2020 11 17 – Fiducia vuol dire fiducia
Oh, Ondivaga Diurna
Congrega, mai una parola facile, eh ?
Ogni volta mi tocca fare
le capriole sinaptiche, per inventarmi qualcosa che faccia da missile.
La prossima puntata
scelgo io: pizza.
No. Non va bene neanche
quella, che ce ne sono decine se non centinaia, incluse quelle americane che
dicono che l’hanno inventata loro.
Torniamo a fiducia.
Un facoltoso noto uomo
d’affari dice al figlio dodicenne che vuole appendere un quadro e gli chiede di
dargli una mano.
“Tu sali sulla scala che
io ti tengo.“
Il figlio sale.
Appena e’in cima, il
padre tira un calcio alla scala e figlio e scala cadono rovinosamente.
Il figlio si rialza e sta
per protestare, ma il padre lo anticipa.
” Ecco la prima lezione,
figlio mio. Mai fidarti di nessuno”.
Apperò!
Ecco che allora prende
vita nei miei profondi, il ricordo del senso della parola.
Fiducia è l’atteggiamento,
verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di
fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie
possibilità.
Generalmente produce un
sentimento di sicurezza e tranquillità.
Finchè non sei sulla
scala.
Poi ci sono una valanga
di accessori di uso e luogo comune che però ci risparmiamo.
Anzi qualcuno no.
Fiducia in Dio, negli
uomini, nella fraternità umana, nella scienza, nel progresso sociale, nella
verità, nella vittoria, nella propria stella, nelle proprie forze.
Tutti molto belli, e
presenti in tanti brandelli.
Tutto viene da fidare, da
cui affidare, o dare in consegna con fiducia.
Ed è interessante che per
i latini derivasse da “fidus” “fedele”.
Come un cane, oggi simboleggiato
Fido.
Anche se qualche sorta di
sessismo semantico mai lo portò alla Fida.
Poi tutto qua.
Le definizioni si perdono
in se stesse e resta questa parola, tutta sola, che sembra non avere origini o
etimologia.
E’ quello che capita agli
apriori, credo. Ai principi di base, alle dinamiche dominanti. Agli archetipi.
Insomma, sembra proprio
che siamo predisposti al confidare nelle
altrui o proprie possibilità.
L’uomo è essere sociale,
proprio perché ha fiducia.
Ed è fedele alla sua idea
di bisogno di fiducia.
In se, negli altri, negli
eventi, nei tormenti.
Nemmeno quando iniziano a
manifestarsi delle fiducie i tradimenti, noi non si demorde.
E la fiducia diventa
speranza, se non altro di riprovare a riporre fiducia.
Deve essere una forma di
amore, in fondo, di quell’amore universale che tutto pervade.
E che proprio per questo ci
da sicurezza e tranquillità.
Non ci si fida col
rancore o col livore, ci si fida quando si apre il cuore.
E quello, per natura,
prima o poi si riapre sempre.
O quasi sempre.
Così, essendo sempre in
periodo di Covid, eccoci tutti scodinzolanti ad avere fiducia nel passerà.
Ci vuole pazienza a
mantenere fiducia.
C’è chi si affida alla
sublimazione nella fede.
Sempre fidata alleata
della generale fiducia.
Abbiate fede, e Diò vi
apparirà, in chissà quali forme.
Ma se lo preferite non
antropomorfo, allora abbiate fiducia nella fiducia.
E’ un potente antidoto al
nichilismo allofobo.
Chissà se il ragazzino
dodicenne sulla scala ci salirà ancora.
O gli è rimasta la sfiduciata
paura bloccante.
Io penso di si, per la
natura circolare della fiducia.
Anche se magari con meno
gratuitamente riposta fiducia.
Ascoltate il profeta,
il
Kalimudda
L’ultima cosa che disse,
prima di andarsene, dall’altrui sfiducia bandito, fu: “abbiate pazienza, un po’
di astinenza e passerà la pestilenza”.
Fiducia nella pazienza.
E dopo dieci anni passò.
Fidec!
Oh, a volte ci va il
tempo che ci va.
E ch’amma fa’.
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