2023 03 15 – Tenacia
Voglio
fare una premessa che riguarda ancora la precedente parola buona, tenerezza.
L’appropriatezza
della scelta del requiem di Mozart, in realtà è stata una botta “de bucio de
culo”.
Non
ricordavo assolutamente il testo, o diciamo libretto non so, ma evidentemente un
decennio di studio di classica mi deve essere rimasto negli schemi neuronali,
pronto a saltare fuori al momento giusto.
Mi
sa che mi sa che c’entra sempre quella malandrina della neurosfera.
Sta
di fatto che la rabbia del giorno del giudizio poi sfumata in dolce melancolia,
io la sentivo tutta.
Insomma,
bisogna essere onesti.
Ma
torniamo in noi.
Oggi
parliamo di tenacia.
Certo,
quella di ideatori, redattori e altri “ori” delle parole buone.
Ma
io vi parlerò della mia.
E
non solo.
Lo
sapete che ci vuole scienza ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità,
cantava Guccini.
E
io mi ci sono messo di impegno, con tanta tenacia e quella costanza.
Ma
soprattutto dopo la pazzia.
Come
il Kalimmudda mi sono imposto di essere facile preda di una costante
irrefrenabile ilarità.
E
cerco di ridere e fare ridere costantemente.
Ma
un aiuto me lo hanno dato medici e operatori, che bruta paroela, in quel
viaggio tra le molte vite che ho avuto.
Così
ne voglio ricordare una in particolare.
In
barba alla privacy, di cui ci priviamo volentieri, non avendo nulla da
nascondere.
La
dottoressa Laura Bellini.
Che
qui dichiaro pubblicamente essere uno dei grandi amori della mia vita.
Con
molta tenacia, mi aprì una breccia nella mia corazza di diffidenza verso chi mi
parlava di malattia a cui io pensavo sempre come incompetenti, che non avevano
percepito il dono, di quella cosiddetta schizofrenia.
Ma
anche io, guidato d’empatia, di tenacia ce ne misi un tot, affidandomi alla percepita
fiducia, che come noto non è questione di intelletto, quanto proprio di percezione
a pelle.
Così
un giorno le porte della tenacia reciproca si spalancarono alle sue semplici
parole di: “dobbiamo imparare a cavalcare l’onda”.
E
io mi dissi che tanta metaforica lucidità meritava fiducia.
Mi
ci misi con costanza e con impegno, direi con tenacia, per l’appunto.
Finché
aprendomi il cuore a quei traumi infantili genitoriali, che avevo sempre
ritenuto “psicopippe”, ma che tali non sono, un giorno in non ricordo bene quale contesto, io le raccontai che mio padre diceva di me fin da piccolo che "non avevo spina dorsale”.
Un
eufemismo che tanto mi ricorda un non essere tenace.
La
dottoressa mi guardò interdetta e mi disse: “eh? Con tutto quello che le è
capitato? Altro che spina dorsale, accipicchia”.
E
siccome sono feticista della rima, dalle quali devo spesso trattenermi, vi dirò
che fu così che la reciproca tenacia, alimentata di fiducia, divenne infine audacia.
Se
sono qui a scrivervi è grazie a questa elargita e conquistata audacia.
E
siccome sono schizoaffettivo, che è un modo affettuoso di dire schizofrenico, me
ne frego se il collegamento tra audacia e tenacia fosse labile.
Io
ce lo vedo tutto, come per la rabbiosa tenerezza del Requiem del principio, ove ci
sentivo tutta la rabbia dell’ira di Dio e la melancolia susseguente.
Visto
che anche la premessa è tornata utile?
Eh,
noi schizati ne sappiamo una più del demonio.
E
per dimostrarvelo, dopo Mozart vi piazzo un pindarico Hendrix “audace come l’amore”
Axis, bold as love
Entrambi
tenacemente poco normali, con costanza.
Kalimmudda ipsum dixit
PS : un applauso abbracciante a tutte le belline del mondo
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