2020
07 18 - La beltade della prossimitade
Mi
hanno detto che si doveva parlare di prossimità.
La
prima reazione che ho avuto è stata prosaica.
Per
l’esattezza un po’ volgare.
“Ma
che, me stai a piglia’ p’o culo?”
Ma
come?
Siamo
nell’era della distanzietà.
E
ne potrei parlare a sazietà.
E
invece eccola qua.
Chi
se l’aspettava, chi lo sa.
La
prossimità.
Manco
mi ricordavo cosa fosse.
Allora
sono ricorso ad un mio solito trucco.
Sono
andato a vedere sulla Treccani per vedere cosa fosse stata, in qualche lontana
era andata.
Anche
l’enciclopedia ha tradito la memoria, e mi ha parlato di rele’, dispositivi che
agiscono automaticamente, in genere per effetti elettrici o elettromagnetici.
Ma
dopo il primo stupore mi è venuto in mente qualche sbarluccichio, e mi sono
ricordato dei negozi di prossimità, del medico di prossimità, della radio di
prossimità.
Tutta
roba antica, che mi ha indotto a ricordarmi della “prossimitade”, che per il
vocabolario e’ “ant.” che presumo non sia un vezzeggiativo diminutivo di Antonio.
E
quindi appena retrocesso all’arcaico ecco che mi e’ tornata in mente, forse
solo per amor di rima, la relativa
beltade della perduta prossimitade.
Non
parlo tanto di quella del supermercato, che certo se prossimo e’ più comodo.
Ho
avuto un lampo e mi sono ricordato che la radice della prossimità e’ la stessa
del prossimo, tuo, mio, suo, poco importa.
Basta
che sia un prossimo di qualcuno, da amare come se fossi tu stesso, magari a cui
porgere anche l’altra guancia, così, gratuitamente, solo per vedere l’effetto
che fa.
Basta
che ti stia vicino, ma così tanto da diventare il prossimo, che poi potrebbe
essere anche il successivo.
In
effetti in qualche modo Gesù doveva essere proprio un prossimatore seriale.
Certo,
avvicinare avvicinava, ma con il verbo, con tutti i suoi predicati che dovevano
per forza essere parenti delle predicazioni, ma alla fine parlava della
similitudine dei tuoi simili.
Sarà
che io non mi sento mica tanto simile ai miei simili, anche se vorrei tanto.
Invece
sono schizofrenico, dicono, e il mio migliore prossimo, il mio miglior amico immaginario, sono io.
Quindi
faccio fatica a parlare di prossimità, perche’ quella che conosco meglio e’
quella con le mie di me proiezioni alternate, che però sempre immagini di me
sono.
Insomma
se devo pensare al prossimo mio, allora mi viene in mente uno specchio.
Quindi
meglio dimenticarsi della vicinanza nel termine di prossimità e passare al
significato successivo, che io, perso nelle spartizioni del mio cervello, non
ho idea di quale sia.
Alla
fine mi resta il contrario della distanzietà, che conosco oramai da decenni e
con la quale mi trovo più a mio agio.
Con
tanti saluti al coronavirus, che dal punto di vista della perduta prossimitade,
mi ha fatto un baffo.
Che saudade.
Che saudade.