Scopo di
questo scritto non è seminare il panico o indulgere in disfattismo, quanto
piuttosto prepararsi per possibili eventi futuri.
Molte
considerazioni sono personali.
Molte
possono essere sbagliate, o possono essere ipotesi da verificare.
Ma
servono a descrivere concatenazioni fattuali, nessi causa effetto, e credo che
il quadro generale sia rappresentativo di una possibile realtà prossima
ventura.
Non
bisogna farsi fuorviare dal tono scherzoso dei primi paragrafetti “Pff..”.
Il tema è
molto serio. Anche se la gradazione di catastrofe può essere molto variabile.
E può
sempre darsi che io non abbia capito nulla.
Hard crashing
E’ il
contrario del soft landing. Americano, ma in realtà di tutto il mondo
occidentale.
Di soft
landing si è parlato tanto e poi è sparito.
Io sono
sempre convinto che si potesse fare, ma
la mia visione evidentemente prescinde dalla natura dell’animo umano.
Diciamo
che a malincuore devo credere che fosse utopistica.
Per cui
può anche essere che siamo arrivati al punto che sia necessario mettersi
nell’ordine di idee di una soluzione traumatica che spazzi via lo status quo e
che costringa tutti a ripartire daccapo.
In realtà
credo che qualcuno ci abbia già pensato, per cui a poco serve cercare di immaginarsela
tutti quanti.
Si può
solo cercare di fare qualche ipotesi di previsione.
Considerando
che la conoscenza di un problema grave, ne attenua gli elementi di panico che
esso può generare.
A questo
serve questo scritto, quindi.
Ad essere
preparati almeno in parte nel caso in cui quanto scrivo sia vero.
Click !
Un rumore
familiare.
Inizia
così.
Ma non è
una pistola. Non è un fucile.
E’
peggio. E’ una tastiera.
Il
Generale Ov ha appena aperto le danze.
Le pompe
si fermano con soltanto un piccolo ritardo temporale, sufficiente a strappare a
Ov un sorriso di compiaciuta perfidia.
E’
inverno. Ov ci è abituato. Lui sa che il Generale Inverno è il suo generale
migliore.
Pff…
Qualche
istante dopo la sciura Pina Brambilla si sta avvicinando al fornello per
preparare la tradizionale cassoeula di inizio inverno.
Gira la
manopola del gas e il massimo che ottiene è qualche secondo di uno sfiatato
“pff…"
Sveglia
tutta la sua bile e si bestemmia da sola : “bruta vecia vaca porca; che storia
l’è chesta qui".
Mi sun
qui che lauri. Mi paghi le tasse, beh almeno ogni tanto, e Roma ladrona mi ruba
pure il gas ?
Si
affaccia al balcone e urla : “Uè ma qualcuno mi sa dire cosa succede ? Come me prepari
la cassoeula?"
Bisogna
sapere che nella scala dei bisogni di Milanslow, la cassoeula corrisponde al
latte in polvere per i bambini africani. E’ imprescindibile per la
sopravvivenza del lumbard.
Risponde
la vicina : Uè Pina, Tsu-no-mi.
Senza ancora
immaginare quanto profetica sia la sua risposta.
Ancora
non immagina lo Tsu-na-mi che si sta per abbattere su noi tutti.
Pochi
minuti, e anche la caldaia del riscaldamento si ferma. Per la seconda volta in
pochi minuti un “pff…” pesantissimo, a dispetto della sua origine volatile.
Pochi
minuti e in casa di Pina inizia a scendere la temperatura.
Pina
inizia a imprecare.
Pff.. 2
Negli
stessi momenti Gennaro Esposito si sta avvicinando al fornello per iniziare a
preparare il tradizionale ragù domenicale.
Gira la
manopola del gas e anche lui il massimo che ottiene è qualche secondo di uno
sfiatato “pff…"
Lui ha
geneticamente meno bile a disposizione, e gli esce solo “mannaggi’a maronna. Comme
facimmo ‘mo?”
A Napoli,
senza ragù la domenica si rischia davvero di sfociare in scontri di piazza.
Anche da
lui dopo pochi secondi la caldaia si ferma.
A Napoli
è meno drammatica che a Milano.
Ma resta
il problema della domenica senza pummarola.
A Napoli,
da secoli, il ragù, e la pummarola in genere, sono strumenti di controllo e
coesione sociale.
Il ragù
assicura obnubilazione di massa.
C’è chi
dice addirittura che sia stata deliberatamente diffusa una varietà di pummarola
geneticamente modificata e contenente geni oppiacei.
Pare che
sia stato tramite i migranti finiti nel casertano.
Tutti
farciti di eroinacei, li hanno rilasciati pisciando sui pummaroli, che ora
chiamano Erodori.
E’ una
nuova frontiera di terrorismo. E’ Uroterrorismo.
Pff..3
Anche a
Palermo Carmelo Picciotto si trova nella stessa situazione.
Lo
sfincione lo ha già pronto, e il tempo è bello. Fa caldo.
Quindi,
in fondo, “che minchia ce ne fotte”, pensa Carmelo?
Abile
nell’arte del vedere il bicchiere mezzo pieno per genetica adattiva, gli viene
in mente : “vuoi vedere che se il petrolio segue il gas e va a 200 dollari al
barile risolviamo anche l’annoso problema di Palemmo? Il traffico."
Devo
sincerarmi che non ci siano troppe riserve nascoste, però.
Altrimenti
qua continueranno tutti ad usare la macchina invece delle moto a scureggetto,
che son fastidiose all’udito, ma consumano poco; di petrolio ne basta un dito.
“Caro
cugino come va in Val d’Agri ?”
Ma ce
l’avete davvero ‘u petroglio ?
Azz, dici
che di recente hanno detto che è una delle più grandi riserve d’Europa ?
Ma mi
vuoi dire che ti troverò a cavallo 'e 'nu cammello c’o turbante e ‘o narghilè ?
Va a
finire che facciamo anche noi il nostro califfato ? Il califfato lucano ?
Ma sei
sicuro che i diritti e le concessioni di estrazione siano ancora italiani ?
Vabbè,
trivellate poco però.
Che qua
bisogna insegnare a tutti a non usare più la macchina.
Pff..4
Negli
stessi istanti, anche in Parlamento si ferma il riscaldamento.
Il primo
che se ne accorge è il “deputato zero”, che sbotta.
Oh cazzo
: vuoi vedere che non scherzavano niente ?
Vuoi
vedere che dopo mesi e mesi di avvertimenti questi ci hanno davvero tagliato il
gas ?
E adesso
?
Adesso :
Evviva ! Dentro fa freddo. Tutti fuori a far vacanza. Come quando eravamo a
scuola!
Come
sempre il deputato zero ben rappresenta buona parte della sua casta.
Non ha
capito niente.
Bang !
Tutti
restano concentrati sul problema del gas, che in effetti è un bel problema.
Passa
così inosservata la controffensiva (o paraoffensiva) globale sul fronte del petrolio.
Sempre li
attorno si gira.
Solo
Carmelo ci aveva pensato.
E’ da un
po’ che è spuntata dal nulla anche questa famigerata ISIS.
Come un
fungo propedeutico a farsi bombardare, propaganda un sedicente califfato o stato
Islamico, che per inciso di islamico non ha nulla.
E
comunque pare che siano 30.000, contro più
di 1 miliardo di mussulmani.
Hanno
ragione quelli che dicono che è sbagliato già solo accettarne la definizione di
“islamico”. E’ la porta all’odio
razziale, e a conseguenti strumentalizzazioni anche di guerra. Storia già
vista.
Comunque,
a colpi di missili, obbligano l’occidente a tirare loro addosso delle bombe, a
sparargli.
O fanno
finta di obbligarli.
Sempre a
suon di : Bang !
Di sicuro
controllano qualche pozzo.
Ma
altrettanto di sicuro, non tutti. Anzi, direi pochini.
La vera domanda
quindi è : se il petrolio va a 200 dollari chi ci guadagna ?
E quindi,
Isis per chi lavora ?
E infine,
tutti questi enfatizzati reclutamenti occidentali cosa vogliono dire ?
Nascondono qualcosa ? Qualche sospetto è legittimo.
Wayout !
Questo è
il rumore del riassetto dei macroblocchi geopolitici.
Questo è forse
il rumore di un progressivo disimpegno USA?
Un ritiro
verso un impero più vicino a casa loro ?
Ad
esempio verso un insieme panamericano tipo Nafta (North American Free Trade
Agreement: Canada, Mexico and the United States of America) + Mercosur
(Southern Common Market: Argentina, Brazil, Paraguay and Uruguay). Tanto per fare
qualche ipotesi.
Chissà.
Di sicuro
però, bisogna considerare la questione demografica.
L’insiemistica
imperiale di oggi deve tenere conto del fatto che siamo 7 miliardi, e se
ipotizziamo 5 blocchi imperiali, ognuno conterebbe circa 1,4 miliardi di persone.
Più o
meno quanto tutto il mondo ad inizio 1900.
E questa
non è un dimensione astratta.
Questo è
il dato di quanto grande possa essere ogni mercato interno.
Insomma,
c’è posto (e soprattutto domanda e consumi interni) per tutti.
Si
ricordi che il mercato interno è una delle leve di forza storiche dell’economia
USA, ad esempio.
Ed è
fonte di indipendenza e autonomia.
Chi ha il
suo vero mercato interno può anche permettersi di essere autarchico.
A patto
di avere l’energia e il cibo, in primo luogo.
Quindi, certamente
la concomitanza di eventi sui due fronti, gas e petrolio, sembra anche propedeutica
ad una spartizione, o nuova ripartizione,
coordinata delle fonti energetiche e delle aree di influenza.
USA,
Russia e Cina ?
Ma in
fondo a Pina, Gennaro e Carmelo che gli frega ?
Francia o
Spagna, purchè se magna.
Din !
E’ il
rumore dei soldi.
Pina e Gennaro,
al contrario di Carmelo, non si erano preoccupati di tutte le conseguenze del
taglio del gas.
Solo
degli effetti pratici.
Ma il giorno
dopo il gas inizia a costare 10 volte di più.
E il
petrolio ha raddoppiato il prezzo.
Cosa
succede quindi ?
Nessuno
può più permettersi la macchina.
Il gas
domestico deve essere centellinato.
I prezzi
delle bollette industriali vanno alle stelle.
Il
sistema produttivo resiste solo nei comparti ad alta incidenza di manodopera.
Agricoltura,
artigianato, manifattura di piccola scala.
La grande
industria è alle corde.
Tra
prezzi schizzati in alto e i tagli all’offerta non riesce ad avere abbastanza
energia per funzionare e quella che riceve è carissima.
Qualcuno
sogghigna pensando alla Germania. La Germania si scoprirà alla fine per la sua rigidità ?
Noi ci
salviamo, in parte, con il nostro tessuto di PMI, ma la grande industria
pesante come farà?
Non è che
ci sia tanto da gioire, ma forse un piccolo respiro di parziale sollievo nazionale
ci può stare.
Il nostro
PIL è fatto come segue. Solo il 25% è industriale (351 miliardi). E di questo
buona parte non è da grande industria.
Settore
|
Produzione 2011
|
PIL 2011 (= VA)
|
% su tot. 2011
|
PIL/Produzione
|
Servizi finanziari
|
345.130
|
270.949
|
19%
|
79%
|
Servizi pubblici
|
338.019
|
239.228
|
17%
|
71%
|
Servizi commercio
|
313.636
|
151.512
|
11%
|
48%
|
Industria pesante
|
475.110
|
97.758
|
7%
|
21%
|
Servizi altri
|
175.547
|
95.128
|
7%
|
54%
|
Industria leggera
|
311.537
|
90.735
|
6%
|
29%
|
Industria costruzioni
|
213.952
|
84.502
|
6%
|
39%
|
Servizi consulenze
|
146.490
|
83.527
|
6%
|
57%
|
Servizi logistica
|
202.252
|
78.368
|
6%
|
39%
|
Servizi turismo
|
126.558
|
60.344
|
4%
|
48%
|
Servizi Tlc e informatica
|
92.931
|
47.271
|
3%
|
51%
|
Industria utilities
|
129.054
|
28.639
|
2%
|
22%
|
Agricoltura
|
52.426
|
28.156
|
2%
|
54%
|
Industria alimentare
|
123.163
|
25.213
|
2%
|
20%
|
Industria leggera tessile
|
103.866
|
24.585
|
2%
|
24%
|
Servizi R%D
|
11.676
|
7.537
|
1%
|
65%
|
Totale complessivo
|
3.161.347
|
1.413.451
|
100%
|
45%
|
Industria
|
1.356.682
|
351.432
|
25%
|
26%
|
I
dettagli per settore sono in : http://cloeconomie.blogspot.it/2014/08/2014-08-26-sistema-italia-la-trilogia.html
Ma la
domanda è : quanto ne perdiamo ?
Bisogna
ipotizzare almeno due fattori distinti di blocco di produzione.
- Un fermo macchine completo per assenza di energia, che ipotizzeremo in 30/60 giorni, lungo un arco di tempo da individuare, il quale inciderà fino a 2/12 rispetto al PIL annuale. Sono fino a 50 miliardi considerando, in maniera approssimata, tutta l’industria.
- Una contrazione di produzione dovuta a crollo da panico nei consumi interni. Azzardiamo un – 30%, che vale circa 100 miliardi
In totale
sono 150 miliardi. Il 10% del PIL totale. Tutto sommato sembra ancora
accettabile.
Certo è
che se il primo colpo potrà arrivare all’industria, gli altri settori anche
avranno poco da star allegri.
Basta
immaginare : turismo, commercio, servizi vari. Chi continuerà a comprarli ?
In situazione
di reale economia di guerra tutto si contrae. La propensione al consumo crolla.
Normalmente
è la produzione bellica che si espande, cosa che per altro appare inverosimile
in una guerra immateriale. E speriamo che almeno rimanga solo tale.
Ma per ora
accantoniamo l’idea. Per ora concentriamoci sull’industria.
Quelli
che sembravano dei comparti “sfigati” invece da noi continuano a girare:
alimentare, artigianato, manifattura, agroindustria.
Sono
quelli che “viaggiano” su consumi e domanda interna.
Nei
paragrafi seguenti si trovano alcune ipotesi di quantificazione del blocco in
altri settori.
Autarchia
Questa è
una considerazione specifica. Forse è sbagliata, ma io la vedo così. Di sicuro
il ragionamento vale anche per molte altre nazioni. Vale la pena di farci un
pensiero. Proprio per una situazione di guerra.
Ci si
ritroverebbe a ragionare come per l’insiemistica imperiale, ma su scala più
piccola. 5/7 macroblocchi e xxx paesi microblocchi.
A questo
punto la domanda è: l’Italia è un microsistema potenzialmente autarchico ?
Possiamo restare in piedi da soli ?
Il nostro
sistema di PMI è flessibile e produce quello che ci serve per la sussistenza.
Produciamo
l’agroalimentare. Anche se importiamo grano, in ipotesi di minori consumi forse
ci stiamo dentro.
In ogni
caso abbiamo un’agricoltura con ampio margine di crescita.
Importiamo
energia, certo, ma anche in questo caso in ipotesi di contrazione di consumi
forse ci stiamo dentro in larga parte con idroelettrico e riserve di petrolio e
gas nazionali.
Abbiamo
un sistema bancario autonomo, quello nato con le banche di interesse nazionale.
Abbiamo
scuole, sanità e pensioni.
Abbiamo
le TLC (?)
Abbiamo
l’informazione (…..)
Ovviamente
abbiamo i trasporti e le auto.
Insomma,
in ipotesi di attacco, forse possiamo resistere da soli.
Exp !
E’ il
rumore dell’export.
Perché
attenzione: in un sistema adattivo complesso tutto è collegato.
Se la
Germania crolla, noi ci perdiamo 50 miliardi di esportazioni.
Come
nostri clienti seguono subito a ruota Francia (43 mld) e Stati uniti (26 mld).
Il dettaglio totale è in “2014 08 29 – Geopolitica,
insiemistica imperiale, commercio e guerre.”
In ogni
caso è verosimile che tutti si “richiudano in se stessi”.
Facendo
un’ipotesi, in un battibaleno ci potremmo trovare a 200 mld di esportazioni
rispetto a quasi 400 di prima. Se va bene.
Imp !
A questo
punto diventa fisiologica la necessità di ridurre le importazioni.
Ma tutto
sommato forse è meglio così ?
Considerato
che la bolletta energetica, che pre-crisi pesava per 70 miliardi, potrebbe forse
essere ben più cara, dovremmo tagliare altrove.
Allo
stesso link di “Exp !” ci sono anche i dettagli delle importazioni, qui sotto
riportati.
In
tabella qui di seguito ci sono 300 miliardi (senza energia) di potenziale
produzione e consumo nazionale.
Liberi di
scegliere. Ma la domanda da porsi sarà : “cosa compro all’estero di davvero
indispensabile ?”
Sapendo
che se davvero dovessi perdere 200 miliardi di esportazioni e pagarne 100 in
più di energia, per andare a pareggio dovrei tagliare proprio 300 miliardi di
importazioni.
Facendo
anche una particolare attenzione a
quanto tempo ci metterei a farlo e a riconvertire quegli acquisti in produzione
locale.
Il tempo
comporta costi. Ogni cifra annuale andrebbe immaginata frazionata mensilmente,
in modo da essere più gestibile.
Bilancia corrente 2013. Esportazioni
e importazioni
Settore
|
Exp
|
Imp
|
Bilancia
|
|
Prodotti industria
estrattiva - oil & gas
|
1.195
|
-59.339
|
-58.144
|
|
Sostanze e prodotti
chimici
|
25.514
|
-34.667
|
-9.153
|
|
Prodotti della
metallurgia
|
27.312
|
-28.406
|
-1.094
|
|
Prodotti alimentari,
bevande e tabacco
|
27.468
|
-28.037
|
-569
|
|
Autoveicoli, rimorchi
e semirimorchi
|
26.447
|
-24.148
|
2.299
|
|
Macchinari ed
apparecchi meccanici
|
71.597
|
-22.282
|
49.315
|
|
Computer, apparecchi
elettronici e ottici
|
12.272
|
-22.171
|
-9.899
|
|
Articoli farmaceutici
e chimico-medicinali
|
19.625
|
-20.569
|
-944
|
|
Apparecchi elettrici
|
20.227
|
-12.874
|
7.353
|
|
Prodotti
dell'agricoltura
|
5.973
|
-12.652
|
-6.679
|
|
Coke e prodotti
petroliferi raffinati
|
16.355
|
-12.232
|
4.123
|
|
Altri prodotti
|
9.182
|
-12.196
|
-3.014
|
|
Articoli di
abbigliamento
|
17.785
|
-11.553
|
6.232
|
|
Articoli in gomma e
materie plastiche
|
13.897
|
-8.517
|
5.380
|
|
Prodotti delle altre
industrie manifatturiere
|
7.443
|
-6.870
|
573
|
|
Prodotti in metallo
|
18.172
|
-6.758
|
11.414
|
|
Carta e prodotti di
carta
|
6.203
|
-6.288
|
-85
|
|
Prodotti tessili
|
9.400
|
-6.156
|
3.244
|
|
Altri mezzi di
trasporto
|
10.716
|
-5.253
|
5.463
|
|
Calzature
|
8.395
|
-4.437
|
3.958
|
|
Articoli in pelle
(escluso abbigliamento) e simili
|
9.391
|
-4.388
|
5.003
|
|
Vetro, ceramica,
materiali non metallici per l’edilizia
|
9.321
|
-3.170
|
6.151
|
|
Legno e prodotti in
legno e sughero no mobili
|
1.510
|
-2.879
|
-1.369
|
|
Gioielleria,
bigiotteria e pietre preziose lavorate
|
6.048
|
-1.911
|
4.137
|
|
Mobili
|
8.356
|
-1.575
|
6.781
|
|
Totale
|
389.804
|
-359.328
|
30.476
|
Oil !
La grande
industria arranca anche da noi, ma ecco un coniglio dal cilindro: la Basilicata
!
Il
più grande giacimento di petrolio dell'Europa continentale, secondo Wikipedia
Ecco che
nel periodo di intervallo del perdurare di questa catastrofe economica entra in
gioco un concetto ai più oramai desueto.
Quello
delle riserve strategiche.
In primis
quelle energetiche.
Non per
niente vengono definite strategiche.
Perché
servono proprio in tempo di guerra, e sopratutto perché sono un vero bene
primario.
E potrei
anche immaginare che si possano utilizzare anche se non ancora perforate e in
estrazione effettiva.
Si possono
fare degli accordi commerciali per cui cedo riserve ad utilizzo futuro a fronte
di energia immediata.
Insomma per
qualche tempo forse si dovrebbe tirare.
Plop !
Non è
mica finita, anzi è appena iniziata.
Plop è il
rumore che fa una bolla di sapone quando scoppia.
E lo fa
anche una bolla finanziaria.
Chissà
quante ce ne sono al mondo ?
Il punto
è che se l’economia reale si arresta e il PIL ad esempio scende del 20% tutto il sistema finanziario, che tra l’altro è
strutturato a leva (con il debito) rispetto al sottostante reale, crolla di
conseguenza e in misura più che proporzionale proprio perché gravato dalla
leva.
Ovviamente
più una attività finanziaria è “gonfiata” più grande sarà il crollo.
Ma nel
nostro caso è ancora più semplice.
Non devo
neanche fare scoppiare le bolle. Lo faranno da sole.
Si
immagini che per il blocco del PIL, il
20% dei prestiti concessi dalle banche al sistema di botto non rientri nelle banche stesse.
Esiste
una sola possibilità: che defaultino anche le banche, con una reazione a catena
di proporzioni bibliche.
Bolle o
non bolle.
A questo
punto ci perdiamo un’altra bella fetta di PIL.
Il
settore finanziario in Italia incide per
270 miliardi all’anno.
Se va
bene ne resta in piedi la metà ? Non so, sono davvero ipotesi da tirare come i
numeri al lotto.
Ma per un
-50% quasi quasi ci metterei la firma.
Ipotizziamo
quindi , di perdere altri 150 miliardi di PIL, che aggiunti ai 150 industriali ci
portano a – 300.
Senza
considerare possibili deficit nella bilancia dei pagamenti, e assumendo che si
riesca a mantenerla da subito almeno in pareggio.
Il nostro
Pil, passa da 1.500 a 1.200 miliardi.
Ogni
italiano perde: 300 mld/ 60 milioni = 5.000 euro/anno
E non si
può far niente.
Bisogna
solo trovare il modo di starci dentro.
Frr!
Ma prima
ancora si deve considerare che il crollo delle banche scatenerebbe la classica
reazione a catena che possiamo rappresentare con il concetto di “corsa agli
sportelli”.
Frr è il
rumore dei soldi che escono dal bancomat.
Quel
rumore tanto caro e oramai dato per scontato.
Fino a
che non ci ritroviamo davanti ai bancomat vuoti, appunto.
Questa
corsa agli sportelli ha senso ?
In
termini probabilistici assolutamente no.
Le banche
hanno riserve per una frazione del totale della loro raccolta (depositi), per
cui sarebbero solo pochissimi ad arrivare in tempo.
Ma questa
è statistica.
Ovvio che
la paura è un’altra cosa.
Resterebbe
la consolazione di potere ripensare per il futuro ad un sistema bancario e
finanziario differente.
Ma
intanto il sistema attuale verrebbe raso al suolo quasi del tutto.
Si
bloccherebbe tutto, e si dovrebbe solo contare sulle riserve eventuali detenute
dalle banche o su quelle di Stato, convertite in una qualche forma di moneta,
seppur insufficiente.
Senpre ammesso
che le banche di riserve ne abbiano ancora e che non siano state prosciugate
dalla corsa agli sportelli
E’
possibile che si ritorni al baratto ?
Chi lo
sa. Magari si. E magari scopriremmo che il baratto richiede un’interazione
personale ed è fonte di aggregazione sociale. Al contrario di un bancomat.
Ma è
impossibile fare previsioni realistiche. Almeno per me.
Giusto
per amor di completezza contabile, dobbiamo però fare un’ipotesi.
Ipotizziamo
di perdere altri 100 miliardi di PIL finanziario.
In totale
siamo a – 400.
Sempre se
la bilancia commerciale resta in pareggio.
E
chiudiamo il paragrafo con una domanda : e l’Euro in tutto ciò che fine fa?
Swift !
Ma ammettiamo
pure che il sistema finanziario a questo punto abbia resistito per qualche
miracolosa alchimia contabile.
E’ assai
verosimile che chi aspetta (o ha creato) il crash, lo faccia per fare shopping.
E se i
prezzi non sono scesi abbastanza, abbia un piano di riserva.
Questo è
facile ed è sempre incentrato sulle riserve monetarie.
Ho già
detto che una possibile guerra finanziaria assomiglierebbe normalmente ad una
partita di backgammon.
Ma questo
vale in un sistema stabile.
In un
sistema in crisi, che già si sta avvitando su se stesso, avere a disposizione
le riserve comporta possibilità di intervento (acquisto) molto più drastiche
(efficaci).
Ogni
importo disponibile vale molto di più che in condizione di stabilità, proprio
perché si sa già che a breve termine ogni prezzo di acquisto sarà più basso.
Si può
giocare allo scoperto, e tenersi le riserve per lo” shopping da fondo” o “a
strascico”
A questo
punto va spiegato il titolo : sono uscite di recente notizie su di una
possibile uscita o estromissione della Russia dal circuito interbancario Swift.
La Russia
ha dichiarato che se lo farà per conto suo, mi pare.
Probabile
che lo abbia già, altrimenti sarebbe una dichiarazione suicida.
Ciò a me
evoca due cose :
- un nuovo impero in stasi ma già pronto
- società detentrici di riserve occulte invisibili e quindi inattaccabili e inconoscibili (quanto valgono ? quanti soldi hanno in pancia ?)
Bot !
Questo
invece è un suono davvero.
Ed è pure
onomatopeico : “Bot : cazzo che Bot!
E’ il
suono del default.
Inevitabile,
perché anche ammettendo di fare grossi tagli alle spese dello Stato (paragrafo
cut !), questi non si faranno istantaneamente.
Se
defaultiamo, bisogna aspettarsi tassi di rifinanziamento almeno al 10%.
A quel
punto il break even (il tasso di pareggio) con la situazione attuale si colloca
a 1.000 miliardi di debito, rispetto ai
2.170 attuali. Questi 1.000, costerebbero 100 miliardi di interessi all’anno.
Come adesso. Un po’ di più.
Forse allora
ha più senso un congelamento o una ristrutturazione del debito nazionale, dei
residenti persone fisiche, al limite con il pagamento di soli interessi per un certo
numero di anni, ad esempio.
Perché se
devo defaultare, tanto vale immaginare un futuro del tutto senza debito.
E se deve
pagare qualcuno, tutto sommato meglio le banche che i cittadini.
In ogni
caso si deve ricordare che un default, rappresenterebbe sempre un’occasione di
acquisto per qualcuno.
E si
ritorna sempre al tema di chi sarà che potrà fare shopping.
Drin !
Questo è
il suono di una domanda.
O meglio
di una sveglia, che ci sveglia dall’incubo.
Quanto
può durare tutto ciò ?
Quando
suonerà la sveglia a decretare la fine e il nuovo assetto mondiale ?
Io non ne
ho davvero idea.
Cash !
Una cosa
è certa. Più dura, più ci affossa, e meno costerà comperarsi le nostre macerie.
E chi è
che può comprarsele ?
Ammesso e
non concesso che gli USA siano in uscita (paragrafo wayout!) chi rimane con
tante riserve da potersi presentare come compratore che con pochi spiccioli, ma
pronti sull’unghia, si accaparri il meglio ?
La Cina,
in primo luogo. E’ il Paese con maggiori riserve ufficiali.
Ci
sarebbe il Giappone, ma abbiamo già visto che le usa per nettare il debito. In
pratica ci fa carry trade (si chiama così). Prende soldi a prestito a tassi
prossimi a zero e li reinveste in prodotti finanziari presumibilmente redditizi.
Dallo Stato nazione allo Stato finanziaria.
Ma tutto ciò
senza contare la rete di risorse occulte parcheggiate offshore, naturalmente.
Ad
esempio, al riguardo, dai dati del FMI la Russia avrebbe soltanto 200 miliardi
di debito lordo e zero di netto. Per differenza, vorrebbe dire 200 miliardi di
riserve.
Tanto per
fare un paragone, l’Italia ne avrebbe di più: 335 miliardi secondo il FMI, con
il debito a 2.034 (la correlazione debito-riserve la spiego più avanti).
Mi pare
davvero improbabile che noi abbiamo più riserve della Russia.
Molto più
plausibile che le loro siano disseminate chissà dove in giro per il globo.
In ogni
caso, grazie all’uscita dallo swift, le riserve russe potrebbero essere e restare
parcheggiate a disposizione in una rete
parallela inattaccabile e imperscrutabile.
Tutto ciò
senza contare che anche ammettendo che gli USA siano in uscita, le prime
riserve ufficiali del mondo le hanno loro.
Ed è
improbabile che gli inventori del capitalismo non sfruttino i saldi per fare
shopping.
Insomma i
futuri “shoppers” secondo me sono sempre gli stessi. In primo luogo USA, Cina e
Russia.
E poi
chissà.
Bit !
Non è mica
ancora finita, però.
Questo è
il rumore della cyber-war, di cui mi parlano spesso.
Attacchi
informatici. Ma a cosa servono ? A rubare i dati personali ? A sapere che porno
guardiamo? Io non credo. O meglio, si lo
credo, ma per finalità diverse da quelle ritenute vere da noi gente comune.
Credo
invece innanzitutto che gli attacchi che possano rientrare nella citata logica
di shopping di guerra.
Non è solo
questione di siti internet, di e-commerce, o cose simili.
Quelli
sono in larga parte i contenuti.
Quello
che veramente ha valore in tema di telecomunicazioni sono le reti. L’hardware.
E ha
valore in primo luogo perché non li posso rifare.
Ipotizziamo
la rete Telecom. Dorsali e doppini dell’ultimo miglio.
Quelli
che arrivano in casa. Nascono decenni fa e non sono replicabili. È impensabile
ricostruire la rete una volta della Sip, tanto per capirsi.
E questo
discorso vale per qualsiasi rete: elettrica, del gas, di trasporti. Il loro
controllo è strategico.
Ma qui
prendiamo in considerazione solo quelle TLC (telecomunicazioni).
Se
qualcuno volesse conquistare la rete
Telecom, ad esempio, potrebbe sottoporla ad attacco fino a bloccarla (ad
esempio per 60 giorni in un arco temporale da individuare) e fino a diffondere
le notizie del furto di dati personali.
Otterrebbe
un duplice effetto :
- la fuga, o almeno il mancato pagamento degli utenti per il servizio che non funziona
- la fuga degli utenti per la paura da mancata privacy.
Come in
altri esempi citati, il prezzo di Telecom crollerebbe e la stessa sarebbe
scalabile a prezzo di saldo.
Ma non
solo.
Tutto il
settore si bloccherebbe, o rallenterebbe, con un crollo conseguente del PIL del
comparto tlc seppur temporaneo.
Il PIL da
tlc e informatica vale 47 miliardi di euro all’anno.
Non
sembrerebbe quindi un grave danno. Ma si deve considerare l’impatto sociale.
Oramai siamo “always on”. E’ una droga. Un black out del networking avrebbe
fortissime ripercussioni sociali.
Il tutto
considerando anche che le reti sono concetto assai fumoso, per quanto è dato di
conoscere ai più.
Reti,
dark o deep web, satelliti, reti radar, militari, web semantico, oscillazioni
orbitali, civiltà dell’intelletto.
Sono
alcuni esempi di termini poco noti ma sicuramente tutti parte di una macedonia
meta-informatica a forte valenza strategica futura, ma ai più oscura.
Tax !
Questo
non è un suono, le tasse non fanno rumore, ma è onomatopeico al contrario.
Mentre
qualche politico già pregusta la vacanza forzata per la chiusura del
Parlamento, da dentro il MEF li chiamano agitati.
“Correte,
venite dentro, c’è un altro problema !”
Senza
parte del Pil, che è sceso di 450 miliardi solo nei comparti industriale,
finanza e tlc (senza contare la bilancia commerciale), ci mancano tasse per
200/250 miliardi all’anno
Le spese
dello Stato di 400/500 miliardi, non ce le possiamo più permettere.
Cut !
Ops…Vuoi
vedere che è la volta buona che :
- si taglia tutto il tagliabile e
- si tassa tutto il tassabile ?
Può
darsi, pensa il deputato zero, ma dovremmo dare tutti il buon esempio.
Fino a
che non avremmo aggiustato questo casino dovremmo lavorare gratis. Cazzo.
Bisognerà
anche ricordarsi che lo tsunami è appena iniziato e stavolta o si fa un vero
turn around o la gente si incazzerà per davvero.
Il
problema è quello di dove tagliare e dove incassare
Si devono
preservare la scuola, la sanità e le pensioni.
Altrimenti
il futuro sarà inesistente.
Cosa
resta ? Tutto il resto.
Altro che
spending review. Qua si dovrà entrare dentro con il bulldozer.
Con due
implicazioni principali.
- Un crollo ulteriore dei consumi. Il settore pubblico vale 240 miliardi di PIL .
- L’aumento della disoccupazione da licenziamenti pubblici. Gli impiegati pubblici Statali, su base 12 mesi, sono 1,7 milioni che costano 75 miliardi all’anno.
L’unica
consolazione sta nel fatto che dovrò trovare 200 miliardi circa, ma questi
possono essere anche da maggiori ricavi.
Non avrò quindi
più scuse per giustificare :
- l’evasione;
- la non tassazione del sommerso.
Se da
queste due voci portassi a casa 100 miliardi, me ne resterebbero da tagliare 100 circa, pari
al 25 % delle spese totali.
Il che
sarebbe plausibile.
Disoccupazione e rebound pensioni
Per
arrivare a una sintesi in termini di numeri/persona, vale a dire di maggiori disoccupati
e di come li si potrà mantenere, che è pur sempre la vera responsabilità dello
Stato, si deve considerare che le
contrazioni di PIL hanno la conseguenza di produrre nuovi disoccupati.
Ma
oltre a ciò, nuovi disoccupati comportano minori contributi versati e quindi la
necessità di una riallocazione delle pensioni che sono riassunte in : 2014
08 21 - Le pensioni - Dalla welfare review alla dignità minima e nella seguente tabella.
Fino a 1.000 eur
|
Fino a 2.000 eur
|
Oltre 2.000
eur
|
TOTALE
|
|
Numero milioni
|
15,046
|
5,156
|
2,378
|
22,580
|
Importo miliardi
|
91,009
|
87,990
|
84,274
|
263,274
|
Media mensile
|
504,1
|
1.422,1
|
2.952,8
|
971,6
|
La
premessa doverosa è che abbiamo una forte contrazione dell’economia e
l’esigenza di garantire la sussistenza a tutti, inclusi i nuovi disoccupati,
deve essere soddisfatta con le risorse esistenti.
Non posso
usare le riserve, non posso aumentare il debito.
Devo
trovare i soldi in casa.
- Il blocco del PIL a 1.000 mld invece di 1.500 equivale a una riduzione del 33%. Un terzo.
- In termini di minori incassi di contributi, possiamo assumere un terzo di 263 miliardi. Questo vuol dire minori incassi dell’Inps per circa 90 miliardi.
- Restano quindi 263-90 = 175 miliardi da gestire.
- In termini di disoccupati in più, possiamo assumere un terzo (la riduzione del PIL) dei 21/22 milioni di occupati attuali. + 7 milioni. A cui aggiungere i dipendenti pubblici (una parte di 1,7 milioni). Assumiamo che siano 8 milioni in più in totale.
- Le persone/pensioni totali a carico Inps diventano quindi 22,5 + 8 milioni. Arrotondato a 30 milioni.
- A questo punto devo considerare che siamo in guerra. Abolisco privilegi e diritti acquisiti e opto per una pensione di sopravvivenza uguale per tutti. Flat. Con buona pace di chi aveva versato più contributi.
- Avendo a disposizione 175 miliardi, posso erogare 175 mld/ 30 milioni = 5.800 euro/anno a testa. Pari a 486 euro al mese. Questi senza ulteriori tassazioni a carico.
Per
concludere, anche in questo caso avrò una contrazione dei consumi, ma non per
la riduzione delle pensioni mensili, bensì per il fatto che non ho più 90
miliardi (quelli da minori contributi) da fare spendere.
Economia di guerra
A questo
punto val la pena riprendere alcune considerazioni sul concetto di economia di
guerra. Prendiamo a riferimento la definizione di Wikipedia.
2.3 Economia di
guerra da . http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra#Economia_di_guerra
Nell'economia di guerra, lo Stato nazionale emette una
quantità di moneta crescente. Una simile emissione causa svalutazione e
iperinflazione che impoveriscono la popolazione e possono arrivare perfino ad
azzerare il potere d'acquisto della moneta.
È frequente che i beni essenziali vengano razionati e che il
loro ottenimento venga dunque a prescindere dall'uso della moneta.
In vista dei
conflitti, gli Stati accumulano riserve anche sotto forma di oro,
investimento in sé poco conveniente perché non genera interessi, diversamente
dagli strumenti finanziari o da un investimento produttivo. Tuttavia, l'oro
conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute si possono deprezzare e gli
strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La disponibilità di oro
rappresenta quindi la garanzia che in cambio si potranno ottenere anche in
futuro le risorse necessarie per i bisogni della guerra.
In tempo di guerra, la spesa militare è una voce rilevante e
spesso predominante della spesa pubblica. Per sostenerla, gli Stati ricorrono
spesso all'indebitamento. Il debito contratto verso soggetti esterni allo Stato
è in genere denominato in valuta estera o in oro. Mentre il debito contratto in
moneta nazionale ne segue le sorti (come il debito italiano nella seconda
guerra mondiale, che in termini reali si ridusse a ben poco dopo la fine del
conflitto) il debito denominato in altre valute o in oro continua
invariabilmente a pesare sull'economia del Paese.
Lo Stato che esce vincitore da una guerra pretende non di
rado dallo Stato sconfitto il pagamento di indennità dette riparazioni di
guerra[6], che coprono in tutto o in parte le spese sostenute e a volte
permettono anche un guadagno monetario. L'origine delle riparazioni di guerra
risale all'antichità e si hanno tracce documentate di
Sistema Italia – Riserve
Del
sistema Italia e relativa autarchia ho già accennato sopra.
Qui
vorrei precisare che esiste un dato contabile che conferma la previsione di
“guerra”, come accenna anche Wikipedia.
Sono le
riserve monetarie o auree. Queste sono un tipico indicatore di preparazione ad
una situazione di economia di guerra.
Ho già
accennato che con il debito a 2.034 mld secondo il FMI avevamo riserve per 335
miliardi.
Negli
ultimi mesi il debito è cresciuto in apparenza fuori controllo fino a
2.170 miliardi.
Vuol dire
+ 135 miliardi, di cui 40 utilizzati per pagare i debiti pregressi verso enti
statali.
E’ una forma
di parcheggio. Sempre se resistono alla
tentazione di spending compulsivo.
In totale
quindi avremmo quasi 470 miliardi di riserve ufficiali.
Ovviamente
la loro limitata dimensione, richiederà un utilizzo controllato.
Queste
non possono essere spese.
Serviranno
per la ricostruzione. Per investimenti ed erogazione di credito alle iniziative
produttive.
Il che confermerà
sicuramente una politica di tagli alle nostre spese di stato.
Sistema Italia – Funding ulteriori rispetto alle riserve
Il debito
è la seconda possibilità di raccogliere risorse.
Utilizzo di
riserve e prestiti esteri. Il sistema monetario è chiuso. Queste sono le vie.
Resta da
capire chi possa comprare nostro eventuale debito.
Ma forse
si può ipotizzare che chi ha le riserve vere possa non solo fare shopping, ma
anche lending.
Il
mercato che si comperano deve restare in piedi, ovviamente.
Possiamo
ipotizzare un piano Marshall russo o cinese ?
Non solo
shopping, ma anche lending ?
Drone war
In Europa
?
Possibile
?
E
speriamo di no, che cazzo.
Non basta
quanto sopra ?
Mi viene
solo la paura che ci sia qualche palazzinaro, che da noi in Italia sono una
specie infestante, che gira con il suo Stealth NanoDrone per tirare giù di
nascosto palazzi da potere poi ricostruire.
Ecco, credo
che chi dovesse incontrarlo difficilmente saprà trattenersi dallo spezzargli
una gambetta.
Come ci si salva da tutto ciò ?
Non ci si
salva.
Ne si può
arginare qualche cosa.
Ma perlomeno
si può pensare di prepararsi. Se non altro spiritualmente.
Saranno
le fasce più deboli, quelle che non hanno margini di ulteriore contrazione di sopravvivenza,
quelle a soffrire davvero.
E non è
inverosimile che reagiscano con violenza. Vorrei vedere.
In ogni
caso il bisogno primario da soddisfare sarà quello di cibo.
Abbiamo
ipotizzato di avere 30 milioni di pensionati e neo disoccupati da mantenere con
la pensione di guerra di 486 euro al mese flat.
Ma questo
dato non tiene conto dei sotto-casta. Di quelli già oggi più poveri di così.
E non
tiene nemmeno conto di possibili blocchi totali alimentari, dovuti ad esempio a
blocchi dei trasporti.
E’
verosimile una corsa alle mense dei poveri.
Come le
finanzio ?
Esistono
solo tre possibilità, non potendo emettere debito pubblico li pesco:
- dalle mie riserve
- da prestiti dedicati esteri o no.
- da privati
Tanto per
fare un’ipotesi, 10 milioni di persone a 3 euro al giorno (pane, patate,
pasta), costano 1.000 euro all’anno ciascuno. Per un totale di 10 miliardi/anno
Non mi
preoccuperei troppo dell’alloggio, invece. Almeno per chi oggi lo ha.
Chi non
riuscisse più a pagare l’affitto potrebbe tranquillamente restare nella casa
occupandola. Credo che forze dell’ordine e governo avranno ben altri problemi a
cui pensare al posto degli sgomberi.
Eppoi, la
disponibilità a concedere l’abitazione sarebbe un atto di giustizia dai più
forti ai più deboli.
Potrà mancare
il gas, il riscaldamento, forse la luce, l’acqua ma sono cose a cui ci si può
abituare facendo di necessità virtù.
Per il
freddo forse a noi italiani, in particolare al nord, correrà in soccorso il
nuovo clima tropicale.
Per la
borghesia, piccola media o grande che sia, in fondo sarà un bagno di salute.
Vorrà
dire un re-imprinting di massa istantaneo ed esplosivo ma che li porterà su un
modello di vita, e quindi di spesa, più sensato.
Sarà un
programma di disintossicazione di massa dalla droga dei consumi, basato sui
principi della psicologia comportamentale.
Reiterando
nuovi comportamenti non consumistici per un certo numero di volte, ad un certo
punto verrà loro naturale.
Garantito.
La comportamentale
funziona sempre. Se poi è obbligata, figuriamoci.
Alla fine
forse riusciranno a vedere che il loro benessere, liberi da modelli di consumo
imposti, è maggiore di prima.
Ma dopo, torneremo a come viviamo oggi ?
No.
Una volta
reimprintato il modello di vita, di spesa e di valori non si tornerà più indietro.
E questa
in fondo forse è la buona notizia.
E la cooptazione offshore ?
Questa
forse è la seconda buona notizia.
Forse
sarà la volta buona che tutti i soldi che sono nascosti off-shore, ritornino
inshore in modo da alimentare le economie reali nazionali.
Ho detto
che esistono solo tre possibilità. Non potendo emettere debito pubblico i soldi
li pesco:
- dalle mie riserve
- da prestiti esteri diversi
- da privati.
In realtà
c’è anche la quarta opzione .
Li pesco
dalle riserve off-shore !!!
Allegati
- Ricerca e produzione di idrocarburi in Italia - Wikipedia
- Guerra – Wikipedia
- Crisi economica della Grecia - Wikipedia
- Guerra, economia di - Treccani
ALLEGATO : RICERCA
E PRODUZIONE DI IDROCARBURI IN ITALIA
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Ricerca_e_produzione_di_idrocarburi_in_Italia
La
ricerca e produzione di idrocarburi in Italia,
praticata fin dall'antichità, inizia con tecniche industriali nella seconda
metà del secolo XIX, e si è sviluppata notevolmente dal secondo dopoguerra a
seguito del ritrovamento di significativi quantitativi di gas
naturale; paragonata ai principali paesi produttori possiede non solo
modesti ma anche grandi giacimenti di petrolio e gas
naturale, tra cui
quelli della val d'Agri(Basilicata)[1],
il più grande dell'Europa continentale, e dell'area di Crotone (Il Campo
Luna-Hera Lacinia), posizionandosi al quarto posto fra i paesi europei
produttori di petrolio e 49º come produttore mondiale di petrolio per quantità
(0,1% sul totale della produzione mondiale)[2][3].
Le
stime della quantità di petrolio nel sottosuolo italiano a fine 2012 sono di
82,1 milioni di tonnellate di riserve certe (equivalenti a 599 milioni di barili[4]),
100,8 di tonnellate di riserve probabili e 55.3 di tonnellate di riserve
possibili; sempre nel sottosuolo sono stimati 59.4 miliardi di smc di riserve certe di metano; 63.4 miliardi
di smc di riserve probabili e 21.7 miliardi di smc di riserve possibili di gas
naturale[5].
Al
31 dicembre 2012 sono vigenti e rilasciati da Direzione
generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico
115 permessi di ricerca (94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di
coltivazione (134 in terraferma e 66 in mare) che si concentrano in
Emilia-Romagna, Lombardia e Basilicata, in mare, l'attività è sviluppata
soprattutto nel mar Adriatico, Ionio e nel Canale
di Sicilia[6].
Sono inoltre attivi 10 campi di stoccaggio di gas naturale,
tutti ubicati in terraferma su giacimenti naturali ormai depletati del loro
contenuto originario di gas, causa loro sfruttamento negli anni passati, a
fronte di 15 concessioni di stoccaggio di gas rilasciate[7].
Il gettito delle royalties per l'anno 2012 è stato di 333.582.602,81 euro[8][9].
1.1 Indice
- 1 Storia della ricerca e produzione degli idrocarburi
- 2 Prima del periodo industriale
- 3 Secolo XIX
- 4 Secolo XX
- 4.1 Inizio Secolo
- 4.2 1940 la svolta della sismica a riflessione
- 4.3 La crescita nel secondo dopoguerra
- 4.3.1 Lo sviluppo della Val Padana
- 4.3.2 Le prime scoperte di petrolio siciliano
- 4.3.3 Inizia la ricerca offshore
- 4.3.4 Ricerca lungo il margine appenninico
- 4.4 La ricerca e produzione a seguito della crisi energetica
- 4.5 Liberalizzazione della attività nella Pianura Padana
- 4.6 Nuove scoperte
- 5 Royalties
- 6 Ricerca in giacimenti non convenzionali
- 7 Produzione
- 8 Note
- 9 Bibliografia
- 10 Voci correlate
- 11 Collegamenti esterni
1.2 Storia della ricerca e produzione degli idrocarburi
Affioramento naturale di bitume in biocalcareniti
in una cava abruzzese vicino
a Lettomanoppello
nell'area della Majella
I
numerosi affioramenti naturali di petrolio, in
parte ancor oggi presenti in varie zone della penisola italiana, specialmente
lungo tutto l'Appennino
e in Sicilia, erano ben noti nel passato, e localmente sfruttati per usi vari e
testimoniano la genesi e presenza nel sottosuolo di idrocarburi in varie
località italiane[1].
Nell'Antichità
lo sfruttamento era mirato soprattutto alla raccolta del bitume affiorante
naturalmente, utilizzato principalmente come mastice e impermeabilizzante, e al
petrolio recuperabile fuoriuscente da alcune sorgenti naturali, usato come
medicamento (in particolare per affezioni della pelle) e come olio illuminante.
Uno
sfruttamento, sempre fatto con metodi artigianali, ma con maggiori finalità
commerciali inizio' verso al fine del medioevo, continuando in modo non
sistematico, per tutto il periodo preunitario.
A
partire dalla metà del secolo XIX, in coincidenza con l'inizio della lenta
transizione italiana verso un'economia industriale, l'utilizzo del petrolio,
inizialmente richiesto soprattutto per l'illuminazione, divenne sempre più
diffuso, e questa presenza naturale di petrolio in superficie stimolò una
attività di ricerca sistematica e produzione di idrocarburi.
A
partire dal secondo dopoguerra la ricerca petrolifera, venne condotta con mezzi
moderni e sfruttando le conoscenze derivanti dai progressi delle scienze geologiche,
che a loro volta si giovano delle scoperte effettuate lungo la penisola,
durante le fasi esplorative. Tutta questa attività ha portato ad oggi, assieme
alla ricerca e produzione di gas natura
ALLEGATO : GUERRA ED
ECONOMIA DI GUERRA
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra#Economia_di_guerra
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|
Per
guerra (in inglese war, tedesco
krieg, francese guerre, spagnolo
guerra) si intende un fenomeno collettivo che ha il suo tratto
distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati[1].
Nel suo significato tradizionale la guerra è un conflitto fra stati sovrani o coalizioni
per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una controversia
internazionale più o meno direttamente motivata da veri o presunti (ma in
ogni caso parziali) conflitti di interessi ideologici ed economici[1].
Il
termine guerra deriva dalla parola werran dell'alto tedesco antico,[2] che
significa mischia. Nel diritto internazionale, il termine è stato
sostituito, subito dopo la seconda guerra mondiale, dall'espressione
"conflitto armato", applicabile a scontri di qualsiasi dimensioni e
caratteristiche.
Le
guerre sono combattute per il controllo di risorse
naturali, per risolvere dispute territoriali e commerciali, per motivi economici, a
causa di conflitti etnici,
religiosi
o culturali,
per dispute di potere e per molti altri motivi. Si giunge alla guerra quando il
contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non
riesce a trovare una soluzione negoziata attraverso la diplomazia,
o quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il
conseguimento dei propri obiettivi.
La
guerra è preceduta da:
- un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
- un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
In
età moderna, nei periodi di tensione e di crisi, si può sviluppare un'attività
politica e diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare
il conflitto: in tali periodi, le forze
armate giocano un ruolo rilevante nel dimostrare la credibilità e la
determinazione dello Stato,
con lo scopo deterrente di rendere evidente all'antagonista la sproporzione fra
l'obiettivo da conseguire e il costo, sociale e materiale, di una soluzione
militare. La guerra quindi può essere evitata quando ambedue i contendenti
percepiscono questo sfavorevole rapporto.
Carl von Clausewitz, nel suo libro Della
guerra, compie un'analisi del fenomeno: «La guerra è la continuazione
della politica con altri mezzi» e «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo
di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»
La
guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione,
sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti, sull'immaginario collettivo, che spesso la
cambiano nella sua essenza, esaltandola o condannandola.
In
Europa non si
sono più combattute guerre per motivi religiosi dal 1648, anno della pace
di Vestfalia che chiuse la guerra dei trent'anni[3][4]
1.3 Indice
- 1 Passaggio formale dalla pace alla guerra e viceversa
- 2 Economia di guerra
- 3 Tipi di conflitto
- 3.1 In base all'estensione territoriale
- 3.2 In base al tipo dei soggetti che la combattono
- 3.3 In base ai mezzi impiegati
- 3.4 In base alla soggettività internazionale dei contendenti
- 4 Altre definizioni dei conflitti
- 5 Diritto bellico
- 6 Aspetti antropologici
- 7 Aspetti etici
- 8 Aspetti economici
- 9 Analisi statistica
- 10 La guerra negli scritti
- 11 Note
- 12 Bibliografia
- 13 Voci correlate
- 14 Altri progetti
- 15 Collegamenti esterni
1.4 Passaggio formale dalla pace alla guerra e viceversa
Battaglia di Chocim (1673), durante la
guerra fra Polonia
e Impero
ottomano, in un dipinto di Juliusz Kossak (1892)
Fino
la seconda guerra mondiale era prassi di diritto internazionale ampiamente osservata
il far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra. Le alleanze
militari fra Stati obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se un altro
Stato violava la neutralità e l'integrità territoriale, invadendo i confini
esterni di uno Stato partecipante con le proprie truppe, oppure ne manifestava
la volontà con una dichiarazione di guerra: i patti di mutua assistenza
militare propagavano rapidamente le dimensioni dei conflitti.
Generalmente,
il conflitto armato comincia a partire da un evento specifico, il cosiddetto casus belli:
un'invasione
militare, l'uccisione nemica di concittadini, come soldati, o beneficiari
dell'immunità diplomatica, come ambasciatori,
capi di Stato o reggenti.
Anche incidenti diplomatici possono innescare crisi che si risolvono in un
conflitto armato, a causa di inosservanze dei protocolli diplomatici, come non
presentarsi a una convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore,
ingerenze politiche sulle nomine, dichiarazioni offensive senza scuse o
smentite ufficiali degli organi di stampa ed eventuali dimissioni del
dichiarante. Preso a sé, il casus belli può essere anche non molto grave, ma la
sua importanza è amplificata dalle tensioni e dagli attriti già esistenti.
La
guerra spesso si manifesta insieme a un periodo di sospensione dello Stato
di diritto nel quale il diritto e la giustizia militare si sostituiscono a
tutte le altre fonti della giurisprudenza.
Con
l'avvento dell'ONU, il cui statuto condanna lo
Stato aggressore e consente allo Stato aggredito di difendersi con
immediatezza, la dichiarazione di guerra è praticamente scomparsa dallo
scenario internazionale. Molte Costituzioni,
fra le quali quella italiana, ammettono
la guerra di sola difesa. Nessuno Stato è infatti disposto a dichiararsi
aggressore con una tale procedura, mentre infiniti sono gli appigli per
dichiararsi aggredito. In definitiva lo Statuto dell'ONU, che nelle intenzioni
doveva servire a far scomparire la guerra, ha fatto invece scomparire soltanto
la dichiarazione di guerra.[senza fonte]
Secondo
quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa
dall'azione di chi offende, ma dalla reazione di chi si difende: se non ci
fosse reazione, infatti, si verificherebbe un'occupazione e non un conflitto armato. Tale fu
il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria da parte
della Germania
nel 1938.
Si
ha pertanto l'inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento
fra forze contrapposte.
La
guerra non si conclude però semplicemente con la cessazione dei fatti d'arme;
più formalmente è necessario che si verifichi uno dei seguenti eventi:
- un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle parti che lo stipulano;
- la resa incondizionata di una parte;
- la debellatio di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze armate, l'occupazione totale o annessione del suo territorio e la cessazione di ogni attività politica anche interna.
Talora,
un Paese che vuole entrare in conflitto compie azioni per provocare a guerra
l'aggressore e poter reagire, non necessariamente si inizia un conflitto con
un'occupazione militare di un territorio straniero.
Dalla
seconda metà del ventesimo secolo a seguire, molte guerre sono state combattute
senza essere dichiarate, con interventi militari giustificati come aiuti a
governi "fratelli" come la guerra del Vietnam, l'invasione sovietica
dell'Afghanistan, o semplicemente con una azione militare diretta come o guerra
di Corea o l'invasione del Kuwait. A volte a queste guerre
hanno fatto seguito altre azioni ad esse collegate, come la prima guerra del Golfo nella quale una
coalizione, in forza di un mandato dell'ONU, ha schierato sul campo un potente
esercito appoggiato da forze navali ed aeree che hanno rimosso il contingente
iracheno di occupazione dal Kuwait e distrutto gran parte dell'armamento
terrestre ed aereo delle forze armate irachene disarticolandone le unità
operative ma non occupando permanentemente il territorio dell'Iraq.
1.4.1 Peacekeeping
Anche
le cosiddette operazioni di peacekeeping,
missioni militari armate e alle quali un mandato internazionale (ONU o Unione
Europea) ha conferito legittimità, se non possono essere considerate
tecnicamente guerre presentano per il personale impegnato tutti i rischi di
quelle operazioni, con limitazioni ancora maggiori dal punto di vista delle
regole operative. Nell'accezione dàtagli dalle Nazioni
Unite, il peacekeeping è "un modo per aiutare paesi tormentati da
conflitti a creare condizioni di pace sostenibile".[5] Il
personale civile e militare della missioni ONU viene fornito dai paesi membri
Queste
operazioni vengono compiute in territori sconvolti da guerre civili e le truppe
impiegate dovrebbero fungere da forza di interposizione tra i contendenti e
stabilizzazione del territorio, ma se necessario possono usare la forza
necessaria a fermare azioni violente contro civili indifesi. Nondimeno la loro
presenza non ha impedito episodi come il massacro di Srebrenica, avvenuto durante la guerra civile jugoslava sotto gli occhi di
un battaglione di caschi blu olandesi.
1.5 Economia di guerra
Nell'economia
di guerra, lo Stato nazionale emette una quantità di moneta crescente.
Una simile emissione causa svalutazione e iperinflazione
che impoveriscono la popolazione e possono arrivare perfino ad azzerare il potere d'acquisto della moneta.
È
frequente che i beni essenziali vengano razionati e che il loro ottenimento
venga dunque a prescindere dall'uso della moneta.
In
vista dei conflitti, gli Stati accumulano riserve anche sotto forma di oro, investimento in sé
poco conveniente perché non genera interessi, diversamente dagli strumenti finanziari o da un investimento
produttivo. Tuttavia, l'oro conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute
si possono deprezzare e gli strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La
disponibilità di oro rappresenta quindi la garanzia che in cambio si potranno
ottenere anche in futuro le risorse necessarie per i bisogni della guerra.
In
tempo di guerra, la spesa militare è una voce rilevante e spesso predominante
della spesa pubblica. Per sostenerla, gli Stati ricorrono
spesso all'indebitamento. Il debito contratto verso soggetti
esterni allo Stato è in genere denominato in valuta estera o in
oro. Mentre il debito contratto in moneta nazionale ne segue le sorti (come il
debito italiano nella seconda guerra mondiale, che in termini
reali si ridusse a ben poco dopo la fine del conflitto) il debito denominato in
altre valute o in oro continua invariabilmente a pesare sull'economia del
Paese.
Lo
Stato che esce vincitore da una guerra pretende non di rado dallo Stato
sconfitto il pagamento di indennità dette riparazioni di guerra[6],
che coprono in tutto o in parte le spese sostenute e a volte permettono anche
un guadagno monetario. L'origine delle riparazioni di guerra risale
all'antichità e si hanno tracce documentate di questa usanza già nel 440-439 a.
C, quando la città di Samo
sconfitta da Atene
dovette pagare a questa le spese dell'assedio da essa stessa sostenuto e perso[6].
Nell'era moderna fu Napoleone Bonaparte a collegare
inscindibilmente il pagamento dei danni di guerra al trattato di pace che la
concludeva, pretendendo dai vari stati sconfitti, come Austria, Prussia, Spagna ed altri, il
pagamento in natura e valuta dei danni, stimati dal vincitore; la pratica venne
poi ripetuta a ruoli invertiti dopo la sconfitta dell'Impero
Francese, e ancora dai prussiani verso la Francia che aveva perso la guerra del 1870; allo stesso modo gli Alleati, su
espressa richiesta del presidente statunitense Woodrow
Wilson, pretesero dai tedeschi un risarcimento dopo la fine della prima guerra mondiale, ma la sua entità venne
calcolata tale da essere considerata altamente punitiva dai britannici, che
esitarono prima di appoggiare le pretese francesi[6].
Le conseguenze di queste riparazioni sull'economia tedesca, sommate a quelle
indotte dalla grande depressione del 1929, furono tali da
venire additate da molti come una delle cause che spinsero i tedeschi ad
appoggiare l'avvento del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale.
1.6 Tipi di conflitto
I
conflitti possono essere diversamente classificati in relazione al numero
piuttosto vasto dei loro parametri.
1.6.1 In base all'estensione territoriale
- Conflitto mondiale: conflitto esteso a più teatri operativi collocati anche in continenti diversi, coordinati fra di loro anche se coinvolti in tempi non strettamente coincidenti; vi partecipano tutte le grandi potenze e le medie potenze regionali dei teatri interessati, e un numero elevato di potenze minori. Unici esempi nella storia: la seconda guerra mondiale e, anche se la collocazione è discutibile, la prima guerra mondiale e la guerra dei sette anni.
- Conflitto regionale: conflitto che si svolge essenzialmente in un solo teatro operativo in una regione geofisica ben delimitata, con la partecipazione di almeno una media potenza regionale, più altre potenze minori della stessa regione; non esclude la partecipazione diretta di una grande potenza o la partecipazione indiretta di più grandi potenze. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): le guerre balcaniche, i conflitti arabo-israeliani, la prima guerra del Golfo.
- Conflitto locale: conflitto fra un limitatissimo numero di potenze, spesso solo due, e che coinvolge un limitato territorio appartenente a uno solo o al massimo ai due contendenti diretti; esclude la partecipazione diretta di grandi e medie potenze i cui territori non siano direttamente coinvolti. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): la guerra italo-turca, la guerra d'Etiopia.
1.6.2 In base al tipo dei soggetti che la combattono
- Conflitto simmetrico: conflitto tra parti che dispongono tutte di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato.
- Conflitto asimmetrico: conflitto tra due parti, una sola delle quali dispone di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato, mentre l'altra non è formata, o è in corso di formazione. Questa parte di solito non procede con i metodi classici della guerra ma pone in opera la guerriglia. Un esempio può essere dato dal terrorismo, anche se bisognerebbe creare una classificazione specifica per caratterizzare questi atti di guerra.
Non
si parla di conflitto asimmetrico se è un'organizzazione statale, si veda
l'esempio della Spagna nel corso dell'invasione napoleonica, a combattere
tramite il proprio esercito con tattiche di guerriglia. Lo scontro tra le formazioni
di guerriglia sorte spontaneamente e l'esercito napoleonico, è invece
considerabile un caso di guerra asimmetrica.
1.6.3 In base ai mezzi impiegati
Per approfondire, vedi Guerra convenzionale e Guerra non convenzionale.
|
Esplosione nucleare, 1953, Nevada
Test Site
- Conflitto non convenzionale: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle fin dall'inizio del conflitto. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni cinquanta, quando sia gli Stati Uniti d'America sia l'Unione Sovietica disponevano di questi tipi di armamenti.
- Conflitto convenzionale in potenziale ambiente nbc: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle solo se le circostanze dovessero renderlo indispensabile. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni sessanta, quando l'equilibrio nucleare fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica sconsigliava ad ambedue l'impiego iniziale di tali tipi di armamenti per tema di una ritorsione.
- Conflitto convenzionale: conflitto nel quale le parti non dispongono di armi di distruzione di massa, o nel quale gli eventuali detentori rinunciano a priori al loro impiego, eventualmente sotto il controllo di una potenza terza o di una organizzazione internazionale.
1.6.4 In base alla soggettività internazionale dei contendenti
- Conflitto internazionale: conflitto nel quale tutti i contendenti sono soggetti di diritto internazionale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell'ambito del processo di decolonizzazione, sono stati considerati soggetti di diritto internazionale anche i fronti di liberazione nazionale, purché avessero l'effettivo controllo di territorio e popolazione, disponessero di forze armate organizzate e rispettassero il diritto internazionale bellico e umanitario.
- Conflitto non internazionale: conflitto nel quale uno o più parti non sono soggetti di diritto internazionale, per cui il conflitto è sottratto alle norme del diritto bellico in quanto considerato affare interno; in particolare, rientrano in questa categoria le guerre civili, nelle quali si ha lo scontro fra opposte fazioni nell'ambito di un solo paese o entità politica.
1.7 Altre definizioni dei conflitti
Nell'uso
comune, specie in campo giornalistico o nei discorsi di natura politica, vengono
fornite altre definizioni di un conflitto, ancorché giuridicamente e
tecnicamente non corrette. Fra le più usuali:
- Guerra totale: si vuole indicare un conflitto che coinvolge tutte le risorse del paese in guerra. Ciò è normale, in quanto le guerricciole per piccoli problemi di confine sono assai rare.
- Guerra lampo (Blitzkrieg): nel senso di un conflitto organizzato per avere una durata limitatissima nel tempo, mediante l'uso di strategie e tattiche altamente redditizie e in presenza di un grande divario di mezzi disponibili, fra i due contendenti. Il termine è spesso usato in contrapposizione a guerra di posizione, o a di logoramento, essenzialmente statiche e di durata prolungata. La prima guerra mondiale è cominciata come guerra lampo, ma poi divenne di logoramento.
- Guerra preventiva: guerra aperta da un soggetto in seguito alla percezione di una grave minaccia all'incolumità dei propri interessi; secondo alcuni rientra nel concetto di autodifesa prevista dallo statuto dell'ONU, mentre altri ritengono conflitti di questo tipo essere operazioni belliche offensive nel loro senso tradizionale.
1.8 Diritto bellico
Numerose
convenzioni, che nel loro insieme
costituiscono il diritto bellico, regolamentano il comportamento in
guerra. Le più importanti sono le convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907.
Il
diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le più
importanti e attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di Ginevra del 1949 e i suoi
protocolli aggiuntivi, due del 1977 e uno del 2005.
Interpretazioni
estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza umanitaria,
ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi
fatti costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha
giustificato nel passato interventi militari consacrati da una risoluzione
ONU per costringere i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga
ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni
culturali ritenuti patrimonio dell'umanità.
Le
costituzioni
di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari
del paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un altro
paese o comunque appartenenti a un altro Stato sovrano. La Costituzione italiana, con
l'articolo 11, è una delle più esplicite: «L'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali.»[7]
In
Italia, è stata posta una questione di legittimità alla Corte Costituzionale in merito all'esistenza
di una distinzione fra codici militari in tempo di pace e di guerra, e,
successivamente, in merito all'esistenza stessa di un diritto militare, che
possa agire in deroga alle regole che disciplinano il rapporto fra privati
cittadini. La Consulta ha ribadito il principio per cui le azioni dei militari
non sono soggette alle stesse regole dei privati cittadini né essere valutate
dai tribunali civili.
Inoltre,
lo statuto delle Nazioni Unite consente
l'immediata difesa di un paese aggredito, ma vieta l'intervento degli altri
Stati membri, per evitare una propagazione incontrollata del conflitto, a meno
che non sia in legittima difesa (proporzionale e immediata, ex articolo 51
dello Statuto delle Nazioni Unite) o non ci sia un'autorizzazione del Consiglio
di Sicurezza all'uso della forza, come è successo nella Guerra del Golfo del
1991 o il Consiglio di Sicurezza non decida di prendere azioni in difesa della
pace e della sicurezza internazionale, usando contingenti militari messi a
disposizione dagli Stati membri e posti sotto il comando del Comitato di Stato
Maggiore ONU (articoli 42 e 43 dello Statuto). Questo elemento contrasta con
altri accordi militari come quello della NATO, che impongono
solidarietà militare nel caso di attacco di uno Stato membro. Tuttavia, in
virtù dell'art. 103, le disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite
prevalgono su ogni altro obbligo internazionale.
1.9 Aspetti antropologici
L'istinto
di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei
propri mezzi di sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità possa
esser spinta a prendere le armi contro una comunità nemica che mette a rischio
spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e irrinunciabili. P.e. nel sanscrito del
1200 a.C., il termine che indica la guerra, युद्ध yuddha,[8], significa
'desiderio di possedere più mucche'.[9][10] A queste
motivazioni di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si
coniugano) motivazioni di carattere psicologico o umorale come l'odio, il
disprezzo, la vendetta, la paura.
1.9.1 Guerre di religione
Un
altro fattore molto forte di innesco per le guerre sono i motivi religiosi, nei
quali un preteso diritto derivante da credenze religiose, o interpretazioni
personali di scritti o tradizioni precedenti, diventa per un popolo o gruppo
religioso causa per lanciare una guerra di aggressione verso quello che viene
individuato come bersaglio della propria insoddisfazione. Una guerra di questo
tipo viene denominata guerra santa, e gli esempi storici più noti sono le crociate per il
mondo occidentale e il jihad (che però in arabo ha un significato non necessariamente
legato ad operazioni violente) per i musulmani.
Entrambe le tipologie di guerra hanno però avuto nei tempi gravi spargimenti di
sangue tra i civili[11]; per il
jihad, più recente, si sono avuti anche comportamenti verso i combattenti non
conformi alle leggi di guerra, con torture ed uccisioni sanguinose ed
ingiustificate. Va anche detto però che casi di tortura verso prigionieri si
sono avuti anche da parte di paesi occidentali, in particolare durante la
cosiddetta guerra al terrorismo da parte di personale
civile e militare delle forze armate statunitensi.
1.9.2 Guerre a sfondo razziale
Ancora
un'altra motivazione è la matrice razzista, nella quale un popolo o una nazione
aggrediscono un'altra ritenuta inferiore secondo i propri criteri. L'esempio
più eclatante rimane il nazismo con il suo tentativo di
annientare gli ebrei, ma analoghi esempi sono i conflitti africani come il Genocidio del Ruanda.
1.10 Aspetti etici
Per approfondire, vedi Guerra (filosofia).
|
Dal
punto di vista etico la guerra pone almeno tre tipi di problemi con relativi
sotto problemi. Il primo riguarda la responsabilità dell'istituzione pubblica e
dei suoi rappresentanti nell'indurre dietro compenso o costringere come dovere
patrio dei soggetti a prendere le armi e farne uso contro qualcuno. Il secondo
riguarda la legittimità o meno dei comportamenti del soggetto che usa le armi
sotto coercizione a farlo e in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la
legittimità dell'azione di belligeranza come autodifesa di una comunità
rispetto a danni non necessariamente di tipo violento, ma, per esempio,
economico o morale.
1.11 Aspetti economici
Dal
punto di vista economico si osserva infatti come nel tempo evolva mantenendo
una coerenza logica.
1.11.1 Prima ondata
- Durante il sistema agrario il soldato combatte spesso nell'arco di un limitato periodo stagionale.[12]
- Le razioni alimentari sono personali in partenza e poi di volta in volta depredate localmente.[13]
- Al termine del conflitto l'estrema sanzione agli occupati dopo l'eliminazione dei soldati è la distruzione delle coltivazioni.[14]
1.11.2 Seconda ondata
- Con l'economia industriale il servizio militare diventa di massa per legge con la leva obbligatoria (in Francia dopo il 1792, in Giappone nel 1868 e negli Usa durante la guerra civile).[15]
- I nuovi comandanti sono addestrati nelle accademie militari.[16]
- Non si distingue più alcuna differenza tra un obiettivo civile e un obiettivo militare.[17]
1.11.3 Terza ondata
- Il progresso tecnologico del settore civile segna il passo a quello militare.[18]
- La fuga di cervelli diventa un parametro per misurare la ricchezza di particolari macro-aree capaci di attrarne come la Silicon Valley.[19]
- Per ragioni di efficacia le decisioni dell'intelligence sono sempre più vincolate da informazioni aperte a favore della maggior partecipazione possibile.[20]
1.12 Analisi statistica
L'analisi
statistica
della guerra è stata cominciata da Lewis Fry Richardson
dopo la prima guerra mondiale. Più recentemente, database di
guerra sono stati costruiti dai Correlates of War Project[21] e da Peter Brecke,[22] che ha
censito e strutturato cataloghi esistenti.[23]
1.13 La guerra negli scritti
Nel
tempo, scrittori di ogni cultura e posizione politica hanno trattato il tema
della guerra nei loro scritti. Tra i più celebri di certo si trova L'arte della guerra, uno dei più importanti
trattati di strategia militare di tutti i tempi del cinese Sun Tzu. Si
tratta probabilmente del più antico testo di arte militare esistente (VI secolo
a.C. circa), articolato in tredici capitoli, ognuno dedicato ad un aspetto
della guerra. Questo testo ebbe una grande influenza anche nella strategia
militare europea. È un compendio i cui consigli si possono applicare, al pari
di altre opere della cultura sino-giapponese, a molti aspetti della vita, oltre
che alla strategia
militare, ad esempio all'economia e alla conduzione degli affari.
« Un risultato superiore consiste
nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un
risultato inferiore »
|
Grandi
condottieri come Napoleone Bonaparte hanno scritto memorie, nelo
specifico Aforismi politici, pensieri morali e massime sulla guerra, ma
nella storia occidentale abbiamo trattati militari molto più antichi come
quelli di Caio Giulio Cesare, dal De
bello gallico scritto fra il 58 e il 50 a.C. e diviso in otto libri al De
bello civili.
Molti
altri libri sono stati scritti nei secoli successivi, da figure come il tedesco
Carl von Clausewitz, il cui trattato Della
guerra (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, non venne mai
completato, a causa della morte precoce dell'autore. Oltre alla famosa
citazione che correla guerra e politica, si può riportare anche:
« La guerra è un atto di violenza il
cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra volontà. »
|
ALLEGATO : CRISI
ECONOMICA DELLA GRECIA
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_economica_della_Grecia
Il debito della Grecia in percentuale dal 1999, al confronto
con l'Eurozona (Statistiche risalenti al 2011).
La
crisi economica della Grecia è parte della crisi del debito sovrano europeo. A
partire dalla fine del 2009 i timori di una crisi del debito sovrano si sono
sviluppati tra gli investitori sulla capacità della Grecia nel rispettare
gli obblighi di debito, a causa della forte crescita del debito
pubblico[1][2][3].
Questo portò ad una crisi di fiducia, indicata da un allargamento dello spread di
rendimento delle obbligazioni e il costo di un'assicurazione
contro i rischi su credit default swap rispetto agli altri paesi
della zona
euro, soprattutto la Germania[4][5].
Il
declassamento del debito pubblico greco a junk bond
nell'aprile 2010 ha creato allarme nei mercati finanziari. Il 2 maggio 2010 i
paesi dell'Eurozona
e il Fondo Monetario Internazionale hanno
approvato un prestito di salvataggio per la Grecia da 110 miliardi di euro,
subordinato alla realizzazione di severe misure di austerità.
Prestito che in realtà nasconde un parziale e già avvenuto default dello stato greco, non più in grado di
vendere agli investitori a condizioni di mercato i propri titoli di debito.
Nell'ottobre 2011 i leader dell 'Eurozona hanno deciso di offrire un secondo
prestito di salvataggio da 130 miliardi di euro per la Grecia, condizionato non
solo dall'attuazione di un altro duro pacchetto di austerità ma anche dalla decisione di tutti i
creditori privati per una ristrutturazione del debito greco, riducendo il peso
del debito previsto da un 198% del PIL nel 2012 a solo 120,5% del PIL entro il
2020.
La
seconda operazione di salvataggio è stata ratificata da tutte le parti nel
febbraio 2012, e venne attivato il mese successivo, quando è stata soddisfatta
l'ultima condizione del piano di ristrutturazione del debito di tutti i titoli
di stato greci. Il piano di salvataggio più recente è impostato per coprire
tutte le esigenze finanziarie greche nei prossimi tre anni, 2012-2014. Se la
Grecia riuscirà a soddisfare tutti gli obiettivi economici delineati nel piano
di salvataggio, un ritorno pieno all'uso di capitali privati per la copertura
di fabbisogni finanziari futuri sarà possibile nuovamente nel 2015.
1.14 Indice
- 1 Cronistoria della crisi
- 2 Rilevanza nel resto d'Europa
- 3 Note
- 4 Voci correlate
- 5 Collegamenti esterni
- 6 Altri progetti
1.15 Cronistoria della crisi
Il primo ministro greco George
Papandreou e il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso a Bruxelles il 20
giugno 2011.
È
lo stesso presidente George Papandreou, a fine 2009, subito dopo le elezioni a dichiarare il rischio di bancarotta
del Paese.[6]
All'inizio
del 2010, in seguito
al downgrading da parte delle agenzie
di rating internazionali,[7]
si son diffusi timori di una crisi del debito pubblico[8]
relativamente ad alcuni Paesi della Zona Euro,[9]
ed in particolare: la Grecia, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda,[10]
il Portogallo
e Cipro .[11]
Nei
primi giorni di maggio
2010[12]
è stato definito un pacchetto di 110 miliardi di euro di aiuti in 3
anni, da parte dei paesi della zona euro, alla Grecia.[13]
La
situazione non sembra migliorare nel 2011, in quanto le agenzie
di rating Moody's,
Standard & Poor's e Fitch tagliano
ulteriormente il rating della Grecia portandolo rispettivamente a Caa1
(insolvente), a CCC (debito altamente speculativo) e a CCC (vulnerabile)[14],
cosa che costringe il governo ad effettuare nuovi tagli per 6,5 miliardi di euro e nuove
privatizzazioni al fine di ottenere nuovi prestiti da parte dell'Unione
Europea e del Fondo Monetario Internazionale[15];
la crisi ha riverbero anche sulla situazione occupazionale del paese, con un tasso di disoccupazione che a febbraio 2011
raggiunge il 15,9%.[16]
Dopo l'approvazione da parte del parlamento greco di un nuovo piano
di austerità che imporrà al paese ellenico tagli per ben 28 miliardi di
euro entro il 2015, l'Unione
Europea dà il via libera alle ulteriori tranche di aiuti per tutto
il 2011.[17]
Il 25 luglio 2011 Moody's
taglia il rating greco di altri tre livelli portandolo da Caa1 a Ca,
dando per certo il default della nazione.[18]
Nel settembre 2011 il governo greco vara un'ulteriore manovra tassando gli
immobili allo scopo di recuperare 2,5 miliardi di euro utili a raggiungere
un'ulteriore tranche di aiuti pari a 8 miliardi di euro[19];
nel frattempo il vice-cancelliere tedesco Philipp
Rösler ha sostenuto la possibilità del default greco per uscire dalla crisi
dell'euro.[20]
La finanziaria sull'immobile non basta e il giorno 21 dello stesso mese il
governo ellenico si vede costretto a formulare una drammatica manovra che
prevede un ulteriore
taglio alle pensioni, la messa in mobilità di 30.000 dipendenti statali già dal
2011 e il prolungamento della precedente tassa sugli immobili fino al 2014.[21]
A questo punto viene istituita la cosiddetta "troika", formata da FMI, BCE ed UE,
e grazie al suo verdetto sulla situazione della Grecia riesce a convincere la Germania ad
attivare il fondo salva-stati, che garantisce alla Grecia ulteriore
ossigeno economico.[22]
Il governo Papandreou tenta di sottoporre a referendum il piano di salvataggio
ma la minaccia da parte dell'Europa di sospendere gli aiuti economici gli
impone il dietrofront, e a quel punto il premier ellenico annuncia le sue
dimissioni ed il passaggio ad un governo di unità nazionale guidato da Lucas
Papademos,[23]
con le elezioni politiche pianificate per aprile 2012.[24]
Nel frattempo il paese torna a vivere il fenomeno migratorio del Dopoguerra
verso altri continenti, in particolare il flusso caratterizza laureati greci
che cercano opportunità prevalentemente in Australia, ma
anche in Russia,
Iran e Cina.[25]
Il primo ministro Lucas
Papademos difende il piano di austerità in Parlamento nel novembre del
2011.
Ad inizio 2012 l'agenzia Fitch
dà per certo il default della Grecia[26]
e la Germania, paese maggiormente esposto verso il debito greco, si vede respingere la proposta di
trasferire la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles.[27]
In
febbraio la crisi si accentua ed il default sembra concretizzarsi, in quanto
subito non si trovano accordi tra i partiti politici del paese per attuare
nuovi tagli alla spesa pubblica che garantirebbero un aiuto economico
da parte della Troika di 130 miliardi di euro, necessari per rimborsare i bond in scadenza a marzo per quasi 15
miliardi di euro;[28]
in quel periodo si discusse di tagliare altri 15.000 dipendenti pubblici.[29]
Il 12 febbraio 2012 il
parlamento greco vota un ennesimo piano di austerity per incassare un aiuto di
130 miliardi di euro da parte della Troika; dopo l' approvazione sono
subito scattate le proteste del popolo greco in piazza Syntagma, si è arrivati
ad una vera e propria guerriglia contro la polizia e si è anche dato fuoco a
edifici tra cui banche e negozi.[30]
Nella
notte fra il 20 e il 21 febbraio a Bruxelles l'Eurogruppo
ha approvato la tranche di aiuti per la Grecia di 130 miliardi,[31]
rimandando quindi il default della penisola ellenica di qualche tempo.[32][33]
A marzo si verifica il tanto
temuto haircut del debito: i detentori privati di titoli di stato greci si sono
visti ristrutturare il debito riducendo il valore nominale di più del 50% e
allungando la scadenza[34].
Nel
frattempo Standard and Poor's rivede nuovamente in
ribasso il rating greco, portandolo alla valutazione "SD", ovvero di default selettivo, l'ultimo
passo prima del default vero e proprio.[35]
La
situazione si fece ancora più critica in quanto aleggiò l'ipotesi che gli investitori retail non erano propensi alla ristrutturazione del debito;[36]
alla fine comunque più dell'80% dei creditori privati hanno aderito,[37]
e nell'operazione di bond swap Atene riesce a cancellare quasi del tutto
i 107 miliardi di debito in scadenza,[38]
ma nonostante ciò Fitch decide di declassare ulteriormente il paese ellenico
alla valutazione "RD" (Restricted Default), e secondo
il parere di Moody's già si tratta di una situazione di default;[39]
solo dopo l'emissione dei nuovi titoli Fitch riporta il rating a "B-"
con outlook stabile.[40]
Nel
maggio 2012, in piena fase elettorale e con un crescente sentimento antipolitico
nel popolo, l'uscita
dall'euro della Grecia venne data sempre più probabile e l'agenzia Fitch
sostenne che tale evento non sarebbe fatale per la moneta unica.[41]
I partiti non riuscirono a formare un governo di coalizione, rimandando
il tutto a nuove elezioni per giugno[42]
e causando nuova sfiducia che portò all'abbassamento del rating da parte
dell'agenzia Fitch a CCC (sostanziale rischio di credito)[43]
e ad un'enorme fuga di capitali[44].
Verso
fine 2012 per
ridurre il proprio debito il ministero del tesoro ellenico effettuò
un'operazione di buy-back sul debito stesso, riuscendo a riacquistare titoli
di stato per un valore di 45 miliardi al prezzo di soli 15, riducendo così
il debito pubblico di 30 miliardi.[45].
1.16 Rilevanza nel resto d'Europa
Il
caso greco è considerato, dall'Unione
Europea, una questione molto importante vista la possibilità che tale
situazione si ripercuota negli altri mercati della zona euro.[46]
Per tale motivo, al fine di scongiurare il default della stessa, l'UE, assieme al Fondo
Monetario Internazionale le ha concesso un prestito per la somma di 45 miliardi
di Euro. Tale prestito è stato concesso a seguito di un piano economico
approvato dal governo ellenico, volto a ridurre il proprio debito
pubblico attraverso tagli significativi della spesa.[47]
Parte dell'opinione pubblica è contraria a tale finanziaria e ciò ha portato a
numerosi scontri ad Atene
tra manifestanti e forze dell'ordine, in occasione della festività
del primo maggio.[48]
Quindi, senza mezzi termini la troika di creditori (Fmi-Unione
Europea-Bce) pone come condizione, per sbloccare il pacchetto di aiuti
internazionali, l’attuazione da parte del governo greco di nuove misure strutturali
e di austerità[49].
Fra esse spicca la proposta/pretesa di ridurre del 22 per cento i salari
minimi, per dare uno slancio alla competitività dei prodotti greci.[50]
La mancata intesa fra i partiti
per la formazione di un nuovo governo e il ritorno alle urne sono fra le cause
di una corsa agli sportelli in atto dagli inizi di
Maggio. Una delle ipotesi avanzate per fronteggiare la crisi è l'uscita dalla
moneta unica e la svalutazione con il ritorno alla dracma.
ALLEGATO : GUERRA,
ECONOMIA DI
Dizionario di Economia e Finanza (2012)
di
Vera Zamagni
guerra, economia di
Adeguamento del sistema economico alle necessità della guerra.
Il
problema economico della g. è duplice: da un lato rendere disponibili risorse
per gli armamenti, il mantenimento e la mobilitazione degli eserciti e,
dall’altro, organizzare la produzione a sostegno della guerra. Quanto più una
g. dura nel tempo, tanto maggiori saranno le risorse necessarie.
Le
fonti di finanziamento sono sempre state 4:
·
le tasse dei cittadini,
·
il debito pubblico (sia interno sia estero),
·
le donazioni e
·
l’inflazione.
Il
limite all’imposizione fiscale è dato dal livello di reddito dei cittadini: più
povero è il Paese, meno può ricorrere a questa fonte.
Anche
il debito pubblico interno ha un limite analogo, mentre quello esterno dipende
dalla credibilità che lo Stato richiedente prestiti ha e anche dall’interesse
di soggetti privati o pubblici a finanziare la g. in questione.
In
casi molto particolari, può verificarsi che qualche soggetto interno o esterno
al Paese in g. si identifichi talmente con gli obiettivi bellici da donare
propri capitali al fine di vincerla (per es., le crociate e il Lend-Lease
americano durante la Seconda guerra mondiale).
Infine,
l’inflazione conferisce agli Stati un potere d’acquisto immediato, che però
causa notevoli problemi sul mercato monetario. In generale, una g. finisce sempre, oltre che con
imponenti perdite umane e distruzioni materiali, con un elevato debito pubblico
e con un’inflazione che si fatica a riportare sotto controllo.
L’altro
aspetto rilevante dell’economia di g. è dato dall’organizzazione produttiva: poiché si deve
creare spazio a produzioni belliche, si restringono quelle civili, spesso introducendo forme di
razionamento (➔) dei generi di prima necessità.
L’offerta di armamenti obbedisce
a forme di pianificazione sia dei flussi di materie prime sia dei modelli
prodotti (carri armati, navi, aerei, cannoni, mitragliatrici ecc.), che
allontanano il funzionamento dell’economia dal libero mercato e tendono a ingrandire a dismisura
l’industria pesante.
Maggiore
è la capacità produttiva di acciaio e mezzi di trasporto nel periodo precedente
alla g., più rapida è la conversione di tale economia in una economia di
guerra.
È anche possibile allargare la
capacità produttiva durante la g., ma con gravi problemi di utilizzazione
postbellica di tali dotazioni aggiunte di capitale. In generale, una g. termina
con un’aumentata incidenza dei settori pesanti nell’economia.
Un
ultimo aspetto di interesse riguarda il progresso tecnico che caratterizza un’economia di
guerra: le g., specie se protratte nel tempo a causa di una certa equivalenza
economica e strategica delle parti in campo, incentivano l’affinamento delle
tecnologie esistenti, per prevalere sull’avversario. Emerge tuttavia come
dato storico che non sono le g. a generare nuove scoperte/invenzioni,
soprattutto quelle che cambiano i destini dell’umanità: la caldaia a vapore, il
motore a scoppio, l’aereo, l’elettricità, il telegrafo, il telefono, la radio,
il nucleare, l’elettronica, persino gli esplosivi sono invenzioni civili, che
solo successivamente sono applicate alla guerra.
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