Me ne
rendo conto.
Oltre il giardino c’è il mondo.
Il lock down è rimosso e noi
possiamo accedere alle porzioni del vecchio mondo che ci erano precluse.
Sono i famosi quadranti in cui viviamo,
tutti collegati tra loro come in una coperta patchwork.
E così rialimentiamo l’interconnessione
degli spazi.
E delle vite.
Possiamo muoverci da un quadrante
all’altro.
Con un “puff” lo
spazio virale torna a cedere terreno
allo spazio vitale.
Me ne rendo conto, direbbe Chance
senza sapere bene di cosa.
Ma io sono già nostalgico del
lockdown, con quella sua aura postnucleare.
Per strada c’è traffico, anche al
sabato.
Come se tutti non avessero
aspettato altro che potere uscire e riassembrarsi.
O riassemblarsi.
Le strade dello shopping sono di
nuovo popolate dell’umanità di gregge.
Già pecore solitarie, bianche o
nere che fossero, adesso tornano a fare massa popolare.
Magari non entrano nemmeno nei
negozi, mirando solo le vetrine, ma intanto si riappropriano di quegli spazi
che ritengono loro e di cui si sono sentiti privati ingiustamente.
Tutti pronti a rimediare al torto
subito.
Al lock down mi sono affezionato.
Strade vuote, consumi di base,
rapporti umani pur in distanza.
Niente inquinamento, meno
consumismo, più umanesimo.
Tanta roba.
Che adesso svanisce in un “puff”.
E invece ci ha graziato, almeno
per ora.
E noi ritorniamo disgraziati.
Personalmente, quando penso a
tutto ciò mi viene in mente che “quando penso a come mi hai ridotto tu, non
capisco dove mi ci avresti si portato tu”.
Sembra scritta apposta per il
virus, o no?
Ma nel mio caso io lo so il dove.
Lo
slock down, mi porterà oltre il giardino.
Io ne ho uno, piccolino ma molto
vivace.
E’ la piccola porzione del mio
quadrante di mondo.
Pieno di piante ognuna di una specie,
con le loro anime, io ci gioco come se fosse tutto il mio mondo.
Ci immagino zone continentali.
Ci gioco con l’acqua.
Ci ammiro le luci.
Ci sento le brezze.
Ci studio la gravità, addirittura,
e quando sono in stato di grazia maniacale ne osservo addirittura la curvatura,
locale e globale.
Mi godo i merli che vengono a
cercarsi i vermi, anche se mi sollevano il muschio.
Ho anche un pettirosso e una capinera
tra i frequentatori abituali.
Loro il lockdown non l’hanno
avuto, e non possono nemmeno immaginarselo.
Volano liberi dove gli pare, non
sono mica una compagnia aerea.
Come loro ci ho pure una
cavalletta.
E un geco e un paio di lucertole,
che invece non volano ma spaziano un po’ ovunque rispuntando qua e la.
Tutto in centro a Milàn, la famigerata
gran Milàn.
E così adesso guardo con terrore
al dovere tornare alle abitudini di prima.
Svegliarsi con la sveglia e non
con i cinguettii dell’alba, uscire alle 8 per andare al lavoro, fare la pausa
pranzo sempre alla stessa ora, andare a fare la spesa il sabato magari pure senza
coda.
E tutto questo, oltre il giardino.
Ecco, questa idea mi spiazza.
Mi ci sento spaesato.
Io oltre il giardino, con la mia
valigia di abitudini usate, ghe voeli minga andarci.
Me ne rendo conto.
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