Il mantra crescita
occupazione
http://it.wikipedia.org/wiki/Mantra
: Mantra è un sostantivo
maschile sanscrito (raramente sostantivo neutro) che indica, nel suo significato
proprio, il "veicolo o strumento del pensiero o del pensare", ovvero
una "espressione sacra" e corrisponde ad un verso del Veda, ad
una formula sacra indirizzata ad un deva, ad una formula mistica o magica, ad
una preghiera, ad un canto sacro o a una pratica meditativa e religiosa.
……Crescita
Occupazione, Crescita Occupazione, Crescita Occupazione……
Questo sembra: un veicolo di
pensiero, speriamo.
Ma più che altro una preghiera.
Tutti ne parlano, tutti le chiamano,
tutti le cercano.
E questo è bene.
Al tempo stesso non bisogna
nascondersi dietro le parole.
Non bisogna cadere nella tentazione
della appropriazione indebita di idee.
Se si sa qualcosa, bisogna spiegarlo
ed essere chiari per tutti.
In sintesi, se si sa, bisogna
spiegare :
·
come si fa a materializzare il mantra ?
·
come si fa a trasmutare il pensiero in materia ?
Nel mondo che conosciamo oggi,
quelle che seguono sono le concatenazioni logiche da tenere a mente.
1.
Per creare occupazione serve la crescita.
2.
Per generare la crescita servono investimenti.
3.
Per fare investimenti servono i soldi.
4.
Per avere i soldi bisogna risparmiare.
5.
Per risparmiare serve la cultura, la conoscenza.
Una volta c’era una scorciatoia : i
soldi si potevano stampare. Creare dal nulla.
Oggi qualcuno lo fa ancora, ma
tutto sommato credo che quelli in circolo siano già abbastanza.
Si tratta di distribuirli meglio.
Sempre nel mondo che conosciamo
oggi i soldi possono essere di privati o dello Stato.
Quelli privati devono essere riorientati
ad una concezione più entetica: fare impresa (di qualsiasi tipo :
dall’industria, ai servizi, alle banche) è anche una questione di interesse
collettivo.
Che diventa quindi una questione
morale.
Meno lusso, meno possedimenti, meno
concentrazione di ricchezza, meno tesori nascosti.
E più bene comune, magari proprio
partendo da investimenti per tutti.
E il bene comune alla fine
diventerà tangibile per tutti. Diventerà materia, appunto.
I soldi dello Stato invece la loro
funzione di utilità collettiva dovrebbero averla nel DNA.
Lo Stato per sua natura dovrebbe
mediare gli interessi dei singoli, e soprattutto dovrebbe pensare al futuro di
tutti.
E pensare al futuro di tutti è
concetto del tutto coerente con quello di investimenti.
Ecco perché è importante cercare di
mettersi in condizione di avanzo strutturale di bilancio.
E’ per avere regolarmente ogni anno
una bel gruzzolo da dedicare al bene futuro: agli investimenti.
Sapendo che nell’immediato non
vedrò nessun risultato.
Sapendo che i frutti li vedrà
qualcun altro.
Rinunciando al desiderio di
autoreferenza.
E rinunciando quindi a quello di
egoismo.
Pensando ai posteri, senza cadere
nell’ironia di Woody Allen: perché mai dovremmo preoccuparcene ? Cosa hanno
fatto per noi ?
Per riassumere :
·
spendere 80 euro a persona oggi può essere buona
cosa. Da ossigeno. Ma di sicuro non risolve il problema del domani.
·
Risparmiare 80 miliardi di euro (ma io spererei
di più) e investirli ogni anno, di sicuro al domani farà bene.
E’ tutto più chiaro se si seguono
queste semplici concatenazioni logiche. O no ?
Torniamo dunque al piano strategico
per lo Stato.
Nello specifico eravamo arrivati
alle regioni.
Le regioni
Partiamo da un dato statale. Si deve ricordare che lo Stato
centrale costa 450 miliardi di euro all’anno.
Di questi, tra 80 e 100, sono veicolati come trasferimenti
alle 20 Regioni.
Di queste 5 sono a statuto speciale, che vuol dire maggiori
autonomie e anche maggiori trasferimenti e imposte. Da wikipedia : Lo statuto
speciale garantisce una particolare forma di autonomia, ciò è tangibile
nell'autonomia impositiva. Il Friuli-Venezia Giulia trattiene per sé il 60%
della maggior parte dei tributi riscossi nel territorio regionale, la Sardegna
il 70%, Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige il 90%, la Sicilia il 100% delle imposte
(il cui diritto sancito dalla Costituzione Siciliana
del 1946 non è stato ancora pienamente attuato).
Le regioni, poi costano tra 170 e 180 miliardi anno (nella
definizione di Impegni e non di Pagamenti), dei quali circa 100/110 sono
dedicati alla sanità.
Vuol dire che le altre spese, tra ordinarie e in conto
capitale, sono tra 70 e 80 miliardi.
In ogni caso, l’impatto netto sulla collettività è di 100
miliardi in più, rispetto ai 450 dello stato centrale. Dato che nasce da :
170/180
miliardi di costo totale regioni
–
70/80
miliardi già contati nei 450 dello Stato come trasferimenti
=
100
miliardi
Per finanziarsi questi 100 miliardi
in più, in effetti le regioni ricorrono ad imposizioni ulteriori rispetto a
quelle statali, per circa 100 miliardi.
Insomma tutto quadra : si spendono altri 100 miliardi in più
che vengono finanziati tassando decentralmente.
E mancano ancora le spese e le tassazioni locali ed
eventuali ulteriori.
Come la si volta o la si gira, siamo prossimi a 600 miliardi
di spese che per 60 milioni di persone, fanno 10.000 euro a testa.
Sono tanti ? Sono troppi ? Sono pochi ?
Come in tutte le cose ogni questione è relativa. Dipende da
come si usano, in primo luogo.
Piccola digressione
sulla partita doppia
Ancora una volta, scorrendo anche le centinaia di pagine di
documenti dei singoli bilanci delle regioni, balza all’occhio sia il solito
frazionamento informativo (il bilancio della sola Lombardia è di circa 700
pagine), sia un sistema di conti farraginoso e arcaico che rende tutto più
complicato.
Sulla differenza tra realtà e cassa un esempio lo voglio
fare, riportando l’ultima pagina del bilancio Lombardia come ultimo allegato a
questo scritto.
Risulta evidente che da un lato ci sono i residui 2013 per
16 miliardi, dall’altro la cassa 2013 per 42 miliardi e poi le previsioni che
dovrebbero essere i dati “normalizzati” per il 2014 e anni seguenti che sono
pari a circa 30 miliardi all’anno.
Ma insomma, quanto costano ogni anno ? 16, 42 o 30 miliardi ?
In particolare la solita questione di cassa e competenza
rende tutto più difficile da capire e da gestire.
Fortunatamente c’è un documento fruibile intitolato MEF
I_bilanci_delle_regioni_in_sintesi_-_2012.
Anche in questo però esiste la differenza tra stanziamenti
ed entrate o uscite. Nel caso delle uscite ho usato le sezioni definite
“impegni”.
Però a me sembra tutto reso più complicato del dovuto. Forse
è irrilevante ai fini di questo scritto, ma perché non si può usare una normale
contabilità in partita doppia tradizionale ?
La partita doppia è un’invenzione geniale. Non può sbagliare
perché ogni euro di costo o di ricavi e quindi di conto economico deve avere un
altro euro di contropartita patrimoniale.
Tutto si riassume quindi in conto economico e stato patrimoniale,
dove il primo altro non è che la variazione di consistenza dello stato
patrimoniale (il nostro patrimonio) da un anno all’altro.
Potrei semplificare come segue, per far capire quanto sia
facilmente comprensibile un bilancio una volta che si è acquisita la logica. E
come siano fuorvianti logiche distorsive.
Mettiamo che abbia patrimonio fatto di :
+ 10 euro in banca
+ 90 euro di casa
= 100 euro totali
In un anno ho :
+ 5 di ricavi da stipendi
- 4 di costi da cibo, bollette e altro
= 1 euro di utile
Alla fine dell’anno il mio patrimonio sarà :
+10 euro in banca
+ 90 euro di casa
+ 1 euro di utile da destinare a quello che voglio :
risparmio in banca, nuovi mobili, o altro
= 101 euro totali
In tutto questo ragionamento la cassa non entra mai. Ed è
giusto così perché la cassa è solo una conseguenza. O meglio: solo il risultato
finale di tutta una serie di eventi e accadimenti.
Entrerà in gioco solo se a fine anno tutti i miei 5 euro di
stipendi me li avranno pagati e tutti i miei 4 euro di costi li avrò a mia
volta pagati.
Se per assurdo non mi pagassero 1 dei 5 euro di stipendio, a
quel punto avrei ancora un utile di 1 euro, ma una cassa da spendere pari a
zero.
Al posto della cassa avrò un’altra grandezza patrimoniale
che si chiama “credito”. Fino a che non mi pagano non potrò spendere quel 1
euro di utile (o guadagno).
Ma se invece io inizio a spendermi quello che non ho ancora
guadagnato o quello che non ho ancora incassato ecco che apro la porta ad un
futuro disastro.
A me sembra lineare. Chiaro come un lago senza fango. O no ?
Ma andiamo avanti.
Breve quadro sui
costi delle regioni (tra parentesi i numeri di colonna della tabella)
La prima delle 5 tabelle che seguono la potremmo chiamare
“Summa Regionorum”. Un bel bigino compatto, frutto di parecchi assemblaggi di
dati e tabelle e documenti.
La tabella è suddivisa in 4 blocchi (quelli “bordati”):
- Dati macro
- Spese correnti
- Spese conto capitale
- Indicatori
Nella seconda parte sottostante della tabella vi sono i
calcoli di ristrutturazione. Di seguito si procede ad una breve spiegazione dei
4 blocchi, con alcune relative osservazioni e possibili soluzioni di risparmi.
Le regioni sono ordinate in base al totale di spese
correnti, prima le regioni ordinarie fino al Molise e poi quelle a statuto
speciale.
I dati macro delle provincie autonome di Trento e Bolzano
sono stimati ripartendo il totale Trentino al 50%. Mentre i dati di bilancio (sezioni
B e C) sono effettivamente derivati dalla contabilità delle due province.
Si noti anche che i dati di numero di persone impiegate (Colonna
10 – in corsivo) sono ricavati dividendo il totale di spese del personale per
un costo medio di 50.000 euro a persona che è un’ipotesi di costo medio
ricavato dall’'analisi dell’ 1,7 milioni di dipendenti statali.
Sarò rimbambito ma il dato puntuale di personale per regione
non l’ho trovato.
In ogni caso il personale incide 6,2 miliardi sul totale di
149 di spese correnti, per cui non è la determinante unica. E la stima può
andare bene comunque.
- Dati macro
I dati macro principali delle regioni sono :
- Popolazione (Col. 1)
- Superficie (Col. 2)
- Densità (Col. 3)
- Nr. Province (Col.4)
- Nr. Comuni (Col 5)
- Abitanti per Comune (Col 5/b)
- Pil da Wikipedia (Col 6)
Al riguardo si osserva soltanto come la distribuzione di
numero medio di abitanti per Comune sia molto variabile.
Si va dai 1.700 abitanti a Comune della Val d’Aosta ai
15.700 della Puglia. Più alto è il numero, minori sono i costi relativi dell’amministrazione
totale. Almeno in teoria. Diciamo che si fanno “economie di scala”.
Ovviamente è terreno di possibili efficienze. Va da se che
se invece che 8.000 comuni l’amministrazione funzionasse con 4.000 sarebbe
meglio. 1 milione di euro risparmiato a comune farebbe 4 miliardi in meno di
costi.
Le province dovrebbero essere già state oggetto di
intervento.
- Spese correnti
Le regioni, a dati 2012, costano 150 miliardi (149) di euro
di spese correnti (Col 24) e 20 miliardi di euro di spese in conto capitale
(Col 31). Totale 170 miliardi come già detto.
Dei 150 correnti, 110 circa sono per la sanità (Col 16 – in
rosso), ai quali vanno aggiunti buona parte dei 6 miliardi di altri trasferimenti
in conto capitale (Col 26).
Le spese correnti “non sanità” sono quindi pari circa a 40
miliardi totali e sono così dettagliate.
a. 1,1
spese istituzionali (Col. 7)
b. 6,2
personale (Col. 9)
c. 7,2
acquisti beni e servizi (Col. 12)
d. 1,5
trasferimenti a amministrazioni centrali (Col. 14)
e. 3
trasferimenti a province (Col. 18)
f. 12,2
Trasferimenti a Comuni (Col. 20)
g. 5,5
Trasferimenti ad altri (in prevalenza imprese) (Col. 22)
h. 3,5
Varie (Col. 23)
I 40 miliardi sono suddivisi quindi in queste 8 voci di
spesa.
Risulta evidente, come in altre analisi precedenti, che non
esiste una soluzione unica definitivamente risolutiva.
Di fianco ad ogni colonna c’è l’incidenza sul totale costi
per ogni regione. Nella media ad esempio, la sanità pesa per il 73%. 86% in
Emilia, 73% in Lazio e 67% in Sicilia.
Ogni siffatta variabilità di percentuali è valida
argomentazione per la ricerca di riaggiustamenti.
Tanta differenza vuol dire anche differenza di struttura
organizzativa e quindi di costi.
- Spese in conto capitale
Le spese in conto capitale sono 20 miliardi (Col. 31).
Oltre ai 6,3 di cui già prima spesi in prevalenza per la
sanità (Col. 26) si osservano:
i.
2,9 investimenti fissi (Col.25)
j.
0,8 trasferimenti a province (Col. 27)
k. 2,97
trasferimenti a comuni (Col. 28)
l.
6,1 ad altri (in prevalenza imprese) (Col. 29)
m. 1,6
altri vari (Col. 30)
Valgono le stesse considerazioni delle spese correnti.
Margini ce ne sono sempre.
E però evidente che questa voce nel suo totale dovrebbe
corrispondere al concetto di investimenti. Pertanto oltre a capire e tagliare
eventuali spese ingiustificate, bisogna fare in modo che siano investimenti
reali, e non semplice distribuzione di soldi in giro.
La logica dei “finanziamenti a pioggia” non credo sia più
attuale e attuabile.
- Indicatori
n. Spese
correnti su Pil regionale (Col. 32)
o. Ripartizione
teorica delle principali entrate fiscali dello Stato (stima 300 miliardi circa
di IRPEF, IRES e IVA) in base al Pil regionale
(Col. 33)
p. Percentuale
teorica delle uscite (n) rispetto alle imposte generate (o) (Col. 34)
q. Euro
di spesa a persona (Col. 35)
r.
Spese totali a Province (Col. 36)
s. Spesa
totali a Comuni (Col. 37)
t.
Spesa media per Provincia (Col. 38)
u. Spesa
media per Comune (Col. 39)
Anche in questo caso risulta evidente la grande variabilità
di valori delle percentuali. Il che secondo me è valida argomentazione per la
ricerca di riaggiustamenti. Tanta differenza vuol dire anche differenza di
struttura organizzativa e quindi di costi.
Tra le regioni ordinarie le spese correnti su Pil vanno dal
6,4% della Lombardia dal 16,7% del Molise.
Ma spiccano anche il 10% del Lazio e il 15,7% della
Campania.
Le regioni a statuto speciale mostrano percentuali elevate,
il che è normale proprio in ragione della loro specialità. Sicilia 18%,
Sardegna 20%, per citarne due.
Il dato di spese correnti rispetto alla teorica tassazione
per lo Stato centrale è indicativo, visto che la tassazione totale teorica (300
miliardi) è ripartita indicativamente in base al PIL “regionale” (è una formula
tautologica). Però una idea ce la si può fare comunque. Anche se la conclusione
è ovviamente analoga a quella relativa a spese/PIL.
Invece, l’indice di spese correnti per persona residente
nella regione sembra più o meno stabile tra i 2.000 e i 3.000 euro. Media =
2.500 circa .Ci sono picchi nelle regioni a statuto speciale. Ma bisogna fare
attenzione: mille euro di differenza su base 60 milioni di italiani, farebbe
sempre 60 miliardi. Così è meglio prendere a riferimento i 2.155 euro della
Lombardia o i 2031 del Veneto, che non i 2.821 del Lazio, i 2.755 della Sicilia
o i 3.700 della Sardegna
Le ultime 4 colonne sono relative a trasferimenti a province
e comuni.
Le colonne 36 e 37
sommano spese correnti a spese in conto capitale sia per le Province che
per i Comuni.
In totale mostrano 3,9 mld di uscite per le Province e 15,2
mld dei Comuni.
La ristrutturazione
regionale
E arriviamo alla “ciccia”. Tanta analisi non serve a niente
se poi non si fanno almeno delle ipotesi.
Partiamo dalla fine.
Le ipotesi di seguito illustrate valgono risparmi per 27,55
mld di spese correnti (Col. 24) + 1,85 mld in conto capitale (Col. 31).
Quasi 30 miliardi di euro. Nel piano iniziale di questo “viaggio
nei conti pubblici” se ne ipotizzavano 10 sulle regioni e 5 sui comuni.
Qua si arriva al doppio. Sono interventi di stravolgimento ?
Oppure sono sopportabili ?
Ritengo si possano definire aggiustamenti.
L’unica cosa veramente stravolgente in termini di fatica
sarebbe riuscire a realizzarli tutti insieme.
4 Regioni minori eliminate
Secondo alcuni le regioni andrebbero eliminate in toto.
Come sempre, conoscendo il malaffare pubblico italiano, è
una ipotesi suggestiva. Ma se ci addentriamo su questo terreno viene la voglia,
magari anche giustificata in certi casi, di tagliare tutto di tutto.
Io ho cercato comunque di ragionare su di un compromesso.
Sono eliminate le quattro Regioni Ordinarie più piccole : Abruzzo,
Umbria, Basilicata e Molise.
L’ipotesi sarebbe di accorparle a Regioni limitrofe o
accentrarle a livello Centrale Statale (che si ricorda, occupa 1,7 milioni di
persone).
Ma ciò non vuol dire abolire tutta la spesa relativa. Se si
guardano i dati in verde della colonna 24 si vedrà che su 2,8+2,1+1,3+0,9=7,3 miliardi
totali se ne tagliano 0,54+0,4+0,3+0,255 = 1,5 miliardi.
Le ipotesi sono di risparmiare tutte le spese per organi
istituzionali, tutte le spese di personale (3.700 persone circa) e tutte le spese
per acquisti.
La sanità viene tagliata del 10%, stessa percentuale di
tutte le altre regioni.
Sono anche eliminati i trasferimenti a Province, che in
teoria non esistono già più.
I trasferimenti a Comuni sono ridotti di 1/3.
I trasferimenti ad altri soggetti sono ridotti del 20%. La
logica è che sono i buona parte anche trasferimenti a imprese, che depurati da
clientele e malaffare, hanno sicuramente una logica e una utilità futura.
La voce “Altri” è ridotta del 10%
In totale si risparmiano 1,6 miliardi (1,5 correnti e 1,6 in
conto capitale). In maniera abbastanza indolore: il totale di partenza delle 4
regioni era 7,3 di spese correnti e 1,3 in conto capitale..
La logica poi potrebbe essere estesa anche alle due regioni
precedenti in classifica, Liguria e Marche, ma dato che le loro spese hanno
delle incidenze relativamente basse sui Pil relativi (9%) per ora si è optato
per qualche taglio di spesa mirato.
Regione Lazio eliminata
Potrebbe sembrare una logica di vendetta contro la
corruzione. O di rivincita verso Roma ladrona.
Invece la logica è tutt’altra.
Ed’ è semplicissima: nel Lazio c’è Roma. Roma è sede dello
Stato con i suoi 1,7 milioni di dipendenti ivi coordinati se non impiegati. E
Roma è anche la città con il maggior Comune d’Italia, la Capitale.
Gli altri comuni laziali inoltre sono relativamente piccoli:
Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo.
Dovrebbe essere possibile gestirli con l’esercito di
impiegati statali e comunali che già abbiamo.
A questo punto le voci di spesa sono tagliate con le stesse
logiche e quote delle 4 Regioni precedenti. Mantenendo sanità e altre voci di
cui prima.
In totale si risparmiano 3,1 miliardi di euro.
Altre regioni e spese
Sono trattate tutte allo stesso modo
·
Le spese per organi istituzionali sono tutte
tagliate del 50%. Meno rappresentanza, più sostanza.
·
Le spese di personale sono tagliate del 50%.
Alcune stime anche allegate sostenevano che un terzo dei dipendenti regionali
sia in eccesso. Con un po’ di “fortuna” quelli in eccesso saranno anche quelli
a costo maggiore, alzando quindi la media dei risparmi.
·
Gli acquisti sono tagliati del 50% : che si
spendano 7,2 mld in totale per acquisti di beni e servizi rispetto a 6 di
personale mi pare un bel campanello di allarme.
·
La sanità è tagliata del 10%. Senza operare
stravolgimenti, che in 110 miliardi/anno ce ne siano 10 rubati o sprecati non
mi sorprenderebbe.
·
I trasferimenti a Province sono tagliati del
100%. Ci si basa sull’idea che non esisteranno più.
·
I trasferimenti a Comuni sono tagliati del 33%.
Si rientra nella razionalizzazione degli 8.000 Comuni
·
I trasferimenti ad altri (tra cui imprese) sono
tagliati del 20%. L’idea è quella di concentrarsi su quelli clientelari o
improduttivi.
·
I costi altri sono tagliati del 10%.
In totale la media di 27,5 miliardi di tagli totali su 149 è
pari al 18%.
A questi si aggiungono
·
I Trasferimenti a Province in conto capitale
sono tagliati del 100%. Sempre perché non esisteranno più.
·
I Tasferimenti a Comuni in conto capitale sono
tagliati del 33%. Stessa logica di cui sopra.
In media i tagli in conto capitale sono pari al 9% del
totale di 20 miliardi.
Se si potesse fare, insieme a tutti gli altri interventi del
piano, sarebbe un bel risultato. O no ?
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