova una voce di pari importo sia in entrata che in uscita nello stesso comparto, e’ evidente che c’è spazio (mercato) per aumentare il consumo di prodotti interno.
Se li compro fuori posso comprarli anche in casa mia, salvo questioni di prezzo che però spesso sono prese a riferimento in maniera più strumentale di quanto crediamo. Oggi esistono tanti prodotti italiani anche a prezzi comparabili, se non competitivi, con quelli esteri. O quasi.

Evasione
Infine una notazione importante sull’aspetto evasione
Il commercio estero è zona preferenziale per evadere ed esportare soldi all’estero
Quando compro, è facile far finta di comprare cose che non esistono. Così pago all’estero e i soldi escono.
Quando vendo è facile incassare parte in nero, e ricevere in Italia solo l’incasso parziale.

Il caso Radiogold per la Microeconomia Adattiva Complessa
Io ho una partecipazione in una radio del Network di Radio Popolare che si chiama Radiogold e sta ad Alessandria.
L’avevo comperata sia perché erano molto bravi sia perché aveva un particolare modello di azionariato, riepilogato qui sotto. In cambio ho ricevuto pubblicità da utilizzare.
  1. Mediaservizi s.c.
  2. Consorzio Unione Artigiani (CNA)
  3. Confesercenti Provinciale Alessandria
  4. Asso Agricoltura Servizi srl  (C.I.A.)
  5. Camera del Lavoro Territoriale CGIL Alessandria
  6. Claudio Aroldi
Era proprio l’azionariato che mi aveva interessato, perché era fonte di potenziali clienti per i miei prodotti. Ed era una rappresentanza di tutto il tessuto sociale e lavorativo della provincia.

Ciò premesso, tornando alla questione sell centers, penso che si debba iniziare a sviscerarla un po’ meglio.
Sapendo che è un lavoro in progress, di seguito si illustrano alcuni punti principali.

  1. Utilizzo di disoccupati di prossimità
In prevalenza giovani, sia per una priorità sociale sia perché sono i più “svegli” verso i clienti e verso il web. Il peggio che può capitare e che si offre loro almeno una speranza. In ogni caso i giovani devono essere della zona (provincia ?) che promuovono, proprio per offrire un servizio di prossimità basato sulla conoscenza e cultura.

  1. Liste nominativi
Anche prescindendo da convenzioni o accordi internazionali, è facile accedere a liste di clienti via web. Queste potrebbero essere anche oggetto di acquisto, con investimenti relativamente modesti. Si pensi ad esempio a liste DEM (Direct email marketing) provenienti da siti locali vari.

  1. Driver di ingresso: turismo
Avevo pensato al turismo, vale a dire alla proposta di pacchetti vacanze da parte di un giovane che poi si configura come una specie di Personal Trainer o Personal Tourister. E una volta che ha il rapporto con il cliente, può proporre altri prodotti o servizi. Ma comunque il driver di ingresso può anche essere altro. Da valutare.

  1. Formazione iniziale e patente Statale. Valutare codice deontologico.
In tema di turismo, una breve formazione (2-4 settimane) può essere fornita dalle aziende del turismo. Un piccolo esame permetterebbe di avere un patentino che garantisce sia la tracciabilità a livello italiano (per sapere chi fa questo mestiere) sia la qualità ai turisti stranieri. La lista di questi patentini andrebbe comunicata a paesi esteri, in ambito di cooperazione internazionale.
Possibile definizione e sottoscrizione anche di un codice deontologico.

  1. Altri prodotti/servizi – Ipotesi Slowfood
Parallelamente o separatamente, lo stesso approccio potrebbe essere seguito su altri prodotti o servizi. Un’ipotesi è il coinvolgimento di realtà come Slowfood, sia per dare expertise ai Personal Tourister sui prodotti, sia eventualmente per organizzare corsi di studio nella loro università.

  1. Altri prodotti – ipotesi azionariato Radiogold.
Lo schema di azionariato Radiogold potrebbe essere usato per allocare n. giovani per ognuna delle realtà associative locali.
In questo modo si amplierebbe il pacchetto di prodotti offribili, per andare oltre il driver iniziale turismo e/o Slow food.
Ad esempio artigiani, esercenti, agricoltura, o nello specifico di Alessandria, gli orafi di Valenza.
Tutti potrebbero partire con il turismo, e poi iniziare a scambiarsi i clienti. Oppure meglio ancora, lasciare un unico riferimento ai clienti e semplicemente fare da “agenti plurimandatari”.

  1. Target : imprenditori di se stessi
Una volta iniziato a acquisire clienti, il giovane nel rispetto del codice, potrà svolgere come meglio ritiene il lavoro. Potrà accompagnare, dare informazioni, segnalare aspetti interessanti. Di fatto si specializzerà in base alle sue predisposizioni.

  1. Remunerazione
A variabile sia dai clienti che dai fonitori.

  1. Possibili convenzioni operatori esteri su telefonia e web
Ad esempio per dare la possibilità di contattare il personal tourister gatutitamente.

  1. Sito web per clienti
Un social network ad hoc per scambiare impressioni, idee, o anche solo per partecipare.



Per concludere
Avevo già scritto un’ipotesi di taglio importazioni a favore di prodotti italiani per 38 miliardi di euro (stimati a caso).
Oggi ammettiamo di darci un target di 50/100 miliardi di esportazioni in più (sempre a caso)
Con 100/150 miliardi di Pil in più possiamo ipotizzare almeno da 30 a 50 miliardi di tasse in più.