venerdì 29 agosto 2014

2014 08 29 – Italia – Export (e import) nell’insiemistica imperiale e reti di vendita (sell centers)




Riprendo dal ruolo dell’Italia in questo insieme di imperi che è il mondo.

Il commercio fa girare il mondo
Il primo fatto è che a guardare i dati di BOP (Bilancia of Pagamenti), italiani o mondiali che sia, non si acquisisce a pieno la reale dimensione della questione.
La BOP,  infatti è un valore netto tra un più e un meno, che nasconde la reale portata delle due grandezze sottostanti : Export e Import.
Se prendiamo il caso Italia, a fronte di una BOP  tendente a zero abbiamo importazioni ed esportazioni per 400 miliardi circa, sia in entrata che in uscita
Un quarto del nostro PIL ciascuna.
Ma dirò di più: quando, e se, si prescinde dai segni algebrici, il nostro commercio internazionale vale 400 di esportazioni +400 di importazioni = 800 miliardi. Quindi più del 50% del nostro PIL.
Se si vuole un indicatore di quanto gira un’economia, ci si deve ricordare che il commercio è quello che fa girare il mondo. In qualsiasi senso vada : sia in entrata che in uscita.
Anche nel caso di una economia non enorme come l’Italia, che vale meno del 3% del PIL mondiale.

Il commercio fa progredire il mondo
La seconda questione è a livello globale.
Ci vorrei dedicare un futuro post ad hoc. Ma per ora basti un accenno.
L’insiemistica imperiale ha come area di sovrapposizione proprio quella degli scambi commerciali.
Se riportiamo il dato percentuale italiano su scala globale, otteniamo che a fronte di PIL per 55.000 miliardi di euro circa, ci sarebbero scambi per 13.750 di import e altrettanti di export. Sommandoli, otteniamo 27.500 miliardi. Pari al 50% del PIL, PIL, che come già spiegato; è una dimensione di quanto gira l’economia per valutare la quale si deve considerare anche il commercio come sopra detto. E questa è solo la dimensione quantitativa.
Si deve poi ricordare che storicamente, dalla notte dei tempi, l’essere umano commercia.
E commerciando scambia cultura, conoscenza reciproca, informazioni e infine contribuzione di pace.
Il commercio internazionale è fonte di progresso e stabilità. Anche se a volte sembra, e spesso è, una guerra.
Maggiori sono le interconnessioni commerciali, minore è la probabilità di farsi una guerra reale.
Gli interessi economici in ballo smorzano l’utilità economica di una guerra.
I secoli bui, il medioevo, sono quelli in cui c’è molto meno commercio.
Dove l’autarchia diventa autoreferenza. E l‘autoreferenza è geneticamente implosiva.
Chissà chi riesce già a vedere il nesso con la civiltà dell’intelletto e l’unità di scambio relativa: il Neuro.

Esportazioni Italia – Capacità commerciale
Partiamo dal metodo. Ho fatto riferimento a ICE e ISTAT. In particolare sul sito www.ice.it ci sono dati separati per settore di attività e paesi di export o di import http://actea.ice.it/wizard.aspx?id_analisi=26
Anche l’Istat fa delle belle pubblicazioni sul tema http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120719_00/Sintesi.pdf
Una cosa che ho riscontrato, però, è che si pubblicano dati a prevalente uso statistico, ma non necessariamente rappresentativi sotto il profilo commerciale. Ma è normale che sia così.
Le tabelle ICE di import e export per settore, riportano per ogni settore i primi 20 paesi a cui esportiamo (o da cui importiamo). Ovviamente questi primi 20 paesi dei 27 settori individuati, differiscono da comparto a comparto.
Per cui nelle 2 tabelle seguenti, troviamo un totale di 62 paesi destinatari delle nostre esportazioni.
Rimane dunque il fatto che ne mancano 130 per coprire tutti i 190 paesi censiti dal Fondo Monetario.
Ovviamente tra questi ci sono paesi molto poveri o molto piccoli, ma il dato di 62/190 comunque rimane.
Questi 62 paesi totalizzano 4,7 miliardi di abitanti a fronte di 7 miliardi totali nel mondo. E un PIL pari 48.000 miliardi su 55.000 miliardi totali.
In pratica non copriamo 2,5 miliardi di persone e circa 8.000 miliardi di PIL.


E questo, soprattutto in termini di PIL relativo (8 mld), potrebbe anche non essere grave.
Ma il fatto è che anche facendo attenzione solo ai 62 paesi coperti, si osserva che il grosso delle esportazioni è concentrato in pochi paesi e poche classi merceologiche.
184 miliardi di euro è il totale delle voci nel riquadro azzurro della tabella precedente, riquadro che copre 10 classi merceologiche e 19 paesi (quelli che raggiungono il 90% del totale di 290 miliardi).
Sono inoltre ben visibili i principali destinatari di nostro export nella colonna “Totale complessivo”. I primi 12 paesi coprono 234 miliardi, pari all’80 % del totale.
E questi 12 rappresentano 32 miliardi di PIL e 2,2 miliardi di popolazione.
Insomma, la sensazione è che vendiamo per lo più ai soliti (12) noti.
Ma anche tra questi soliti noti ci sono delle belle discrepanze.
Se si guarda la seconda tabella delle due precedenti, le ultime tre colonne rappresentano :
  1. Esportazioni in % sul PIL del paese cliente
  2. Esportazioni in % sul PIL del paese cliente – dato % progressivo
  3. Esportazioni Euro per abitante del paese cliente
In particolare la prima e la terza colonna sono dei banali ma pratici indici di penetrazione commerciale all’estero. Ecco alcune osservazioni
La media totale delle nostre esportazioni sul Pil dei paesi clienti è pari a 0,61%.
Ma inoltre questo dato è molto variabile. Si va da valori prossimi a zero, al 2% di Germania e Francia, che ci danno 51 e 43 miliardi.
E’ questa variabilità proprio quella che richiede e suggerisce interventi.
Si consideri che, al tempo stesso, non viaggiano bene (rispetto alla media o a Francia e Germania), nemmeno le grandi economie tra cui quelle un tempo emergenti.  
L’India (che ha quasi lo stesso numero di abitanti della Cina: 1,2 vs. 1,4 miliardi di cui una buona parte di clienti potenziali) è allo 0,08%; La Cina allo 0,14%. Ma oltre a queste, anche i due colossi storici non fanno faville. Gli USA sono allo 0,2% e il Giappone allo 0,13%.
Anche i dell’Est non sono in grande evidenza.
Le stesse informazioni si possono ottenere guardando la colonna finale della stessa tabella. Anzi, forse questa è anche più immediata. E’ la colonna con il valore in euro/abitante del paese a cui esportiamo. Vuol dire quanti Euro ci da ogni abitante del paese oggetto.
La media totale è di 63 euro a persona. Ma balzano agli occhi importi da 600 euro (Francia o Germania, ancora), 1.000 il Belgio, 2.300 la Svizzera. Anche senza arrivare a questi valori, il Regno Unito “vale” 300 euro a persona. Ed in generale, come sopra, dove c’è variabilità c’è spazio di manovra
E’ ovvio che alzare la media dallo 0,61% o dai 63 euro sarebbe un bel successo.
Insomma non ci si deve lasciare ingannare dal fatto che le nostre esportazioni vanno bene.
Dovrebbero andare molto meglio. E una chiave, per me, è quella delle reti di vendita.

La sensazione di una non ottimale capacità di penetrazione commerciale è anche visibile nelle tabelle seguenti che riportano il dettaglio per classe merceologica di esportazioni, importazioni e Bop per ogni singolo paese. Sono quei paesi che partecipano a totalizzare i soliti 291 miliardi di export.
Sono evidenziate in verde alcune aree favorevoli all’Italia, e in rosso quelle sfavorevoli.
Un considerazione è che abbigliamento, articoli in pelle e varie (cioè parte del Made in Italy) non è così determinante in nessun paese. Alcune considerazioni. Si rinvia alle tabelle per altre considerazioni personali.
Germania: si vede bene l’impatto dell’industria che si porta via quasi 30 miliardi. Noi siamo forti su abbigliamenti, pelle varie metallurgiche. Addirittura siamo in negativo anche nell’alimentare.
Francia :siamo forti su abbigliamento, pelle, apparecchiature
Stati uniti : celle verdi un po’ ovunque, ma solo 14 miliardi di totale
Regno unito:  9 miliardi totali di Bop, 0,73% sul loro PIL
Svizzera : 9 miliardi, 0,81% sul loro PIL
Russia : -12 mld da agricoltura
Cina : -23 mld da manifatture varie
Paesi bassi : - 10 mld Bop


 Importazioni
Non aggiungo molto in questa sede, confermando che vanno ridotte rispetto alla situazione attuale.

Il riquadro azzurro della tabella totalizza 170 miliardi. Sono quindi altrettanto concentrate delle esportazioni.
Un modo per ridurre le importazioni, oltre a tanta pubblicità progresso (come già detto), può essere proprio partendo dalle precedenti tabelle con le BOP per paese.
Quando si trova una voce di pari importo sia in entrata che in uscita nello stesso comparto, e’ evidente che c’è spazio (mercato) per aumentare il consumo di prodotti interno.
Se li compro fuori posso comprarli anche in casa mia, salvo questioni di prezzo che però spesso sono prese a riferimento in maniera più strumentale di quanto crediamo. Oggi esistono tanti prodotti italiani anche a prezzi comparabili, se non competitivi, con quelli esteri. O quasi.

Evasione
Infine una notazione importante sull’aspetto evasione
Il commercio estero è zona preferenziale per evadere ed esportare soldi all’estero
Quando compro, è facile far finta di comprare cose che non esistono. Così pago all’estero e i soldi escono.
Quando vendo è facile incassare parte in nero, e ricevere in Italia solo l’incasso parziale.

Il caso Radiogold per la Microeconomia Adattiva Complessa
Io ho una partecipazione in una radio del Network di Radio Popolare che si chiama Radiogold e sta ad Alessandria.
L’avevo comperata sia perché erano molto bravi sia perché aveva un particolare modello di azionariato, riepilogato qui sotto. In cambio ho ricevuto pubblicità da utilizzare.
  1. Mediaservizi s.c.
  2. Consorzio Unione Artigiani (CNA)
  3. Confesercenti Provinciale Alessandria
  4. Asso Agricoltura Servizi srl  (C.I.A.)
  5. Camera del Lavoro Territoriale CGIL Alessandria
  6. Claudio Aroldi
Era proprio l’azionariato che mi aveva interessato, perché era fonte di potenziali clienti per i miei prodotti. Ed era una rappresentanza di tutto il tessuto sociale e lavorativo della provincia.

Ciò premesso, tornando alla questione sell centers, penso che si debba iniziare a sviscerarla un po’ meglio.
Sapendo che è un lavoro in progress, di seguito si illustrano alcuni punti principali.

  1. Utilizzo di disoccupati di prossimità
In prevalenza giovani, sia per una priorità sociale sia perché sono i più “svegli” verso i clienti e verso il web. Il peggio che può capitare e che si offre loro almeno una speranza. In ogni caso i giovani devono essere della zona (provincia ?) che promuovono, proprio per offrire un servizio di prossimità basato sulla conoscenza e cultura.

  1. Liste nominativi
Anche prescindendo da convenzioni o accordi internazionali, è facile accedere a liste di clienti via web. Queste potrebbero essere anche oggetto di acquisto, con investimenti relativamente modesti. Si pensi ad esempio a liste DEM (Direct email marketing) provenienti da siti locali vari.

  1. Driver di ingresso: turismo
Avevo pensato al turismo, vale a dire alla proposta di pacchetti vacanze da parte di un giovane che poi si configura come una specie di Personal Trainer o Personal Tourister. E una volta che ha il rapporto con il cliente, può proporre altri prodotti o servizi. Ma comunque il driver di ingresso può anche essere altro. Da valutare.

  1. Formazione iniziale e patente Statale. Valutare codice deontologico.
In tema di turismo, una breve formazione (2-4 settimane) può essere fornita dalle aziende del turismo. Un piccolo esame permetterebbe di avere un patentino che garantisce sia la tracciabilità a livello italiano (per sapere chi fa questo mestiere) sia la qualità ai turisti stranieri. La lista di questi patentini andrebbe comunicata a paesi esteri, in ambito di cooperazione internazionale.
Possibile definizione e sottoscrizione anche di un codice deontologico.

  1. Altri prodotti/servizi – Ipotesi Slowfood
Parallelamente o separatamente, lo stesso approccio potrebbe essere seguito su altri prodotti o servizi. Un’ipotesi è il coinvolgimento di realtà come Slowfood, sia per dare expertise ai Personal Tourister sui prodotti, sia eventualmente per organizzare corsi di studio nella loro università.

  1. Altri prodotti – ipotesi azionariato Radiogold.
Lo schema di azionariato Radiogold potrebbe essere usato per allocare n. giovani per ognuna delle realtà associative locali.
In questo modo si amplierebbe il pacchetto di prodotti offribili, per andare oltre il driver iniziale turismo e/o Slow food.
Ad esempio artigiani, esercenti, agricoltura, o nello specifico di Alessandria, gli orafi di Valenza.
Tutti potrebbero partire con il turismo, e poi iniziare a scambiarsi i clienti. Oppure meglio ancora, lasciare un unico riferimento ai clienti e semplicemente fare da “agenti plurimandatari”.

  1. Target : imprenditori di se stessi
Una volta iniziato a acquisire clienti, il giovane nel rispetto del codice, potrà svolgere come meglio ritiene il lavoro. Potrà accompagnare, dare informazioni, segnalare aspetti interessanti. Di fatto si specializzerà in base alle sue predisposizioni.

  1. Remunerazione
A variabile sia dai clienti che dai fonitori.

  1. Possibili convenzioni operatori esteri su telefonia e web
Ad esempio per dare la possibilità di contattare il personal tourister gatutitamente.

  1. Sito web per clienti
Un social network ad hoc per scambiare impressioni, idee, o anche solo per partecipare.



Per concludere
Avevo già scritto un’ipotesi di taglio importazioni a favore di prodotti italiani per 38 miliardi di euro (stimati a caso).
Oggi ammettiamo di darci un target di 50/100 miliardi di esportazioni in più (sempre a caso)
Con 100/150 miliardi di Pil in più possiamo ipotizzare almeno da 30 a 50 miliardi di tasse in più.

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