2016 04 13 - Occhi di luce nella città del radio frutteto de la stecca
E’ estate. E’ pieno mezzogiorno. Il sole e’ a picco. La
canicola dovrebbe essere infernale. Ma invece no.
Appoggiati sulla banchisa del mare verde non c’e’ asfalto che
si sciolga sotto i piedi. Solo grandi prati di una fioritura innaturalmente
meravigliosa. I trifogli sono piuttosto transfogli. Forse per questione di urbanistica
delle notti milanesi. Grandi lobi verde brillante a striature puntinate di un
giallo pallido sorreggono certe altre nano formazioni arboree dalla statura in
miniatura.
Ho già avuto quella impressione al CPS di Bonola qualche
giorno prima. Un mare d’erba circondava la palazzina come fosse una nuvola
compatta. Roba tipo cumulonembi, direi. Ma sotto quel mare si immaginava un
brulichio di vita. Era come una piccola foresta tropicale vista dal silenzio di
un pallone aerostatico. Una coperta di verde proteggeva e celava chissà quali
meraviglie. Tutto in formato bonsai. E, cosa ancora più sbalorditiva, tutto a
Milano.
I ragazzini giocano a pallone. Chi a pallone a canestro, chi
a pallone a calci, chi a pallone a volo e, addirittura, chi a pallone americano
con un mini pallone ovale tutto pezzato colorato. Un pallone mustang, meticcio.
Sembrano abituati, come se si sentissero a casa loro. La canicola non li
impressiona per niente. Bastava un prato, ordunque, penso io.
Le ragazze si affaccendano operose a preparare la grigliata,
mentre gran parte dei maschietti ciondola in un trastullìo di armonica oziosa
inutilità.
Una tavolata di assi di legno si srotola con lenta
precisione diretta verso ponente, come un decumano che taglia il prato in due e
traccia un viale verso il tramonto, che possa dunque calare senza perdere la
bussola.
C’e’ solo un alberello, alto meno di me e storto quanto
tante di me rimembranze. E’ un olivello, che grida attenzione, come se volesse
ricordare a tutti che esiste anche lui. Ma nessuno lo sente. Lo guardo più da vicino,
e lo sento distintamente bestemmiare. Immagino si rivolga soprattutto ai
maschietti oziosi, in un coro di vegeti improperi, come se dicesse “guarda che
mi tocca fare per campare. Qui tutto solo, storto, mal piantato troppo in
superficie e ancora non dotato di sufficienti radici per far fronte a questa improvvisa
estate africana.” Urla: “acqua, mi serve acqua. Sono fatto d’acqua e di luce,
proprio come voi, e mentre voi pensate al prossimo futuro gozzovigliare a me
chi ci pensa, che sono ancorato nel mio qui e ora ?”
E così ci penso io.
Radiocity e’ appena finita.
La nostra Radiocity è stata un successo strepitoso. Non solo
perché sono passate dall'Assemblea delle Radio della Salute Mentale circa 160
persone (che già di per sé sarebbe un successo senza precedenti) ma anche per
l'esposizione mediatica: Radio Rai1 con Emanuela Falcetti, Caterpillar su radio
Rai2. L’Olivera di Radio La Colifata (Lochi fata, pare sia nell’etimo) in
diretta con noi per tutto il tempo da e con Buenos Aires, e per finire
l'incontro pubblico domenica 10 sul palco principale di Radiocity, marchiato di
evento al pari di pochi altri in quei giorni anche se, almeno in apparenza, non
c'erano le masse (era domenica mattina....).
Il lavoro di tutti è stato comunque sotto gli occhi delle
60.000 persone che sono intervenute al festival tra manifesti, riferimenti e
citazioni varie.
Si aggiunge alla rassegna stampa una nicolastica apparizione
(breve ma significativa) a Radio Popolare sabato sera in cui Nicola ha parlato dell’assemblea
e del movimento delle radio della salute mentale tutto.
Ci hanno ringraziato anche gli organizzatori di Radiocity,
non solo per la presenza massiccia ma anche perché siamo stati gli unici a non
creare alcun problema e non spazientirci mai per gli inevitabili problemi
organizzativi...come dire...siamo abituati, se non addestrati.
E questo ci rimanda soprattutto, ancora una volta, che il
mondo della salute mentale è anche una grande risorsa e questo è il modo
migliore per contribuire ad abbattere lo stigma!!
Mentre alcuni maschietti armeggiano sui gradoni per il grande
happening verso il tramonto, io sono l’ulivo, e mi avvicino a Nicola per dare
un suggerimento. Ci vuole un piccolo frutteto che possa farmi compagnia. Cinque
albicocchi, per cominciare. Gli allungo cinquanta euro, 5 volte i 10 euro di un
piccolo virgulto di albicocco, e Nicola mi guarda come se fossi la madonna in
persona. Ma io ero solo l’ulivo. Nicola mi dice: “Ah…, così? Ma poi ci aiuti tu
a piantarli ?”. Ometto di proferir risposta, che sarebbe stata “ça va sans dire”.
Mi avvicino alle cinciallegre che fringuellano ciarle cinguettanti
dietro alla cassa improvvisata. Mi hanno fatto pure la tessera di sostenitore, ma
siccome “so’ ragazze” non avevano le tessere, per cui la facente veci e’ una
ricevuta fiscale, decisamente benaugurale.
Dico che sono stanco e voglio tornare a casa.
Occhi di luce tutto attorno a me mi confermano che io non
servo più.
Mentre cammino verso il metrò, il piccolo frutteto si
disegna nella mia mente.
A casa lo metto in immagine progettuale, tenendo conto che i
prati dovranno essere adibiti a parco e quindi non dobbiamo rompere i coglioni
ma dobbiamo presidiare, piccoli e cazzimmosi, un punto che non dia fastidio
alle future archistar del verde, e che almeno in principio, fino a che le
radici non raggiungano Mafalda, serve molta acqua per cui e’ utile e comodo
metterlo vicino alla palazzina.
Di conseguenza anche io, che sempre ero ulivo, mi colloco li
vicino.
Ci troviamo tutti e sei, i cinque albicocchi e l’ulivo, a
formare un piccolo portone a fine viale di ingresso.
Albicocchi in formazione a cuneo verso sud-ovest e ulivo
verso est, verso il sol levante oscurato dalla palazzina, o almeno questi mi
sembravano i punti cardinali, tanto io ulivo sono più che altro complemento d’arredo
portatore di pace, non penso mica di mettermi a fare le olive, ma poi vai a
sapere. Que serà serà
Mi sento in dovere di
spiegare che e’ meglio piantare cinque individui della stessa specie varietale,
e non un albicocco, un melo, un pero, un ciliegio e un ….minollo, per il
semplice fatto che quando tra qualche anno si faranno le albicocche almeno ce
ne saranno per tutti e non ci si litigherà l’ultima ciliegia.
E poi ripenso a Olivera, e mi dico in spagnolo che a me me
gusta l’albicocca.
A quel punto rimane solo un ultimo dettaglio. Una pianta di
rose in testa al fronte umido del nord-est, alla maniera di certe viti di
Francia, di modo che eventuali malattie fungine appaiano prima su di essa, che ci
immoli i sui fiori sull’altare del solfato di zolfo e ci protegga dai
funghetti, veri sporadici traditori in principio invisibili.
I cinque albicocchi, l’ulivo e la rosa formano il settetto
nella mia mente, e poi nel disegno.
Li sento frusciare al suono del vento dell’amore, in
leggerezza gravitonale.
E ricordo che: “per amore, per amore, tutto e’ sempre stato
solo per amore”.
Nessun commento:
Posta un commento