domenica 8 giugno 2014

2014 06 08 – Considerazioni sui Conti dello Stato



2014 06 08 – Considerazioni sui Conti dello Stato
Fonte : Ragioneria Generale dello Stato Bilancio dello Stato semplificato 2013 2014 2015

In principio fu il comunicato. Quello stampa.
Osservo oramai da anni che ogni forma di comunicazione istituzionale relativa ai conti dello Stato e al sistema paese in genere è a dir poco destrutturata.
Ogni giorno vengono diffuse alcune “informazioni”, senza che le stesse siano inquadrate con le altre variabili sistemiche rilevanti. Ne’ tantomeno avviene che i dati “rilasciati” e quelli di insieme siano confrontati con gli analoghi di altri paesi.
Oggi un dato di disoccupazione, una settimana prima la produzione industriale, giorni dopo il debito pubblico, e così via.
In questo modo si ottiene il deliberato risultato di produrre confusione. Appoggiato su di una riconosciuta base teorica di cui più avanti.
In tutto questo discorso sull’economia di sistema, ovviamente basilare è la questione del bilancio dello Stato.
Senza conti in ordine non si ha nemmeno spazio di manovra.
Non esiste la possibilità di adottare politiche economiche espansive, di fare investimenti o di rilanciare l’occupazione.
Né basta proclamare “fine austerity”.
Credo perciò che sia utile cercare di inquadrare il discorso.
Penso comunque che un elemento distintivo innovativo sarebbe quello di adottare una “comunicazione sistemica” sistematica, trasparente e formativa che sia :
  1. Omnicomprensiva
  2. Prodotta a cadenza regolare, ad esempio trimestrale, come si fa per le aziende in borsa.
  3. Che venga illustrata, spiegata e resa chiara e intelligibile per chiunque.
Dal pensionato, all’operaio, all’impiegato, alla casalinga.
Tra un comunicato stampa e l’altro, solo silenzio.

La tabella
Esiste uno strumento che funge perfettamente allo scopo informativo di cui sopra. Non è particolarmente difficile da realizzare, anzi.
Né servono eccelsi matematici od economisti per approntarlo. Basta un ragioniere con qualche nozione di aritmetica. Se ricordate il ragioniere di Schindler’s list, rende bene l’idea. L’algebra è già superflua.
E’ lo strumento “tabella”.
E’ basato sull’idea di mettere in fila in primo luogo numeri in valore assoluto e non solo percentuali  o indicatori, in modo tale che chiunque possa vedere insieme tutti i dati e trarne le considerazioni che vuole. Con l’andare del tempo le considerazioni diventeranno sempre più esperte e pertinenti.
Fa parte di una modalità di comunicazione sinottica, che risulta sempre efficace. E’ ciò che ho potuto riscontrare di persona in numerose esperienze dirette.

Frazionamento informativo
Il fatto che quanto sopra non venga comunemente recepito ed eseguito dai governanti è a mio modo di vedere chiara testimonianza dell’applicazione del principio del “frazionamento informativo”.
Quando in facoltà di economia si studiano politica economica e scienza delle finanze, agli studenti viene chiaramente insegnato che uno Stato quando vuole riscuotere imposte senza  che i contribuenti capiscano esattamente quanto stanno pagando, deve applicare il “frazionamento impositivo”.
Deve cioè ripartire il carico fiscale totale fra tante diverse imposte, in modo che il contribuente non riesca a calcolare quanto paga effettivamente.
Chapeau ! Questa si che è trasparenza.
In ogni caso la teoria funziona altrettanto bene con l’informazione.
Sembra di sapere cosa succede, ma in realtà non si capisce niente.
Perlomeno io non ci capisco niente, il che potrebbe già essere indicativo, considerato che per alcuni sono particolarmente dotato per i numeri. Se non ci capisco niente io cosa devono pensare i “soliti” pensionati, operai, impiegati e casalinghe ?
E’ per questo motivo che ho deciso di cercare di mettermi in ordine, io per me stesso,  innanzitutto il tema di conti pubblici. I dati sono tratti dal sito della Ragioneria dello Stato, tra i quali :http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_semplificato/Dicembre-2012/BilancioSemplificato-DLB-2013-2015.pdf
Sono stati poi riaggregati o rielaborati per renderli comprensibili e confrontabili

Il sistema è complesso ma non adattivo.
  1. Sistema in biologia è l’insieme di più parti o apparati che concorrono allo svolgimento della stessa funzione. Ad esempio la sopravvivenza.
  2. Complesso vuol dire “che risulta dall'unione di varie parti o diversi elementi, o che si manifesta sotto molteplici e contrastanti aspetti”.
  3. Adattivo vuol dire che è capace di “adattarsi” al contesto in cui si trova.
Uno Stato corrisponde bene a questa triplice definizione.
Al nostro però manca in primo luogo la corrispondenza alla sotto-definizione numero 3.
La nostra adattabilità infatti è pari a zero.
Il che è un bel problema perché senza adattabilità non c’è speranza di sopravvivenza evoluzionistica.
Come risulta dalla tabella sottostante , crescono le entrate (e non poco) e crescono di conseguenza le uscite.
E siccome questo “algoritmo perverso” è presente anche nelle previsioni per il 2015 non si può non dedurne che siamo in preda a una generalizzata compulsione alla spesa. Si rinvia a quanto di seguito.
In sintesi, si da per scontato già nelle previsioni che non cambierà nulla. Mentre è risaputo che quando si fa un budget o un piano pluriennale le previsioni vengono “pompate” se non altro per indurre i manager a cercare di raggiungerle.
Qua si sta dicendo: “va bene così. Tanto poi ve la contiamo su come ci pare”
Di seguito si riportano per completezza sia i dati per “cassa” che per “competenza”. Al riguardo non mi è chiaro come su un arco temporale di 3 anni gli stessi possano differire sempre e così tanto. Con il passare degli anni le differenze (ad esempio ritardi di pagamento simili) dovrebbero allinearsi.
Ma per ora è irrilevante. In ogni caso per maggior chiarezza mi riferisco per lo più ai dati di cassa, in teoria “certa” per definizione. Restano esclusi gli aspetti previdenziali, e quindi i contributi e le pensioni.



Le considerazioni del presente scritto non sono solo a carattere contabile. Si accennano alcuni aspetti psicologici, altri logici, altri comportamentali e così via. Ovviamente sono solo accenni, ma credo necessario ricordare che affrontare qualsiasi tema su di un sistema adattivo complesso richiede un approccio altrettanto adattivo e complesso.
Infine molte considerazioni sembrano banali, e forse lo sono. Ciò nondimeno vale la pena di tenerla a mente, e tutte insieme, perché oggi non mi sembra che lo si faccia.

MOL dello Stato italiano - Grandezze economiche e grandezze patrimoniali
Della tabella soprastante risulta chiaramente che pur con tutto il suo corredo di sprechi e disfunzioni lo Stato Italia produce un MOL positivo (Riga ENTRATE-SPESE). E nemmeno tanto basso ! 36 miliardi su circa 500 fa il 7%. In confronto a tanti dati aziendali siamo su buoni livelli.
Non sto parlando dell’azienda Italia nel suo complesso, quella che genera il Pil tanto per capirsi.
Parlo solo del nostro tanto bistrattato Stato.
Il MOL e’ il primo indicatore di redditività aziendale. Quello generato dall’attività tipica o caratteristica. Se fosse un’azienda industriale sarebbe un primo “margine industriale”.
Dopo di che deve :
  1. pagare gli interessi sul debito
  2. ricollocare il debito pubblico che scade.
Ma queste due istanze nascono da una struttura patrimoniale sovraccarica, non dalla attività operativa.
In ogni caso fintanto che i mercati si fidano di noi, riusciamo a  fare sia quanto al punto 1 che al punto 2.
Collegata a quanto sopra c’è poi un’altra questione. Quando si ragiona di conti dello Stato bisogna tenere ben chiaro cosa va a conto economico e cosa a stato patrimoniale.
Ad esempio di seguito si evidenzia che tutte le dismissioni sono elementi patrimoniali, che riducono il nostro patrimonio, e che non ha senso realizzarle per pagare ulteriori “uscite” correnti, ma eventualmente solo per ridurre il debito.
Proprio perché sono iniziative una tantum. Una volta fatte non si potranno ripetere.
E’ un po’ come se  i “soliti” pensionati, operai, impiegati e casalinghe si vendessero la casa. Se poi spendessero i soldi per andare in vacanza al rientro si ritroverebbero ancora il mutuo da pagare.
Eppure loro non lo fanno. Riescono a capire che sarebbe un suicidio.
Lo Stato invece no.

Lo Stato è bello.
Non sono uno statista e non sta a me magnificare quello che lo Stato fa per tutti noi.
Ma mal sopporto il qualunquismo generalista da “lo Stato è ladro” .
Suggerisco solo di scorrere le voci delle  tabelle seguenti relative alle spese per rinfrescarsi la memoria su quali siano i “servizi” che riceviamo e quindi i benefici di vivere in un grande Stato quale il nostro. Istruzione, sanità, strade, infrastrutture, sicurezza, etc.
Personalmente non concordo con visioni “privatistiche” estreme. Non potranno mai essere socialmente garantiste.
Ovviamente però, scorrendo le tabelle salteranno agli occhi anche le voci e gli importi di spesa, dove è davvero ragionevole pensare che ci siano ampi margini di correzione.
Ma sempre cercando di tenere conto di soluzioni strutturali, non tanto e non solo di contenimento della spesa. Direi che il migliore risultato possibile sarebbe ottenuto se si riuscisse a riorganizzare e ristrutturare completamente  la struttura reddituale e patrimoniale.
Non solo e non tanto contenendo la spesa, quindi. Ma cercando di trovare ed eliminare duplicazioni e sacche di inefficienza. Facendo in modo che lo Stato possa funzionare meglio, e non contraendone le uscite tout court.

Ordini di grandezza: noccioline all’elefante.
Si certo, lo pensano tutti. Roma ladrona, governo ladro et cetera.
Ma si dovrebbe cerare di capire quando è vero, in che misura e in che senso.
Il dato fondamentale che deve apparire chiaro a tutti è che quando si sente parlare di manovre da 5 o da 10 miliardi si sta parlando di noccioline.
Ma inoltre, e forse ancora peggio, ognuna di queste manovrine è un gran casino da mettere in piedi che in più si sa già dall’inizio che non servirà a niente.
I dati della tabella precedente sono eloquenti. Facendo un esempio, 10 miliardi su 500 di entrate o uscite sono il 2%.
E’ un po’ come dire che il pensionato da 500 euro al mese mette in piedi un colossale casino procedurale, approvativo e attuativo per risparmiare 10 euro.

Il fattore tempo
In programmazione e controllo un altro elemento fondamentale, oltre alla questione del discernimento tra grandezze economiche e patrimoniali e a quella degli ordini di grandezza, è il tempo.
Quando si costituisce un’azienda in statuto si prevede una durata pluridecennale per conseguire l’oggetto sociale. Ma oltre un orizzonte temporale di 3-5 anni , quando non prima, ogni previsione è un puro esercizio di stile. Ciò nonostante è normale fare piani decennali almeno per darsi delle linee guida da cercare di seguire.
Questa logica dovrebbe essere applicata anche per lo Stato. E in questo caso si che dovrebbe essere bipartisan, o meglio ancora “panpartizan”. La questione economica o di programmazione strutturale economica è il vero nocciolo. Tutto il resto ci ruota intorno.
Così per esempio se si facesse un piano da 50 miliardi di euro annui di avanzo di cassa, dopo 10 anni si avrebbe minor debito o maggiori investimenti per 500 miliardi. I singoli 50 miliardi non risolvono alcun problema. 500 sono già un altro conto.
Il punto è che oggi si potrebbe ancora intervenire, ma tra 5 o 10 anni come sarà il mondo a cui rapportarsi ?
A Napoli si dice “Dicette ‘o pappice vicino alla noce : damme ‘o tiempo ca te spertuso”. Ecco, a furia di far passare tempo lo Stato è sempre più “spertusato” (bucato).
Ma la cosa peggiore è che si è “bucato” in decenni di perdurante inerzia criminale.
E ora il tempo disponibile potrebbe essersi approssimato alla fine. Mentre scivoliamo sempre più in basso nella graduatoria dei Grandi Paesi si assottigliano sempre più le possibilità di manovra.
Quando saremo il ventesimo paese industrializzato o oltre, e molto probabilmente è inevitabile che succederà,  molte delle leve su cui oggi si può ancora agire non ci saranno più. Saremo definitivamente relegati nella periferie del mondo.

Statistica, questione culturale e sindrome “vorrei ma non posso”. I governanti hanno un buco nella tasca.
E’ statisticamente impossibile che nessuno riesca a fare qualcosa.
Se ci si potesse scommettere un euro sopra, la quota per la “vincita” sarebbe  tendente a infinito.
Parliamo di decenni.
Non può essere un problema di difficoltà attuative.
Ci deve essere un altro motivo.
Secondo me è culturale.
Quanti personaggi della politica sono veramente in grado di svolgere il ruolo a cui sono preposti ? Quanti burattini ci sono tra loro? Quanto velocemente vengono “fatti girare” in modo che non possano nemmeno imparare ? Quanti di loro se ne rendono conto ? E quanto litigiosi sono tra di loro, pensando di dovere fare valere le ragioni del loro singolo piccolo elettorato rispetto a quelle di tutti ?
John Nash vinse un Nobel tra l’altro perchè capì che la teoria di Adam Smith che il mercato massimizza il risultato totale quando ogni singolo persegue il suo massimo utile, era incompleta. Si vince se si massimizza insieme sia il risultato del singolo che quello degli altri. E la sua non era un’idea etica, ma quanto mai utilitaristica, quanto mai “economica”. Oggi lo chiamano in vari modi. Uno dei più efficaci è “profitto allargato”.
Inoltre a mio giudizio esiste una buona quota di questi governanti che esercita afflitta dalla sindrome “vorrei ma non posso”. Una buona parte rimane inebriata dal proprio piccolo potere e trae godimento dalla possibilità di “spendere” che altrimenti non avrebbe.
Il che mi pare plausibile proprio perché molto umano. D’altronde è quello che accade anche a molti manager aziendali.
E’ come quando si vince alla lotteria. E’ diffusa la prassi di “spendere tutto” proprio perché prima non si poteva.
E’ poi anche noto che il politico opportunista debba restituire in un qualche modo il voto ricevuto, restituzione che nella sua forma  più tangibile deve essere qualcosa che diventi danaro.
Si instaura così un circolo vizioso. Per mantenere il consenso devo comperarmelo. E il modo più semplice è spendere. E questa è una banalità.
Non credo nemmeno che sia un problema di “rubare”, che ovviamente è un bel problema. Non basta a giustificare decenni di deriva inerziale.
Penso proprio che molti siano affetti da una sorta di “spending compulsivo”.
Più che una spending review ci vuole una terapia di psicologia comportamentale che li sottoponga a un      re-imprinting da inversione di paradigma.
Ci vuole una classe dirigente che sia affascinata, e nemmeno solo educata, dalla sobrietà e dal risparmio.
Finchè continueremo ad essere guidati da “fan” dell’immagine, del lusso, del made in Italy glamour, della moda “haute couture”, non se ne uscirà.

Sono troppi
La sensazione che ho io è che, nella molto diffusa arroganza, non siano molti ad avere chiaro cosa debbano fare.  Tanti si dedicano a mettere veti, urlare, inveire, intralciare e via dicendo.
Ho sentito di quello che credo sia un nuovo record:  quasi 4.000 emendamenti  a un provvedimento del governo in carica.  
Ma cosa credono, di lavorare ? Cantavano i Dire Straits : “Money for Nothing”.
Ma che vengono pagati per emendare a “gragnuolate”? Un tot a emendamento ? Io credevo che stessero li per legiferare, anche quelli all’opposizione, invece qui il gioco è sempre quello del tiro al piccione mai della costruzione.
Dovrebbero multarli salatamente, altro che pagarli.
Non bastava lo “spending compulsivo”. Dovevamo anche ritrovarci affidati ad una banda di psicopatologici afflitti da “delirio di emendamento”. Trovo che il tema sia strettamente correlato alla “sindrome vorrei ma non posso”. L’irrefrenabile impulso ad emendare testimonia il bisogno di farsi notare a qualsiasi costo, proprio di una frustrazione profonda.
In sintesi: “volevo ma non potevo, ma adesso che posso, non solo ti spendo fino all’osso, ma emendo a più non posso.”
Stante dunque la generale inadeguatezza culturale a questo punto io procederei in maniera drastica.
Il taglio totale del Senato non basta.
Con una provocazione, ma non  troppo, io immagino solo una Camera da 100 deputati. Si obietterà che non sarà rappresentativa, ma tanto non lo è nemmeno quella attuale. Magari la si fa per 4 anni e poi ci si ragiona.
E comunque sarebbero circa circa 5 deputati per regione. Se ipotizziamo un prototipo di deputato “dedito e consapevole” forse potrebbero bastare.
E li obbligherei alla trasparenza forzata 24/24 ore. Dalle note spese, alle frequentazioni, alle abitudini private.
Secondo me in 100 forse riuscirebbero a mettersi d’accordo.
E in ogni caso se qualcuno “facesse lo stronzo” sarebbe pubblicamente svergognato in streaming.

Non dismettere niente fino alla ristrutturazione di conto economico. Dopodiché, prima gli asset improduttivi.
Prima di procedere con alcune considerazioni ulteriori sulla struttura del bilancio dello Stato, mi preme fare una precisazione importante.
Se prima l’Italia non sarà guidata da questa nuova classe fiera di essere sobria, trovo che assolutamente non si debba vendere più nessuno dei “gioielli di famiglia”.
In particolare ho in mente le aziende. Quelle che creano occupazione e generano tasse, per intenderci. Ma in generale anche gli altri assets, tra cui gli immobili.
Ogni vendita di azienda o immobile sarà incontrollabilmente spesa. Questo è scientificamente dimostrato.
E prima o poi finiranno.
A quel punto si che non ci sarà più scampo.
Tra l’altro la “passione immobiliare”, termine con il quale mi riferisco alla predisposizione a vendere aziende rispetto agli immobili i quali sono ancora considerati bene rifugio o target a cui ambire anche personalmente, è un’altra testimonianza della crisi culturale di cui sopra.
A mio parere, conferma la scarsa attrattiva per le attività produttive generatrici tra l’altro di tessuto sociale in senso lato, alle quali si preferiscono beni “non fastidiosi” cioè che non richiedano “gestione e lavoro”.
Insomma, secondo me la “preferenza immobiliare” conferma che siamo nell’era del “Parassitesimo”.

La sudditanza psicologica nazionale
Noi siamo una colonia, la Liberazione non è stata gratuita e in più l’italiano medio è da secoli storico-geneticamente vassallo. Meglio sarebbe tenerlo sempre a mente.
Ciò premesso esistono dei limiti entro cui si dovrebbe o si potrebbe essere più rigidi. Penso in particolare ai rapporti infraeuropei.
Si dovrebbe sempre ricordare che siamo comunque uno dei grandi paesi.
Che il nostro debito pubblico è alto, ma l’ordine di grandezza di quello degli altri paesi europei e/o occidentali è analogo. Come quando si dice che la nostra imposizione fiscale è troppo alta. Al 43% forse è vero, ma in Francia, Germania e altri paesi non sono mica al 10%. Sono solo alcuni punti percentuali, non decine, più in basso.
Si dovrebbe poi ricordare che il sistema Italia comunque regge. Che il Mol dello Stato è positivo. Che in tante cose siamo un modello: dal sistema economico misto, al tessuto (seppur massacrato) di piccole medie imprese, all’eccellenza nella ricerca e sviluppo, al patrimonio artistico-culturale, al turismo potenziale, e così via.
Certo si dovrebbe prima dotarsi di classe dirigente e programma di politica economica “presentabile”.
Ma una volta fatto questo, si dovrebbe anche ricordare che il nostro debito, come quello di tutti i paesi “industrializzati”, è innanzitutto gestibile e in ogni caso è un problema di tutti. Di tutta la collettività internazionale occidentale.
Si provi a immaginare se l’Italia non si adoperasse per farcela e “defaultasse”. Germania e Francia seguirebbero a stretto giro. E Usa e Giappone dietro. Il mondo è riuscito per miracolo ad assorbire, seppur con tante catastrofi sociali, il crack Lehman, i cui debiti valevano un quarto di quelli italiani.
Il 15 settembre 2008 la società ha annunciato l'intenzione di avvalersi del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense[1] (una procedura che si attua in caso di bancarotta) annunciando debiti bancari per US$ 613 miliardi, debiti obbligazionari per US$ 155 miliardi e attività per un valore di US$ 639 miliardi.[2] Quella annunciata è la più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti.[3] La società è ancora esistente, fino al completamento della procedura di bancarotta. http://it.wikipedia.org/wiki/Lehman_Brothers
Si salverebbero solo i paesi senza debito o con debito contenuto : Cina e Russia in primo luogo..
Allora il punto è : cara Unione Europea, siamo tutti sulla stessa barca.
E meno male, perché la salvezza può venire solo dal mercato interno Eurasiatico.
Ma ora si cerchino soluzioni e non si faccia politica nazional-demagogica.
In fondo non è diverso dal problema “Lampedusa”, se non per una differenza sostanziale : 1.000.000 teorico di migranti ripartiti in tutta la UE non fanno male a nessuno. 1.000/2.000 miliardi di “buco Italia” farebbero vedere i “sorci verdi” a mezzo mondo.
“Too big to fail” o “Too big not to fail”?

La ricerca della sostenibilità deve essere complessa.
Anche da quanto scritto spero risulterà che non esiste una sola singola soluzione al problema di ottenere la sostenibilità dei conti pubblici.
Non basta eliminare le provincie, non basta accorpare regioni, non basta rivedere alcune voci di spesa.
Ogni soluzione, perché sia effettivamente produttiva, dovrà necessariamente collegarsi a  molti altri aspetti e contemporaneamente dovrà essere dimensionalmente significativa.
Così, ad esempio, è innegabile che sia opportuna  una spending  review, ma perché abbia senso questa dovrà essere non solo articolata, ma anche significativa negli importi.
E’ inutile sprecare il lavoro per pochi spiccioli.
E dovrà poi essere accompagnata da altre iniziative.

Riassumendo e prima di addentrarci in alcuni dettagli e considerazioni su entrate e spese, alcune ipotesi di linee guida per la sostenibilità potrebbero essere le seguenti.
  1. rendere strutturale un MOL da almeno 150 miliardi di euro all’anno (nella versione di cassa sono 36 nel 2015), che reggerebbe anche i 100 miliardi di interessi sul debito, che pure andranno ridotti.
  2. Per fare questo servono :
-          minori spese
-          nuove entrate.
Alcune idee sono illustrate di seguito
  1. Vendere patrimonio immobiliare inerte, assicurandosi che ciò avvenga a prezzi di mercato e non come per Telecom o Banca d’Italia, tanto per citare due casi che ricordo. Ipotizzo 100/200 miliardi di euro.
  2. Realizzare una patrimoniale off-shore, e/o inshore su grandi patrimoni, con un impatto ideale tra 250 e 500 miliardi di euro. Sembra un numero campato in aria ma non credo lo sia. Il ragionamento che faccio io è che con almeno 250/300 miliardi di sommerso annui, senza considerare l’evasione da “emerso”, considerando che questi soldi concorrono “in accumulo” alla formazione di capitali off-shore e ipotizzando solo 10 anni passati di accumulo, esisterebbe una “banca offshore” da almeno 2.500/3.000 miliardi. E questo senza considerare che 10 anni sono un periodo breve, rispetto alla storica predisposizione ad esportare capitali del nostro paese.
  3. I punti 3 e 4 consentirebbero di ridurre sensibilmente il debito anche con un risparmio di 25-35 miliardi di euro all’anno di interessi, e/o di realizzare investimenti che seppur non riducessero gli interessi, aumenterebbero i redditi e il Pil.
  4. Il restante debito sarebbe sostenibile e ammortizzabile con parte della nuova cassa, programmando su di un arco temporale di 10 anni un mix tra minor debito e maggiori investimenti. Forse meglio la seconda, considerando che a quel punto il debito sarebbe sostenibile comunque.

A fine scritto c’è un riepilogo quantitativo, che seppur teorico da delle indicazioni di direzione.

Entrate dello Stato
Innanzitutto una premessa metodologica.
Le tabelle sono uno strumento importante. Devono però essere lineari e comprensibili. Quelle che seguono nascono da quelle del bilancio semplificato dello Stato, come reso pubblico dalla Ragioneria dello Stato.
Sono state oggetto delle seguenti iniziative.
  1. Semplificazione tesa ad evitare sottototali, voci “di cui” e alti dettagli parziali che rendevano farraginosa la lettura.
  2. Sono stati posti a confronto 3 anni di seguito, senza ricorrere ad una singola tabella per anno. In questo modo sono immediatamente evidenti le tendenze.
  3. E’ stata inserita una colonna con il peso percentuale sul totale di ogni voce d’entrata.
  4. E’ stata inserita una colonna con le differenze, in euro, tra 2015 e 2013.
  5. E’ stata inserita una colonna con il valore percentuale di tali differenze rispetto al 2013.
  6. E’ stata prodotta una tabella finale dove le entrate 2015 sono ordinate in base alla grandezza assoluta.

La struttura di ricavi
Con riferimento alla composizione delle entrate, cioè alla struttura di ricavi dello Stato, si evidenzia quanto segue. Si tratta solo di alcune macro questioni, assolutamente non esaustive, ma utili a prendere confidenza con l’argomento.
439 su 483  miliardi di euro del 2015 derivano dalle entrate tributarie che sono il 91% del totale. Di questi 439 miliardi, 173, 107 e 40 sono rispettivamente di IRES, IVA e IRE. Che queste 3 voci siano quelle “portanti” è noto.
Meno nota in termini numerici forse è la costante crescita. Come già anticipato, sui 3 anni in oggetto, le entrate sono aumentate di 30 miliardi, in parte compensati da 7 miliardi in meno di condoni. 30 miliardi su 439 sono quasi il 7%.
Osservo che per me la leva principale per aumentare le entrate resta quella della lotta all’evasione.
  1. Con un sommerso stimato in 300 miliardi di euro, ci si perdono fino a 100 miliardi all’anno.
  2. A questa va aggiunta l’evasione non da sommerso.
  3. Infine credo che sia sempre opportuna una verifica di effettiva progressività impositiva. Il rischio che i “ricchi” non gradiscano ed emigrino mi pare quasi un’opportunità più che un rischio. Fino ad oggi direi che hanno fatto più danno che beneficio. (E’ una provocazione).

Con riguardo a tutte le altre voci “extratributarie” , si noti che sono ben 27, seppur di importo relativamente contenuto, a parte altre forme di entrate sempre da  monopoli e giochi (già presenti nelle indirette per 25 miliardi) che incidono per altri 15 miliardi (40, in totale).
Una riflessione che sorge è che queste 27 voci richiederanno comunque una struttura per essere incassate. Sarebbe imbarazzante scoprire che per incassare 1 miliardo di ritenute (quelle tra le imposte dirette) se ne spendono 2 di personale (si vedrà più avanti che il personale dello Stato costa 85 miliardi di euro all’anno). Si dovrebbe capire se queste strutture, questi centri di ricavo o di costo o i relativi sottoinsiemi che li compongono, sono in utile.




Potrebbe darsi che il frazionamento impositivo, così evidente dal fatto che esistono ben 40 voci di entrate, alla fine sia improduttivo ?
Paradossalmente potrebbe darsi che se si cancellasse buona parte di dazi, bolli, balzelli, monopoli e accessori vari e si portasse l’IVA al 25% (tanto per dare un numero, che equivarrebbe a circa 10 miliardi) si risparmierebbero costi, tra personale, consulenze, uffici e così via, in misura più che proporzionale ?
Di seguito si riporta una tabella finale dove le entrate del 2015 sono ordinate in base alla grandezza assoluta.
Il dato che salta all’occhio è che le prime 10 voci coprono il 93% del totale.
450 miliardi su 480.
La semplificazione burocratica dovrebbe riguardare si i problemi del cittadino ma anche una spesso delirante bizantina organizzazione della burocrazia stessa.
Riprendendo il “paradosso IVA 25%”, che farebbe incassare circa 10 miliardi in più, resterebbero da coprire 20 miliardi (480-450 +10). Potrebbe essere verosimile che siano coperti proprio dal taglio delle parti superflue dell’apparato Statale.



 Le spese dello Stato
Devo premettere che come spesso accade un conto è la teoria e un conto la pratica. Quando mi sono accinto ad una macro analisi dei conti dello Stato pensavo di riuscire a trovare velocemente delle soluzioni. Mi fidavo probabilmente troppo della mia sensibilità numerica.
In ogni caso credo che sia utile sempre provare a realizzare in pratica quello che ci si immagina. Solo in questo modo si può verificare se le proprie idee sono corrette o no.
Credo comunque che alcune indicazioni siano sensate,
Come per le entrate, serve una premessa metodologica. Le tabelle originarie della Ragioneria dello Stato sono state oggetto delle seguenti iniziative.
  1. Semplificazione tesa ad evitare sottototali, voci “di cui” e alti dettagli parziali che rendevano farraginosa la lettura
  2. Sono stati scelti i dati a confronto su 3 anni in modo da rendere evidenti le tendenze.
  3. E’ stata inserita una colonna con il peso percentuale sul totale di ogni voce di spesa.
  4. E’ stata inserita una colonna con le differenze, in euro, tra 2015 e 2013.
  5. E’ stata inserita una colonna con il valore percentuale di tali differenze rispetto al 2013.
  6. L’analisi di dettaglio è stata fatta sulle Spese Correnti, escluse quindi quelle in conto capitale che rispondono in primo luogo alla logica degli investimenti.
  7. Come accennato non c’è un’analisi per “centri di costo” per cui ad esempio il personale è per totali.

La struttura di costi



A parte le considerazioni sulle singole voci, risulta evidente come la struttura rimanga costante. L’incremento totale di 6 miliardi è riconducibile alla previdenza.
Per il resto si nota una strategia di mantenimento senza nessuna revisione sostanziale. I pochi risparmi ottenuti sono compensati da altri incrementi.
Si conferma l’idea che un processo di revisione di spesa dovrebbe essere significativo. Come già detto 10 miliardi teorici sono noccioline.
Comunque le prime tre voci coprono il 75% del totale. 304 miliardi su 410.
Ma per meglio rendersi conto della complessità sottostante, si rinvia alle tabelle di dettaglio. Sono circa 200 voci di spese correnti, a cui aggiungerne circa altre 150 in conto capitale.
Sulle singole voci non è possibile entrare nel merito più di tanto. Si fanno solo alcune osservazioni di massima.

Personale.
E’ pari a 86 miliardi annui pari al 21% del totale. In merito si osserva che il recente provvedimento di contenimento degli stipendi dei manager è in principio una buona iniziativa.
Al tempo stesso si dovrebbe tenere conto anche di dirigenti quadri e impiegati “non top manager”. Probabilmente non è rappresentativa del totale, ma io ricordo dall’analisi fatta per la CGIL che in Rai il costo medio del personale era prossimo agli  80.000 euro, quando in un’azienda media non pubblica la media è sensibilmente più bassa.
A rischio di rendermi “occupazionalmente scomodo” questa dovrebbe essere comunque considerata come una possibile area di risparmio.
A fini di “ipotetico piano finale” ipotizziamo fino a 10 miliardi di risparmio. Il 12%.

Regioni
Costano 96 miliardi, il 24% del totale.
Questo è un tema ampiamente dibattuto. Io penso che le Regioni abbiano delle funzioni reali. Non è quindi verosimile pensare di eliminarle. Ma razionalizzarle o accorparle penso di si. Come di recente annunciato in Germania.
Ammettiamo per assurdo anche in questo caso che si possono risparmiare fino a 10 miliardi di euro. Il 10%.

Comuni
C’è poi la questione Comuni, e non soltanto  quella delle Provincie. A me è capitato di recente di imbattermi in un paese “che fa comune” con 200 votanti.
E’ innegabile che situazioni del genere potrebbero essere accorpate.

Partecipazione alla riduzione dei costi
Su tutte le altre voci dopo le prime 3 non ho sufficienti ragioni per esprimermi. In realtà non mi sono espresso nemmeno sulla previdenza.
E’ però certo che su 100 miliardi di spesa dei margini dovranno esserci. E’ il tema della spending review in corso.
In azienda quando si fa un budget si può seguire un approccio top-bottom (la direzione da gli obiettivi e la struttura si adegua) o bottom-up (si raccolgono le voci dalla base della struttura e poi si “assemblano”).
A me piace la seconda. Spesso, se non quasi sempre,  sono le persone che lavorano che possono sapere come lavorare meglio.
Un’idea che si potrebbe perseguire, stante sia la “parcellizzazione” delle voci di spesa (che sono 200) che la loro conoscenza da parte della base, è quella di indire delle specie di “concorsi al risparmio”.
Anche retribuendo le soluzioni più efficaci e/o praticabili.

Per concludere, di seguito si riportano le tabelle di dettaglio delle voci di spesa.
Quand’anche non fosse chiaro cosa tagliare, almeno inizieremo a renderci conto personalmente di due cose :
  1. con cosa abbiamo a che fare e
  2. se quello che ci raccontano ha un senso oppure no.




La Grande Tabella
Si riassumono le ipotesi di linee guida per la sostenibilità già indicate al paragrafo “La ricerca della sostenibilità deve essere complessa”.
A queste sono aggiunte alcune ulteriori considerazioni.
Si osservi che il piano in teoria prefisso al paragrafo di cui sopra prevedeva un MOL strutturale di 150 miliardi di euro all’anno. Nella tabella finale si arriva ad un totale di 136 miliardi, ma già includendo 25 miliardi annui di investimenti. Le ipotesi di seguito, pertanto, totalizzano 161 miliardi.
  1. Maggiori entrate da evasione. Si ipotizzano 10 miliardi, che considerata una base totale di entrate IRE +IVA +IRES pari a 173, 107 e 40 = 320 miliardi sarebbe meno del 3% in più. Ragiobevole.
  2. Maggiori entrate da sommerso. Con 250/300 miliardi di sommerso si potrebbero avere fino a 100 miliardi in più in caso di emersione. Qui se ne stanno ipotizzando 50, cioè la metà.
  3. Revisione di progressività. Si ipotizzano 5 miliardi. Anche rispetto ai dati di cui al punto 2 appare ragionevole.
  4. Revisione di centri di costo. Razionalizzazione della struttura di entrate e costi relativi. Si rinvia  a quanto già detto.
  5. Revisione costi Personale. Si rinvia  a quanto già detto.
  6. Revisione costi Regioni. Si rinvia  a quanto già detto.
  7. Revisione costi Comuni. Si rinvia  a quanto già detto.
  8. Revisione da proposte su spending. Si rinvia  a quanto già detto.
  9. Ritorno di investimenti. E’ una delle voci aggiunte in questa tabella finale. Non si è proceduto ad analizzare in dettaglio le spese in conto capitale. E’ però evidente che le stesse sono in netta contrazione sui 3 anni, passando a 47 a 36 miliardi. Qui si ipotizzano almeno 25 miliardi annui strutturali di investimenti, che rispetto alla prassi in uso è un bel salto. Ovviamente gli investimenti devono essere profittevoli, e quindi si da per assunto che rendano un 20% annuo (5 miliardi).
  10. Ritorno da turismo. Questa è una mia “fissa”. Il nostro mix di patrimonio artistico, culturale, storico e naturalistico è unico. Si potrebbe cercare di realizzare accordi internazionali non tanto nell’ambito degli enti preposti ma direttamente a livello governativo, “al vertice”. In modo da fare in fretta. Sostenevo qualche tempo fa che si dovrebbe dare in concessione ai cinesi per 200 anni il centro-sud Italia in modo che loro lo “sistemassero” e poi ci mandassero in vacanza un piccola fetta della loro popolazione. Senza il paradosso della “concessione” si immaginano qui accordi governativi con i nuovi grandi, in primo luogo Cina, Russia e India. Nella tabella si ipotizzano 50 milioni di turisti che portino 1.000 euro ciascuno per un totale di 50 miliardi di reddito nazionale che quindi generi un 30% di imposizione tra diretta e indiretta. Un buon affare per noi, ma anche per i turisti che di certo potrebbero fare una bella vacanza in qualche posto memorabile.
  11. Dismissioni. Si rinvia a quanto già scritto. Qui si ipotizza di usarle interamente in conto riduzione debito. 200 miliardi al 5% di interesse comporterebbero minori oneri per 10 miliardi.
  12. Off-Shore. Si rinvia a quanto già scritto. Qui si ipotizza di usarle interamente in conto riduzione debito. 500 miliardi al 5% di interesse comporterebbero minori oneri per 25 miliardi. 
Per concludere
I totali mi sembrano auto esplicativi.
Se fossero troppo ambiziosi si potrebbe sempre ripartirli su di un piano pluriennale.
Ma in ogni caso questo è il modo di ragionare che si dovrebbe adottare: omnicomprensivo, trasparente e innovativo.
E su questa base si dovrebbe fornire il “reporting” trimestrale di cui all’inizio.
In principio fu il comunicato stampa. In conclusione, la sopravvivenza.
 



Seguono alcune definizioni tratte da Wikipedia


Deficit pubblico - Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Deficit_pubblico
In economia, all'interno della contabilità di Stato e del bilancio statale, il deficit o disavanzo statale è l'ammontare della spesa statale non coperta dalle entrate, ovvero quella situazione economica dei conti statali in cui, in un dato periodo, le uscite dello Stato superano le entrate. Il disavanzo è dunque una eccedenza delle uscite sulle entrate, al contrario del surplus o avanzo statale, che è un risparmio netto del settore statale (quando le entrate superano le spese); in tal caso, però, l'avanzo pubblico va distinto dal cosiddetto avanzo primario, che considera la differenza tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul debito statale.
Il deficit statale può essere il risultato voluto dal governo di politiche di bilancio (manovre finanziarie o strategie economico-finanziarie di lungo periodo (DPEF)) di tipo espansivo a sostegno della domanda aggregata e quindi della crescita economica grazie all'aumento della spesa statale o dei trasferimenti e/o riduzione delle imposte. Viceversa manovre restrittive, con riduzione della spesa statale o dei trasferimenti, e/o in un aumento delle imposte, hanno effetto di riduzione del deficit statale, pareggio di bilancio o generazione di avanzo statale ottenendo dunque un saldo positivo nei conti dello Stato grazie a politiche di rigore deflazionistiche.
Concorre alla generazione di deficit pubblico indesiderato il fenomeno dell'evasione fiscale e/o una diminuzione del PIL con diminuzione delle entrate dovuta a minor introiti da tassazione sui redditi.

1.1     Indice

1.2     Descrizione

1.2.1 Spesa statale, deficit e debito statale

1.2.1.1    Cause

La spesa statale è costituita dagli acquisti di beni e servizi da parte del settore governativo/statale e dai trasferimenti alle amministrazioni locali, alle imprese e ai singoli (sotto forma di retribuzioni, pensioni e altri tipi di sussidi, come quelli di disoccupazione). A fronte di tali uscite lo Stato incassa un cosiddetto gettito fiscale dalle imposte di sua competenza, quali le imposte DIRETTE come quelle sul reddito dei singoli (IRPEF) e sul reddito delle società (IRES), e INDIRETTE, come l'IVA. Il saldo negativo tra entrate ed uscite rappresenta dunque il deficit o disavanzo.
La presenza di un deficit si può dunque attribuire ad un incremento di spesa (causata eventi come una guerra o una catastrofe naturale, da scelte di politiche economiche di sostegno ad un decremento della domanda generato da aumento del tasso di disoccupazione e da stagnazione o recessione economica all'interno del settore privato-non governativo) e/o a diminuzione delle entrate (ad esempio politiche fiscali di sostegno alla domanda, alta evasione fiscale, bassa crescita economica che genera diminuzione nel gettito fiscale.

1.2.1.2    Misurazione

Anche se il deficit statale viene misurato in termini assoluti, indicando il suo ammontare in euro o nella moneta in cui è espresso, gli economisti preferiscono valutarne le dimensioni relative, rapportando il deficit al Prodotto interno lordo del paese. Tale rapporto costituisce, peraltro, il parametro essenziale con cui sono valutati gli Stati Membri dell'Unione Europea, che rientrano nell'eurozona, per il rispetto del Patto di stabilità e crescita.

1.2.1.3    Copertura

La presenza di un deficit contabilizzato nei conti dello Stato, anche se voluto da politiche espansive di crescita economica, pone allora la questione cruciale della sua copertura finanziaria. E, quindi, necessariamente bisogna suddividere gli Stati a moneta sovrana (monopolisti della moneta) dagli Stati utilizzatori di moneta non sovrana (ad esempio gli Stati dell'Eurozona e gli Stati con una moneta agganciata ad un tasso fisso con una moneta estera di riferimento). Stati a moneta sovrana (USA, Giappone, Cina, etc.) sono sempre solvibili ed in quanto monopolisti della moneta non hanno bisogno del prelievo fiscale per la loro spesa a deficit (le tasse hanno come fine l'accettazione della moneta dello Stato come mezzo di scambio nell'economia del settore privato-non governativo, mentre l'emissione dei titoli di Stato ha come scopo il mantenimento del tasso overnight, ovvero il tasso di interesse interbancario). Stati che utilizzano una moneta non sovrana hanno invece il problema di reperire le risorse finanziare per la propria spesa a deficit. Questa avviene solitamente con l'emissione di titoli di stato come BOT e CCT, che vanno dunque a costituire, in aggregato, il cosiddetto debito statale. Lo Stato emittente paga necessariamente degli interessi che contribuiscono a loro volta ad un ulteriore quota delle uscite statali.
In quanto derivante dal disavanzo tra entrate e uscite, le politiche restrittive di colmamento/riduzione del deficit statale presente e futuro possono ottenersi necessariamente attraverso attuazione di una o più delle seguenti misure:

1.2.1.4    Deficit, politica economica e crescita economica

Una divisione tradizionale delle posizioni in materia di deficit e politica economica tra forze politiche conservatrici e progressiste, attribuisce alle prime la volontà di ridurre quanto più possibile il deficit dello stato o addirittura di chiudere in pareggio di bilancio i conti pubblici allo scopo di mantenere ordine nei conti, di contenere la spesa pubblica e di preservare il ruolo di controllo dello stato nell'economia, mentre alle seconde verrebbe attribuito il desiderio di accettare deficit pubblici strutturali purché finalizzati a sostenere la domanda e in consumi o a preservare le fasce sociali più deboli.
In particolare le posizioni che si rifanno alle idee keynesiane attribuiscono allo stato il compito di sostenere, quando necessario, la domanda di beni e servizi ricorrendo alla spesa pubblica anche in condizioni di deficit stimolando la crescita economica, che di per sé in linea teorica sarebbe anche in grado di aumentare/sostenere le entrate statali nel medio-lungo periodo per tassazione sui maggiori profitti di aziende e lavoratori.

Bilancio dello Stato - Da Wikipedia,. http://it.wikipedia.org/wiki/Bilancio_dello_Stato
Il bilancio dello Stato, nella contabilità di Stato, è un documento contabile di previsione previsto dall'art. 81 della Costituzione da approvare con scadenza annuale, indicante le entrate (imposizione fiscale) e le uscite dell'amministrazione statale (spesa pubblica) relative ad un determinato periodo di tempo ovvero i cosiddetti conti pubblici.
In esso si rispecchiano le scelte della finanza pubblica relative ai bisogni della collettività, alle priorità dei diversi obiettivi preposti nella politica economica quali ad esempio il livello di pressione fiscale imposto a carico dei contribuenti e così via. Il bilancio è redatto in termini di competenza e di cassa.
Il bilancio di competenza indica l'ammontare delle spese che lo Stato prevede di dover pagare e delle entrate che prevede di poter riscuotere nell’anno di riferimento (nascita dell’obbligazione). Il bilancio di cassa indica invece le spese che effettivamente verranno liquidate e le entrate che effettivamente saranno incassate (adempimento dell’obbligazione).
Il bilancio ha diverse funzioni: contabile, di garanzia, politica, giuridica ed economica.

1.3     Indice

1.4     Funzioni

1.4.1 Funzione contabile

La prima funzione è quella di un documento contabile che permette di conoscere la situazione contabile dell'ente e di regolarne l'attività futura. Il bilancio veniva predisposto anche nello stato assoluto, quando la finanza pubblica si identificava con il patrimonio del re, ma la sua funzione era soltanto quella di un mezzo tecnico di conoscenza ed il suo valore era quello di un atto amministrativo interno, redatto per un'esigenza di ordinata gestione.

1.4.2 Funzione di garanzia

Quando gli stati assumono caratteristiche più vicine a quelle dello Stato moderno, il bilancio assume anche una funzione di garanzia per i cittadini nei confronti dell'amministratore pubblico: il governo ha meno possibilità di arbitrio quando deve rispettare le voci e le cifre esposte in bilancio.
Il diritto di approvare il bilancio, successivamente rivendicato dalla collettività attraverso i suoi rappresentanti, segna l'evoluzione dello Stato verso forme costituzionali.

1.4.3 Funzione politica

Il bilancio è ormai molto più che un semplice strumento di rilevazione contabile e ha acquistato una funzione politica nel rapporto tra governo e parlamento. Dal momento che i fini da raggiungere sono sempre enormemente superiori alle possibilità economiche di uno stato (piena occupazione, riduzione del debito pubblico, miglioramento dei servizi pubblici, etc.), il bilancio è utile per vedere quali il governo intenda privilegiare, e perciò quali siano le sue reali intenzioni politiche; il tutto salvo approvazione del parlamento. Inoltre, attraverso questo documento si vedono le entrate e le uscite effettivamente sostenute nel periodo d'esercizio.

1.4.4 Funzione giuridica

L'approvazione del bilancio diventa un atto giuridico di autorizzazione, senza o contro il quale gli organi del potere esecutivo non possono gestire la spesa pubblica né riscuotere le entrate. Gli stanziamenti del bilancio segnano giuridicamente il limite entro cui deve svolgersi la gestione amministrativa: il bilancio ha forza di legge e vincola alla sua osservanza l'attività della pubblica amministrazione.
È limitato però, dal fatto di non poter modificare le vigenti leggi: non può riadattare un'imposta piuttosto che un'altra, con lo scopo di far quadrare i conti. Per questo motivo sono state introdotte le leggi affiancate, che ne adattano il quadro giuridico fiscale: la più importante è la finanziaria.

1.4.5 Funzione economica

La funzione del bilancio, infine, si amplia nello stato contemporaneo, quando alla finanza pubblica si comincia ad attribuire un ruolo attivo in funzione dell'equilibrio economico generale. Il bilancio diventa allora uno strumento di programmazione, che permette di valutare gli effetti dell'attività finanziaria sui vari aspetti della vita economico-sociale e di orientare gli interventi di politica economica verso gli obiettivi desiderati (un aumento o una diminuzione della cifra stanziata in bilancio significa, in sostanza, una maggiore o minore possibilità di attuazione per qualunque scelta politica).
Gli obiettivi e gli interventi possono essere coordinati in modo organico e razionale, in quanto l'intero quadro della finanza pubblica è esposto in un unico documento contabile (seppur di consistenza mastodontica).
Anche il bilancio dello Stato deve essere redatto nel rispetto di alcuni principi fondamentali:
  • Annualità, ai sensi dell'art. 81 Cost., il bilancio deve essere redatto dal Governo e approvato dalle Camere con frequenza annuale;
  • Unità (Unicità), ai sensi dell'art. 24, comma 4, L. 196/2009 le entrate devono affluire ad un unico fondo, il quale serve a finanziare le spese;
  • Universalità, tutte le spese e le entrate devono trovare opportuna collocazione in bilancio e non sono ammesse gestioni fuori bilancio, se non espressamente autorizzate;
  • Integrità, ogni voce deve essere inserita al "lordo", senza compensazioni tra voci in entrata e voci in uscita;
  • Veridicità, deve essere "vero", senza sopravvalutazioni di entrate o sottovalutazioni di uscite, al di fuori di eventuali reati commessi dai suoi compilatori;
  • Pubblicità, il bilancio deve essere pubblicato in G.U.;
  • Specificazione, ciascuna voce di entrata e di spesa deve essere iscritta in bilancio al fine di evidenziarne la natura contabile;
  • Tendenziale equilibrio nel medio periodo, gli Stati appartenenti all'area Euro, sono obbligati ad avere un pareggio di bilancio o al massimo un disavanzo pubblico che non deve però superare il 3% del PIL.

1.5     Situazioni contabili possibili

In generale, in relazione alla differenza tra entrate e uscite (saldo primario), sono possibili 3 diverse situazioni o scenari contabili, comuni peraltro anche alle situazioni aziendali:
In relazione a queste situazioni sono possibili conseguenti misure a livello di politica economica (politiche di bilancio) da parte del Governo finalizzate a ridurre l'eventuale deficit (es. spending review, tagli alla spesa pubblica o aumento della tassazione sui contribuenti) oppure a finanziare la crescita economica.

1.6     Voci correlate



2 commenti:

  1. Molto interessante. Occorre disporre di molto tempo per leggerlo con la dovuta attenzione. Perché la trasparenza diventi effettiva occorre forse un "bigino". A parte gli scherzi: una sintesi aiuterebbe

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  2. si, sono d'accordo...non si tratta di un argomento facile da "trattenere"

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