2022 02 06 - Domani
Quando ero
piccolo avevo spesso periodi di forte ignavia.
Vale a
dire che mi prendeva una pigrizia cosmica.
E io non
riuscivo a trovare motivazioni, o giustificazioni, per fare nulla.
Mia madre
se ne usciva controproducente con varie frasi fatte che manco ricordo più.
Roba tipo comincia
presto che il mattino ha l’oro in bocca.
Prima
cominci prima finisci
E cose
simili.
E poi
c’era la mia preferita.
Non fare
domani quello che puoi fare oggi.
Si
riferiva soprattutto allo studio, attività che non mi ha affascinato mai troppo
da piccolo.
Io che
bastian contrario ci sono nato, non mi facevo scappare mai l’occasione.
E
rispondevo senza farmi sentire.
Ti sbagli
mamma.
Il detto
dovrebbe essere non fare oggi quello che puoi fare domani.
Perché
affannarmi tanto se domani è un altro giorno a disposizione
Con gli
anni il bastian contrario si contrariò da solo
Pur
non ricordando di avere ricevuto grandi
punizioni, non so per quale archetipo emerso dal subconscio iniziò a montarmi
l’ansia contraria.
Forse
tutte quelle ripetizioni si erano innestate comunque nei miei neuroni della
pigrizia, blindandoli dentro il bisogno di fare e non lasciare sospesi.
In modo da
avere sempre un domani pieno di opportunità.
Il domani
divenne fonte di speranza.
Cessando
di esserlo di ansia.
Una
diversa interpretazione di tempo, come se viaggiasse col riavvolgimento e non
con lo scorrimento.
Con la
crescita, e le esperienze manicomiali, la ricerca di consapevolezze accompagnò
il bisogno di capire tante cose.
Per poi
spesso dimenticarle.
Tra queste
questa questione del tempo, tale per cui oggi non è domani.
Ecco in
manicomio non vale più.
E io mi
chiedevo perché
Oggi,
domani, ieri, scorrevano tutti uguali
E anche il
domani si affaticava a portare speranza.
Perché?
E leggendo
di qua e leggendo di là incappai in alcune teorie sul tempo tra cui due
opposte.
La prima è
che il tempo è una dimensione che abbiamo connaturata nella coscienza.
E la
seconda, molto bastian contraria, che il tempo non esiste ma è solo una
convenzione con cui misuriamo le variazioni dello spazio.
Questa
seconda mi irradiò e io la scelsi per provare a cercare un domani sapendo che
non dovevo cercare nelle lancette di un orologio ma piuttosto nel giro di luce
di un giorno attorno al sole.
A quel
punto il tempo si fermava, o meglio cessava di esistere, e le variazioni dello
spazio circostanti diventavano irrilevanti.
La
prospettiva non era più quella del domani, ma piuttosto quella di riempire gli
spazi che mano a mano si presentavano .
Fare una
cosa in un certo “momento” e poi un'altra in un altro “contesto” e così via.
Partendo
da mattina per arrivare ad un'altra mattina.
Forse
c’entrava quel tormentone del aggrapparsi al qui e ora a cui venni spesso
sottoposto in vari gruppi di recupero.
Non saprei,
ma una cosa mi strabilia, come spesso capita con le parole.
Domani viene
dal latino di mane.
Di
mattina, come se preparandosi bene a riempire lo spazio mattutino, il resto
della giornata venisse poi da se.
E quindi?
Chiosa
alla franzosa: obligatuàr
E quindi:
“domani è
un altro giorno”.
Tutto qua.
Chi vuol
esser lieto sia.
Del diman v’è
si certezza.
Kalimmudda
de Medici
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