2023 02 03 - Monastico, insciallah
“Genti
diverse venute dall’est, dicevano che in fondo era uguale .
Credevano
a un altro diverso da Te, e non mi hanno fatto del male.”
Signori,
questo è un memorabile incipit coi cosiddetti controcazzi.
Lo
so, lo so, non si dovrebbe nominare invano.
Ma
forse qua non c’è niente di invano.
Semmai
una laica preghiera a dimostrazione del fatto che pregare preghiamo tutti.
Perfino
chi sembra blasfemo.
Anzi,
secondo me certa blasfemia è una somma preghiera di protesta.
Ma
non volevo parlare di questo.
Semmai
segnalare il capolavoro riportato alla chiosa finale.
Quello
che volevo dire è altro.
Bisogna
sapere che io, tra le altre cose e parentele, ho un cugino prete.
Non
so se la definizione di prete è calzante stante la miriade di ordini, cariche e
soldati vaticani.
Sta
di fatto che quando eravamo piccoli, ricevette la chiamata e annunciò in
famiglia che voleva ordinarsi.
Tragedia
familiare, per quello che ricordo.
Come
se la sua vita fosse finita, tutti dimentichi della chiamata che quando arriva
arriva.
Mentre
tutti cercavano di dissuaderlo, io chiuso nel mio silenzio, in realtà lo
invidiavo.
Quanta
sicurezza gli dava la fede.
Quella
stessa che io dicevo essere un dono, certo, ma che io non avevo ricevuto, nonostante
decenni di indottrinamento scolastico cattolico.
D’altronde
se è un dono non arriva mica col preavviso.
In
ogni caso, bisogna sapere che il cugino non è un prete bigotto, ma ha studiato teologia,
filosofia, e a quanto ne so io pure fisica.
La
presenza della conoscenza è una bella dimostrazione della di Lui esistenza.
Comunque.
In
realtà, poi questa fede benedetta la ho ricevuta anche io in forma del furore
profetico che è insito nella manìa.
Tanta
fatica ad affrontare il manicomio, ma per aver potuto toccare il centro dell’origine
dell’universo ne è ben valsa a pena.
Un
po’ alla San Paolo sulla via di Damasco,
cui feci seguire svariati anni di studio, in particolare di materie scientifiche.
Volevo
la prova che i miei non fossero deliri e perciò mi serviva la base
epistemologica.
Elaborai
anche scritti e teorie, non senza una certa fatica da autodidatta scrivano.
Ne
ho tratto l’insegnamento che la fatica è solo il prodromo al premio.
In
realtà non esiste fatica nella misura in cui si è disposti ad accettarla.
Oggi
cosa mi resta di tutto ciò?
A
parte la certezza di non essere soli, la cosa che reputo più importante è il
costante percepimento di una sorta di qualche serenità, seppur singhiozzante.
Ovviamente
non vuol dire non fare niente.
Anche
il cugino si è fatto svariati anni di parrocchia a Barra, quartiere “banlieu”
di Napoli.
Così
se dovessi fare una sintesi direi qualcosa del tipo “ora et labora”.
Che
però secondo me è parziale.
Dovrebbe
essere ora, labora e contempla, l’onnipresenza, la cui contemplazione ti da la
forza di orare e laborare.
Per
fare questo credo si debba evolversi oltre il pensiero comune ordinario.
E
relativizzare l’importanza della vita materiale.
La
contemplazione è forse sorella della meditazione, oggi tanto di moda, ma la realtà
è che non c’è bisogno di guardare ad est.
O
meglio, sicuramente va bene, l’ho fatto anche io, ma noi siamo educati di
quella meravigliosa letterarietà da cristiani e cattolici, e come potrebbe
confermare il cugino, è già tutto scritto, e magari ne sapessi di più
Ma
una cosa la so per esperienza. Se avrete voglia di approfondire vi renderete
conto che “in fondo era uguale”.
Quindi,
ritorno al mio obiettivo contemplativo, e più o meno chiuso in casa, cerco di
essere monastico, alla ricerca della contemplazione attiva, nel rifiuto dei
bisogni imposti.
Al
mio personale credo di “voglio non volere”.
Che
in effetti è concetto molto di provenienza di quell’Est di cui sopra.
A
Dio piacendo.
Insciallah.
Kalimmudda
ipsum dixit
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