martedì 12 aprile 2016

2016 04 13 - Occhi di luce nella città del radio frutteto de la stecca



2016 04 13 - Occhi di luce nella città del radio frutteto de la stecca

E’ estate. E’ pieno mezzogiorno. Il sole e’ a picco. La canicola dovrebbe essere infernale. Ma invece no.
Appoggiati sulla banchisa del mare verde non c’e’ asfalto che si sciolga sotto i piedi. Solo grandi prati di una fioritura innaturalmente meravigliosa. I trifogli sono piuttosto transfogli. Forse per questione di urbanistica delle notti milanesi. Grandi lobi verde brillante a striature puntinate di un giallo pallido sorreggono certe altre nano formazioni arboree dalla statura in miniatura.
Ho già avuto quella impressione al CPS di Bonola qualche giorno prima. Un mare d’erba circondava la palazzina come fosse una nuvola compatta. Roba tipo cumulonembi, direi. Ma sotto quel mare si immaginava un brulichio di vita. Era come una piccola foresta tropicale vista dal silenzio di un pallone aerostatico. Una coperta di verde proteggeva e celava chissà quali meraviglie. Tutto in formato bonsai. E, cosa ancora più sbalorditiva, tutto a Milano.
I ragazzini giocano a pallone. Chi a pallone a canestro, chi a pallone a calci, chi a pallone a volo e, addirittura, chi a pallone americano con un mini pallone ovale tutto pezzato colorato. Un pallone mustang, meticcio. Sembrano abituati, come se si sentissero a casa loro. La canicola non li impressiona per niente. Bastava un prato, ordunque, penso io.
Le ragazze si affaccendano operose a preparare la grigliata, mentre gran parte dei maschietti ciondola in un trastullìo di armonica oziosa inutilità.
Una tavolata di assi di legno si srotola con lenta precisione diretta verso ponente, come un decumano che taglia il prato in due e traccia un viale verso il tramonto, che possa dunque calare senza perdere la bussola.
C’e’ solo un alberello, alto meno di me e storto quanto tante di me rimembranze. E’ un olivello, che grida attenzione, come se volesse ricordare a tutti che esiste anche lui. Ma nessuno lo sente. Lo guardo più da vicino, e lo sento distintamente bestemmiare. Immagino si rivolga soprattutto ai maschietti oziosi, in un coro di vegeti improperi, come se dicesse “guarda che mi tocca fare per campare. Qui tutto solo, storto, mal piantato troppo in superficie e ancora non dotato di sufficienti radici per far fronte a questa improvvisa estate africana.” Urla: “acqua, mi serve acqua. Sono fatto d’acqua e di luce, proprio come voi, e mentre voi pensate al prossimo futuro gozzovigliare a me chi ci pensa, che sono ancorato nel mio qui e ora ?”
E così ci penso io.
Radiocity e’ appena finita.
La nostra Radiocity è stata un successo strepitoso. Non solo perché sono passate dall'Assemblea delle Radio della Salute Mentale circa 160 persone (che già di per sé sarebbe un successo senza precedenti) ma anche per l'esposizione mediatica: Radio Rai1 con Emanuela Falcetti, Caterpillar su radio Rai2. L’Olivera di Radio La Colifata (Lochi fata, pare sia nell’etimo) in diretta con noi per tutto il tempo da e con Buenos Aires, e per finire l'incontro pubblico domenica 10 sul palco principale di Radiocity, marchiato di evento al pari di pochi altri in quei giorni anche se, almeno in apparenza, non c'erano le masse (era domenica mattina....).
Il lavoro di tutti è stato comunque sotto gli occhi delle 60.000 persone che sono intervenute al festival tra manifesti, riferimenti e citazioni varie.
Si aggiunge alla rassegna stampa una nicolastica apparizione (breve ma significativa) a Radio Popolare  sabato sera in cui Nicola ha parlato dell’assemblea e del movimento delle radio della salute mentale tutto.
Ci hanno ringraziato anche gli organizzatori di Radiocity, non solo per la presenza massiccia ma anche perché siamo stati gli unici a non creare alcun problema e non spazientirci mai per gli inevitabili problemi organizzativi...come dire...siamo abituati, se non addestrati.
E questo ci rimanda soprattutto, ancora una volta, che il mondo della salute mentale è anche una grande risorsa e questo è il modo migliore per contribuire ad abbattere lo stigma!!
Mentre alcuni maschietti armeggiano sui gradoni per il grande happening verso il tramonto, io sono l’ulivo, e mi avvicino a Nicola per dare un suggerimento. Ci vuole un piccolo frutteto che possa farmi compagnia. Cinque albicocchi, per cominciare. Gli allungo cinquanta euro, 5 volte i 10 euro di un piccolo virgulto di albicocco, e Nicola mi guarda come se fossi la madonna in persona. Ma io ero solo l’ulivo. Nicola mi dice: “Ah…, così? Ma poi ci aiuti tu a piantarli ?”. Ometto di proferir risposta, che sarebbe stata “ça va sans dire”.
Mi avvicino alle cinciallegre che fringuellano ciarle cinguettanti dietro alla cassa improvvisata. Mi hanno fatto pure la tessera di sostenitore, ma siccome “so’ ragazze” non avevano le tessere, per cui la facente veci e’ una ricevuta fiscale, decisamente benaugurale.
Dico che sono stanco e voglio tornare a casa.
Occhi di luce tutto attorno a me mi confermano che io non servo più.
Mentre cammino verso il metrò, il piccolo frutteto si disegna nella mia mente.
A casa lo metto in immagine progettuale, tenendo conto che i prati dovranno essere adibiti a parco e quindi non dobbiamo rompere i coglioni ma dobbiamo presidiare, piccoli e cazzimmosi, un punto che non dia fastidio alle future archistar del verde, e che almeno in principio, fino a che le radici non raggiungano Mafalda, serve molta acqua per cui e’ utile e comodo metterlo vicino alla palazzina.
Di conseguenza anche io, che sempre ero ulivo, mi colloco li vicino.
Ci troviamo tutti e sei, i cinque albicocchi e l’ulivo, a formare un piccolo portone a fine viale di ingresso.
Albicocchi in formazione a cuneo verso sud-ovest e ulivo verso est, verso il sol levante oscurato dalla palazzina, o almeno questi mi sembravano i punti cardinali, tanto io ulivo sono più che altro complemento d’arredo portatore di pace, non penso mica di mettermi a fare le olive, ma poi vai a sapere. Que serà serà
Mi sento in dovere  di spiegare che e’ meglio piantare cinque individui della stessa specie varietale, e non un albicocco, un melo, un pero, un ciliegio e un ….minollo, per il semplice fatto che quando tra qualche anno si faranno le albicocche almeno ce ne saranno per tutti e non ci si litigherà l’ultima ciliegia.
E poi ripenso a Olivera, e mi dico in spagnolo che a me me gusta l’albicocca.
A quel punto rimane solo un ultimo dettaglio. Una pianta di rose in testa al fronte umido del nord-est, alla maniera di certe viti di Francia, di modo che eventuali malattie fungine appaiano prima su di essa, che ci immoli i sui fiori sull’altare del solfato di zolfo e ci protegga dai funghetti, veri sporadici traditori in principio invisibili.
I cinque albicocchi, l’ulivo e la rosa formano il settetto nella mia mente, e poi nel disegno.
Li sento frusciare al suono del vento dell’amore, in leggerezza gravitonale.
E ricordo che: “per amore, per amore, tutto e’ sempre stato solo per amore”.


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