giovedì 19 giugno 2014

2014 06 18 – Libertà è partecipazione ? Le partecipazioni dello Stato




Così cantava Giorgio Gaber. Al singolare. Senza punto di domanda. E senza articoli, preposizioni o congiunzioni.
Qua mi sa che qualcuno ha fatto confusione.
Devono avere frainteso e capito “Libertà è partecipazioni” o “di partecipazione” al posto di “partecipazione” tout court.
E così ci ritroviamo in un partecipazionismo da delirio.
Di partecipazioni ne abbiamo ben 30.000. Quasi un mezzo stadio. (Fonte MEF)
E sono distribuite per tipologia di amministrazione, come di seguito riepilogate. I comuni ne detengono il 74%. 21.900 partecipazioni. Più che Comuni sembrano delle holding finanziarie.

Amministrazione
Partecipazioni
% su tot.

Media per ammin.
Province
581
2,0%

29,1
Regioni
2.679
9,1%

24,6
Comuni
21.900
74,0%

7,2
Unioni di Comuni e Comunità Montane
417
1,4%

4,5
Consorzi
62
0,2%

2,4
Enti Locali del Servizio Sanitario
156
0,5%

3,1
Università
1.562
5,3%

25,2
Altre Amministrazioni Locali
2.226
7,5%

27,5
TOTALE AMMINISTRAZIONI LOCALI
29.583
100,0%

8,5


Dispersioni e percolazioni
Il dato di 30.000 (29.583 o 30.133 a seconda degli anni di riferimento)  conta tutte le partecipazioni, incluse quelle multiple, cioè quelle da parte di più enti pubblici nella stessa partecipata.
Le società partecipate sono in realtà “solo” 7.300 circa.
Ma non consolatevi, questo non vuol dire meno confusione. Anzi.
Immaginate che ogni ente partecipante voglia dire la sua, o partecipare al Consiglio di Amministrazione, verosimilmente remunerato o rimborsato. O semplicemente che debba essere convocato in Consiglio per raccomandata. Tutto ciò fa parte del “costo poltrona”, riferendosi al famoso luogo comune della politica dedita a spartirsi poltrone, appunto.
Senza considerare le difficoltà di governance (mettete d’accordo 50 o 100 soggetti) che inevitabilmente determineranno sprechi, inefficienze e così via .
Insomma, per me il coefficiente di confusione è comunque 30.000, oltre il 400% più alto di 7.300 .
A titolo esemplificativo riporto di seguito l’elenco delle prime 35 “multi partecipate”. L’elenco continua fino alla fine delle 7.300.
Quelle con un solo partecipante sono circa 3.900.
Quelle con meno di 5 partecipanti sono 5.900
Quelle pluri-partecipate, con oltre 5 soci sono, per differenza, 1.400 circa.



Il patrimonio dello stato.
Perché è importante  tutto ciò ?
Le partecipazioni (tutte) valutate a quota di patrimonio netto delle partecipate sulla base dei dati reperiti, e sempre se non ho commesso errori di calcolo (30.000 righe excel sono comunque complesse da gestire), dovrebbero valere in bilancio dello Stato circa 120 miliardi di euro. Il dato è calcolato moltiplicando il patrimonio netto della partecipata per ogni singola percentuale di partecipazione. Dovrebbero quindi essere escluse, per metodo, eventuali duplicazioni.
Inoltre questo dato è solo parte dell’aspetto patrimoniale complessivo. Non considera infatti altri elementi patrimoniali come avviamenti e capacità di produrre utili in futuro rimasti latenti o inespressi dal Patrimonio Netto tal quale.
Sul totale di attività dello Stato a valore di bilancio (approssimato in 1.000 miliardi di euro), sarebbe più del 10%.
Poi si dovrà andare a vedere come è composto il resto dell’attivo totale per capire se il dato di circa 1.000 miliardi di euro abbia senso.
Ma per ora basti capire che queste partecipazioni sono una bella fetta della nostra proprietà.
E dovrebbero essere un asset, un bene ad utilità futura, il risultato di una decisione di investimento che essendo tale produrrà utili in futuro.
E’ come se il nostro solito pensionato si  ritrovasse  proprietario di un appartamento da 90.000 euro e di 10.000 euro investiti in azioni. Da queste si aspetterebbe giustamente dei dividendi.
Molto bene, dunque ?
Manco per niente.

Una premessa positiva, seppur con qualche ombra.
Questa volta ho trovato due informative principali.
  1. Il primo è un bel documento del Ministero Economia e Finanze che mi ha sorpreso. Vuol dire che quando vogliono le cose le fanno bene. Anche se trovo che sarebbe ulteriormente compattabile con tanto di beneficio sia mnemonico che, in caso qualcuno lo stampasse, ambiental-forestale.
Al tempo stesso sono rimasto sorpreso dal fatto che tale documento sia frutto di una sorta di censimento partecipativo fatto per la prima (e ultima ?) volta nel 2011. E prima ? E dopo ?
Inoltre altra cosa sorprendente è che mi par di capire che non tutti gi enti sollecitati abbiano risposto. Ma come è possibile? Lo Stato chiama e il Comune o altro Ente non rispondono ? E che aspettiamo a licenziarli ?

  1. Il secondo è un bellissimo database, di quelli che oggigiorno si trovano spesso in rete. E che con qualche piccola nozione di base di excel diventano utilizzabili per molti. Insomma nelle considerazioni che seguono non c’è nessuna perizia particolare. Potrebbe farle davvero un sacco di gente. E speriamo che con il tempo lo facciano davvero.

Tracciateci tutti
Comunque tra tutte e due le cose, ciò che mi ha impressionato è la dimostrazione della possibilità di “tracciabilità totale” (tanto per capirsi nel database ci sono ragioni sociali, codici fiscali, dati di patrimonio e utile e tanto altro per ogni partecipata) la quale è premessa o strumento necessario per interventi di tanti tipi.
Con un “codice fiscale persona giuridica” posso sapere quanti “codici fiscali persone fisiche” stanno in consiglio di amministrazione, quante altre partecipazioni hanno, quante consulenze compra la società e quante ne mettono loro o loro familiari e conoscenti in dichiarazione dei redditi e in ultima analisi se questi dati sono coerenti con le spese della carta di credito o con le proprietà di immobili o automobili.
Il dato davvero interessante dunque è quello della possibile ricostruzione di intere reti di malaffare, a partire dal dato puntuale di una singola società o persona.
Questo concetto mi fu mostrato per la prima volta anni fa da un personaggio oggi piuttosto noto politicamente. Una specie di guru del web. Non è dunque una mia idea. Ma di certo è buona davvero.
Tracciateci tutti, dunque. Tanto la privacy serve a chi ha qualcosa da nascondere.

La mina vagante
Tutto ciò premesso, rispetto ai documenti di cui sopra, vorrei comunque fare qualche ulteriore considerazione, che forse è giusto venga delegata a soggetti terzi e non alle istituzioni “concerned”.
Forse la “mina vagante” ha un ruolo che l’”accusando” non potrebbe ricoprire, visto che starebbe giudicando se stesso e che tale posizione sarebbe per definizione in “conflitto di interesse”.

La distribuzione delle partecipazioni per codice ATECO
Rispetto ai documenti del MEF, preferisco mantenere un livello minore di aggregazione in termini di tipo di attività delle partecipate.
Preferisco mantenere un livello basato sul “codice Ateco” che determina 87 tipologie di attività rispetto alle 20 circa in cui vengono riaggregate dal MEF.
Questo per un motivo molto semplice e cioè che i codici ATECO sono in molti casi “self-explicative”.
Riordinando quindi il database, ho prodotto la tabella seguente che riaggrega le 30.000 partecipazioni in ordine decrescente di importo totale per codice Ateco e , da sinistra verso destra, di Regione.
Giusto per curiosità alcune considerazioni. Questa volta m affido al mio istinto e azzardo anche delle ipotesi.
Ho segnato in rosso i codici Ateco oscuri per loro intrinseca natura.
Nell’ultimo scritto suggerivo verifiche a tappeto sulle attività di consulenza in quanto categoria spesso prediletta per “auto-escrezioni di cassa” .
Manco a farlo apposta ritrovo 2.485 partecipazioni in società di consulenze. Quante di queste hanno fatto consulenze allo Stato stesso ? E per che importi ?
La prima voce-Ateco, con 2.804 punti però è “Raccolta, trattamento e fornitura d’acqua”. Il bello, come già detto, è che chiunque volesse andare a giocare con il database excel troverebbe ragione sociale e codice fiscale di tutte le 2.804 partecipazioni.
Se esistesse davvero il portale  “Wanted” per lo sceriffo (www.itaglie.it), immaginate la caccia al ladro che si potrebbe scatenare.
Tra le ulteriori voci in rosso segnalo, tanto per fare qualche esempio:
  • Trattamento e smaltimento rifiuti (2.329)
  • Attività di supporto e funzioni di ufficio e altri servizi alle imprese (1.443)
  • Attività di studi di architettura, ingegneria, collaudi etc. (849)
  • Software e consulenza informatica (574)
Partecipazioni non consulenze
Si deve ricordare che questi dati si riferiscono allo Stato Patrimoniale.
Non sono quindi dati di spesa come le consulenze, semmai sono indicatori di aree di spreco, o peggio contropartite da corruzione, non contabilizzati a conto economico.
La domanda legittima infatti è : “perché mai lo Stato avrebbe investito in migliaia di società di consulenza ? Ricordiamoci del paradigma “dove non c’è logica c’è malvivenza”.
Per i dati di spesa si deve andare all’ulteriore analisi di conto economico, ma certamente queste grandezze di “investimento” sono molto probabilmente in buona parte simili a quelle degli “investimenti” in programmi della Rai.
Nascosti tra gli investimenti ci sono o si celano uscite di cassa storicamente accumulate che molto probabilmente non servono a nulla.
Si deve sempre ricordare, infatti, che un dato per essere iscritto a patrimonio deve produrre utili futuri.
Nello specifico si vedrà come ciò non succeda. Il che è segnalato anche dal MEF, che produce significative tabelle ordinate per risultato economico delle partecipate.

Partecipazioni: non personale
Altra considerazione fondamentale da tenere presente è che i dipendenti pubblici sono 3,2 milioni.
Possibile che servisse anche partecipare a questo mare di società ?
E per ricavarne cosa che non potesse essere prodotto dall’esercito dei dipendenti statali ?


Sorpresa. I buoni sono i terroni.
Delle 30.000 partecipazioni ordinate per regione (tabella precedente), 24.000 sono nelle prime 7 regioni e, udite udite, non ce ne è nemmeno una meridionale.
Questa si che è una sorpresa.
Vuoi vedere che i ladri sono savoiardi e lombardi (ai primi due posti della classifica) e non cafardi (termine meridionale tra cafone e truzzo) ?
Si certo, si ruba dove ci sono i soldi e dopo i  recenti “exploit” di Expo e Mose direi che i conti tornano, ma una rinfrescata di memoria fa sempre bene.

Dimensione di Patrimonio netto – La predilezione per le nano-società.
Noi ce l’abbiamo piccola.
Questo è un altro indice di strumentalità, per usare un eufemismo.
Delle 30.000 partecipazioni 12.400 sono in società con un patrimonio netto inferiore a 500.000 euro. Se si “taglia” il database a quelle minori di 1.000.000 di euro il dato diventa di quasi 15.000. Di seguito si prende a riferimento il primo taglio. A 500.000 euro.
Questo è un dato indicativo. 500.000 euro è un riferimento patrimoniale che potrebbe essere rappresentativo di un bar, di una edicola urbana o di una qualsiasi altra piccola attività.
Cosa faranno mai di così importante queste nano-società ?
Manco a farlo apposta, riordinando la tabella per ordini di grandezza, indovinate che categoria vince il campionato ? Le consulenze !
E devo dire, purtroppo, seguite a ruota da “Ricerca e sviluppo”.
Ma non abbiamo già delle strutture interne allo Stato, spesso eccellenti nel mondo, preposte alla ricerca e sviluppo?  E poi per la ricerca e sviluppo non servono investimenti in conto capitale ? Cosa inventeranno mai queste società con patrimonio per l’equivalente di un bancone da bar, qualche frigorifero e una macchina da caffè ?
Per il resto, lascio il “divertimento” di scorrere la tabella a chi vorrà farlo. Se non facesse incazzare, verrebbe da piangere.
 


La rilevanza economica – Partecipazioni in perdita
Questo è il secondo vero nocciolo, dopo quello delle reale utilità degli investimenti e dei costi in tutte queste partecipazioni. Come già detto le partecipazioni per essere appostate nel patrimonio dello Stato devono produrre utili, futuri e presenti. Altrimenti sono investimenti a perdere.
In primo luogo i dati MEF.


Preciso che i dati MEF non riguardano il 100% delle partecipate e sono quindi riferiti a circa 6.000 società.
Risulta evidente che soltanto 2.800 delle società producono utili.
Le altre sono in perdita o se va bene in pareggio.
Al riguardo osservo che le società in pareggio sono 1.249. Per chiunque abbia un minimo di esperienza è noto che il pareggio di bilancio al “singolo euro” sia statisticamente impossibile. O si perde o si guadagna. Lo zero è normalmente un brutto segno. E’ tipico di società dove il bilancio si fa “con il bilancino” (si dice così). E sempre normalmente, dove si usa il bilancino è per nascondere qualcosa.
Per scendere un po’ più in dettaglio si è di nuovo scelto di usare la classificazione per codice Ateco in modo da farsi un quadro di redditività in base a questo tipo di catalogazione. La tabella è divisa in due parti che dovrebbero essere messe in fila orizzontalmente. Nella seconda parte ci sono i totali.
Nei dati seguenti sono incluse tutte le partecipazioni esistenti, pertanto anche quelle nelle grandi società statali che evidentemente “inquinano” i risultati delle piccole. Sono state tenute insieme per arrivare a fare un ragionamento sulla redditività complessiva dell’asset partecipazioni. Ma è una metodologia approssimata.
Si è cercato di evidenziare non solo quali settori di partecipazione fossero in perdita, ma anche di quanto lo fossero. Sempre salvo errori.
In termini aggregati, le società in perdita perdono 2,7 miliardi di euro anno di quota dello Stato. Il dato tiene già in conto la percentuale di partecipazioni. E rappresentano 12,7 miliardi di quota Patrimonio Netto rispetto ai circa 120 miliardi totali.
Patrimonialmente sono una piccola parte del totale ma numericamente no (2.000 circa su 7.300, a cui aggiungere le 1.249 in pareggio)
Balzeranno agli occhi evidenziate in rosso delle voci con delle percentuali di “non-redditività” inquietanti.
Nuovamente manco a farlo apposta si prendano ad esempio le partecipate di consulenza.
Non solo perdono, ma la quota di perdita rispetto a quella del patrimonio è pari -308.976.865 milioni di euro su 633.917 di patrimonio. Il -48740,90%.  Forse c’è qualche errore, perché mi sembra davvero incredibile.
Ma non sono le uniche.
Ecco, secondo me un criterio intuitivo per individuare le aree oscure è proprio questo degli ordini di grandezza.
Qui non c’è nessuna “malagestio”. E’ impossibile ottenere performance di questo tipo se non per logiche “extracontabili”.



Per concludere le partecipazioni in utile
Non è sufficiente concentrarsi sulle partecipazioni in perdita o in pareggio. Anche su quelle in utile si possono fare alcune considerazioni. In primo luogo si può cercare di capire quanto sono in utile e in questo modo ci si può fare una prima idea della loro effettiva utilità.
Facciamo un ragionamento al contrario. Se io ho 120 miliardi di euro (che è il teorico valore del “patrimonio netto  partecipate” di proprietà dello Stato) vado a cercare investimenti che mi diano un rendimento.
Se volessi investire in attività rischiose, quali sono per definizione quelle di tutte le aziende operative, mi aspetterei almeno il 5-10% di ritorno all’anno.
Su 120 miliardi farebbe fino a 12 miliardi all’anno, quindi.
Le nostre partecipazioni, invece, ce ne rendono nell’insieme 2.
Composti da quasi 5 miliardi di quelle in utile e – 3 miliardi di quelle in perdita.
Se considero che le società non in perdita hanno una quota di Patrimonio-Stato pari a circa 105 miliardi, uno per l’altro mi stanno rendendo in media la metà di quanto sarebbe ottimamente legittimo aspettarsi (5/105 miliardi = 5% vs 10% per attività a rischio).
Il che non sarebbe neanche male, salvo andare a vedere nel dettaglio come è composto il mix. E naturalmente trovare qualche altra sorpresa.
Le partecipazioni che generano un rendimento (teorico perché in realtà non è detto che gli utili vengano distribuiti) superiore al 3% sono 9.700/30.132 corrispondenti a 2.120 codici fiscali e quindi entità giuridiche. Sono circa il 30 % (2.120/7.300 circa).
Se guardiamo la distribuzione per ordine di grandezza delle 2.119 partecipate in utile (quelle che generano 4,587 miliardi di quota utile per lo Stato) scopriamo che quelle con quota utile inferiore a 10.000 euro sono ben 885, per un totale utile di 2,2 milioni di euro.
La media a partecipata è 2.485 euro.
Un classico esempio di importo “fatto con il bilancino” per l’Agenzia delle Entrate.
E’ davvero ragionevole immaginare che dietro questo dato ci siano costi impliciti di importi ben superiori.
Se poi si taglia il database a 100.000 euro, le partecipate diventano 1.536, con un utile totale per 26,9 milioni di euro.  30.000 euro circa in media per ogni partecipata. Ecco, direi che non sono certamente colossi.
Vabbè, però 26 milioni sono sempre bei soldi.
Ma il ragionamento sui costi impliciti vale sempre.
Inoltre mi pare più che legittimo legittimo il dubbio che almeno parte di questi 26 milioni di utili siano nati da prestazioni fatturate allo Stato stesso.
Ciò vorrebbe dire che io Stato pago ad esempio 100 euro ad una società di cui magari ho il 10%, e così facendo i restanti 90 euro finiscono a qualche socio terzo magari appaltante malandrino.

Il coefficiente di confusione e il giramento di coglione.
Alla fine dei conti delle 7.300 società ne restano 2.119-1.536 o 885 (a seconda di dove taglio il database di quelle in utile)  in utile significativo.
Arrotondando, vuol dire tra 500 e 1.000.
Che su 7.300 fa circa il 10%.
Questa delle partecipazioni non solo è una’area grigia o oscura, ma mi pare un bel punto di partenza per avviare processi di tracciamento delle reti di malaffare di cui in precedenza.
Volevo concludere con qualcosa di particolare.
Una chiosa ad effetto, che a me piacciono tanto.
Invece mi girano soltanto i coglioni, per i soldi rubati.
Il tempo perso dal sistema (oltre che da me) e le conseguenti sofferenze.
Eh, si. Per fare danno tutto fa effetto. Pensieri, parole, opere e omissioni. Come noto.
E quindi la chiosa è semplice : sceriffo, acchiappali tutti.
Conviene anche a loro.
Se qua non vi muovete qualcuno si incazzerà veramente e ci ritroveremo nei seventies per incanto.
E invece che nell’era dell’acquario o dell’intelletto che dir si voglia, finiremo dritti dritti nell’era delle 44.

domenica 15 giugno 2014

2014 06 15 – Sceriffi, taglie e tweet-law contro il lato oscuro del sistema.



Nel precedente “Considerazioni sui conti dello Stato si è data una prima occhiata alle spese dello Stato ordinate per classe di spesa. Così ad esempio si sono viste classi come “redditi da lavoro, trasferimenti, consumi intermedi” e così via.
Sfogliando le tabelle si sono così potuti osservare circa 200 titoli di spesa in merito ai quali si era lanciata l’idea di indire “concorsi al risparmio”.
Si è anche accennato alla necessità di una analisi per centro di costo che potesse indicare se ci fossero aree di inefficienza.
Qui di seguito si fanno delle ulteriori considerazioni

Dettaglio delle spese per missione
Più esplicativo del totale per tipo di spesa (di cui sopra e al precedente scritto) è il dettaglio per cosiddetta “Missione”. Questa classificazione risponde ad una logica funzionale che permette di osservare i macrotemi, intesi come ambiti di attività dello Stato, in cui si articolano le uscite.
 
Messa in questi termini però non è ancora possibile capire se esistano aree di spreco, anche se appare certamente probabile.
E’ comunque interessante vedere come le prime 10 voci coprano il 90% del totale. E’ quindi fuori luogo, oltre che inutile, immaginare che interventi sulle singole altre 23 voci possano essere risolutivi. Se non nella già citata logica che facciano parte di interventi più articolati e complessi.
Ma ecco che già entrando a livello di dettaglio delle singole componenti delle missioni qualche considerazione si potrebbe azzardare. Basta guardare alcune descrizioni, come approvvigionamenti, servizi o altre e subito viene in mente che ci si possa trovare dentro qualcosa di “storto”.
Per ora basti sfogliare le circa 200 righe per rendersi conto di due fatti:
  1. quante cose fa lo Stato
  2. quante possibili aree oscure vi si nascondano
Tanto per giocare, si è aggiunta una colonna con l’importo in milioni al giorno per ciascuna di questa “spese di missione”.
E’ evidente che per alcune macrovoci, ad esempio quelle che racchiudono al loro interno intere strutture organizzative, il totale giornaliero non vuol dire nulla, se non addirittura rischi di diventare populisticamente strumentalizzabile.
Ma per singole voci di dettaglio invece magari aiuta a riflettere.






Il coefficiente di semplificazione
I dati seguenti provengono anche da un documento, chiamato “Conto del patrimonio dello stato testo completo. pdf 2012”.
Lo cito perché si tratta di uno di quei documenti improntati alla frammentazione informativa.
Sono 1071 pagine, con varie duplicazioni e dispersioni.
L’ho utilizzato a riferimento perché volevo informazioni anche patrimoniali, e non solo economiche, di cui parlerò in seguito. Una volta scoperto che erano 1071 pagine ho voluto provare a scorrerle tutte per capire cosa contenessero.
Ne ho tratto alcune tabelle di sintesi da cui credo trasparirà il “fattore di semplificazione” che calcolo essere pari a 20/1071 pagine, includendo nelle 20 pagine anche quelle future su altri temi. Praticamente 2/100, il che vuol dire che il reciproco, pari a 98/100, sarebbe il dato rappresentativo del “confusiometro”.
Non posso trattenermi da osservare che è l’approccio che si segue in azienda quando arrivano i revisori o la Finanza: la prima istruzione che si da ai dipendenti è “affogateli di carta”.
Con una differenza sostanziale, però. E cioè che io non sono ne un revisore ne un finanziere nei confronti dello Stato. Semmai sono il proprietario.
Credo dunque che questo approccio tabellare sintetico sia utile, proprio per capire come gestiscono la mia proprietà. Spero che in poche tabelle tutti possano avere un quadro più chiaro.
Scorrendo poi alcune notizie su web in merito alla spending review in corso ho riscontrato spesso un generalista populismo tutto improntato a “con quello che ci costano, tagliate tagliate tagliate” .
Spesso tali considerazioni partono da un assunto del tipo “il ministero xxx ci costa 10 miliardi all’anno”. Ma questo non è il modo di procedere. Nell’esempio, gli xxx miliardi di spese non sono il “costo-ministero” ma la spesa pubblica gestita da quel Ministero, la quale ha una funzione sociale oltre a far girare l’economia e quindi in ultima analisi generare imposte.
Trovare soluzioni definitive non è quindi così semplice.

I ministeri – dati 2012
Le aree di “missione” sul 2012 sono allocate tra i 14 Ministeri. I totali delle tabelle seguenti sono quindi diversi da quelli nelle precedenti, riferite al triennio successivo. Sfortunatamente nel triennio successivo i totali sono ancora più alti.
Tornando però alla ripartizione delle missioni di spesa per ministero traspare soprattutto un dato.
Nella tabella che segue i ministeri sono ordinati da sinistra verso destra in ordine calante di spese totali.
I ministeri dominanti sono i primi 5. I restanti accorpano i residui.
Si consideri inoltre che le entrate  sono al 99% di pertinenza del Ministero di economia e finanze (MEF), per cui appare a mio giudizio evidente che fare politica non può prescindere da fare economia.
Con ciò intendendo confermare che tutta l’informazione, o presunta tale, “politica” non vale nulla senza adeguata ed estensiva “copertura” numerica.
E con una unità di misura su cui devono ragionare che è “i 500 miliardi”. Tutto il resto è conversazione.
Questa analisi per Ministero dovrebbe comunque assomigliare ad un’analisi per centro di costo, anche se 9 di questi centri di costo sono marginali e forse raggruppabili.



Per l’analisi per centro di costo, inoltre, appare più utile e significativa la seguente tabella di dettaglio dove sono indicate tutte le sottovoci di spesa componenti le singole voci missione.
E’ molto simile a quelle delle pagine precedenti con una differenza secondo me importante. Le tabelle precedenti erano ordinate per missione e per anno di spesa, senza dettaglio per ministero.
Quella che segue è ordinata per ministero e le voci di missione risultano quindi più chiaramente allocate a determinati responsabili.
Come già detto in precedenza, entrando a livello di dettaglio delle singole componenti delle missioni qualche considerazione si potrebbe azzardare. Basta guardare alcune descrizioni, come approvvigionamenti, servizi e altro. E ricordiamoci sempre di controllare le “consulenze”: sono uno dei “must”.
Con il livello di dettaglio seguente si può già immaginare di potere andare a chiedere conto a chi di dovere. E’ verosimile che ogni riga di spesa sia responsabilità di qualcuno. E si tenga inoltre conto che  i dettagli di riga accorpano circa 800 centri di costo "minori" che includono comunque sempre centinaia di milioni di euro di costi.


Questa è un’emergenza nazionale. Non c’è più tempo.
Contestualizziamo.
Il debito pubblico ad aprile è arrivato a 2.146 miliardi di euro.
Non si cerchi di fare analisi. Non servono.
Basta un dato molto più semplice. Il dato precedente (marzo, mi pare) era 2.120.
Non ci vuole un genio a capire che 25 miliardi in più al mese sono 300 all’anno.
Qua galoppiamo senza freni nella prateria, dritti verso la Frontiera del default.

Far West. Abbiamo lo sceriffo. Mettiamo le taglie.
Mai metafora fu più azzeccata? Hanno appena nominato lo sceriffo anticorruzione. Ma la domanda che mi pongo è cosa possa mai fare, e velocemente, in questo gigantesco dedalo di rivoli e rivoletti ?
Ho trovato alcuni dati sulle proprietà dello Stato derivanti da confisca. Sono solo alcune centinaia, poche migliaia forse, per altro frutto di anni di lavoro. Ne parlerò in seguito, ma per ora basti chiedersi come possa lo sceriffo ottenere risultati in fretta.
Perché secondo me in tema di corruzione e corredo di sprechi e appalti siamo davvero nel Far West.
E di seguito cercherò di circostanziare meglio l’affermazione. Sembra che basti pensare ai recenti scandali.
Ma il problema è molto più capillare.

Solo alcuni esempi micro
Qualche tempo fa una persona che reputo intelligente continuava a chiedermi come mai davanti casa sua avessero cominciato un pezzo di strada in tutta evidenza inutile, tagliato alberi secolari e infine lasciata la strada incompiuta. E quand’anche l’avessero terminata sarebbe stata comunque del tutto inutile.
Lo si può definire “il paradigma della Salerno-Reggio Calabria”, replicabile su ogni ordine di scala.
Penso che tutti notino come ogni tanto vengano asfaltate delle strade in buono stato mentre altre molto più malconce sono lasciate distrutte o quasi.
Ho notato personalmente alcune aiuole molto ben dotate (irrigazione, recintini, pianticelle e altro) spuntate a caso, come funghi, in alcune zone della città. Senza alcuna logica perché di fianco ce ne sono altre lasciate in stato di steppa.
Ho visto di recente una fantastica staccionata in legno attorno a una sola delle decine di aiuole dei Giardini Pubblici di Milano di cui una delle belle caratteristiche era appunto quella di non avere “barriere”.
E si potrebbe continuare così, sul livello micro.

E solo alcuni esempi macro
A livello macro si fa un salto di scala, e la rimozione diventa padrona.
Partendo proprio dal file di 1071 pagine, alla fine ci sono delle schede sulle società partecipate statali. Quotate e non. Queste sono spesso partecipanti a o partecipate da società estere in posti che non possono lasciare dubbi.
Le olandesi, le lussemburghesi, le austriache. E così via. Sono tutte location che grazie ai “trattati contro le doppie imposizioni” sono scelte perche meno costose per portare i soldi all’estero “vero”, cioè dove non esistono controlli o vincoli. Ad esempio, se ricordo bene, dall’Olanda si va alle Mauritius e così via. Nessuno apre bocca, nascosti dietro “a qualcosa serviranno”. Dimentichi dell’aggravante che sono aziende pubbliche, che vuol dire dello Stato, che vuol dire dell’Italia. Non delle Mauritius.
Sempre dall’estero si acquistano beni o meglio servizi immateriali come consulenze o brevetti o programmi televisivi che in quanto immateriali non richiedono nemmeno lo “sbattimento” di “taroccare” un magazzino. Ricordo i bilanci Rai: vengono comprati per centinaia di milioni di euro all’anno programmi a presunta utilità futura che in realtà spesso non venivano nemmeno mai trasmessi, ma che comunque non potevano avere per loro natura nessuna molteplice utilità futura. E’ tutta roba che va in onda una volta sola. Sono spese non investimenti. Li chiamano investimenti per nasconderli in altre pieghe del bilancio. Nell’attivo patrimoniale che nessuno va a guardare, essendo concentrato sul conto economico. E ricordo quasi con commozione alcuni dipendenti che addirittura difendevano il management che li aveva manipolati convincendoli della necessità di investire. Ma quali investimenti !
Ricordo poi di un tizio che mi raccontò di essere dovuto scappare da una fiduciaria di Lugano perché appena assunto gli diedero da organizzare i bilanci di alcune delle società in gestione. La prima: fattura di consulenza da 5 milioni di euro a un Ministero senza alcuna spiegazione. La seconda: stesso concetto. E così via. Il titolare della fiduciaria fu arrestato per riciclaggio. E chissà cosa altro avesse combinato.
D’altronde ricordo bene che quando analizzai i bilanci Telecom c’erano miliardi di euro all’anno di servizi e consulenze senza una riga di spiegazione. 

Malvivenza e rimozione
Il punto è che sono fermamente convinto che dove non c’è logica c’è la “malvivenza”.
Ma inoltre secondo me la malvivenza si nutre del meccanismo psicologico della “rimozione”.
Tutti noi vediamo, eppure poi nel nostro subconscio diciamo: “ma no, non è possibile! Ci sarà un motivo”.
Invece non cercate un senso. Non c’è.
E’solo un appalto. Pagato 100 invece di 10.
Così talmente trasparente perché oramai pensano tutti di restare impuniti.
E infatti li beccano al telefono, quando norma di base che conosce anche un bambino è non parlare mai.
Nemmeno “in codice”

Dal “Parassitesimo” al “Rimozionesimo”.
Sono queste le religioni del nostro tempo.
Insomma, quello che voglio dire è che siamo tutti in preda ad un virus “rimozionista”.
Ma a me un’idea è venuta. Ho concepito una terapia “antirimozione”.
Nulla di psicologico, per carità!
La rimozione ce la rimuoveremo a botte di euro.
Perché allora, se siamo nel Far West, comportiamoci di conseguenza.
Ho già scritto di concorsi al risparmio, ma qui ho in mente qualcosa di più diretto.

Sceriffi, taglie e tweet-law
Ho in mente che si mettano delle taglie.
Non incitando ad andare a denunciare in magistratura i fatti, come sento fare da parte di alcuni politici. Fino a che si dovesse recuperare qualcosa siamo in tempo a fare scadere le prescrizioni. Eppoi i magistrati mica possono occuparsi delle aiuole e delle staccionate.
Penso invece a costituire una task force, al comando dello sceriffo plenipotenziario, che raccolga le segnalazioni su web. Altro che i referendum a raffica che oramai vanno di moda.
E che operi in maniera nuova nell’ambito della nuova plenipotenziarietà da sceriffo.
Cioè che operi inquadrata in un suo proprio diritto di rito abbreviatissimo.
Una nuova tweet-law.
Che abbia come focus ultimo le confische senza più strumentali garantismi.
E che operi stimolata dal basso. Dal tessuto sociale.

“Tu che ti sei svegliato e hai aperto gli occhi segnalami cosa vedi.
E allena la tua mente a riconoscere le storture.
Non porre limiti alla tua spazialità mentale.
Tutto quello che di peggio puoi immaginare molto spesso sarà vero.
Puoi farlo anonimo per senso civico.
Oppure puoi identificarti, sempre restando anonimo al pubblico, e se lo sceriffo acchiappa i cattivi e recupera il bottino, a te ne da il 25% .”

Con tanto di reporting live in streaming su: www.Itaglie.it