2020
10 17 – Istruzione ? Tzu no mi, ma mi anca si.
Uè,
sciura Pina.
L’ha
sentì alla televisiù?
L’hanno
ditto che l’è arrivàda l’onda granda.
Ma
non semo minga giù in teronia.
Gh’avemo
minga il mare.
Che
onda l’è?
Ma
lei lo sa como se ciama?
Tzu
no mi.
Ma
deve essere una bruta storia di ascionanse.
Ecco,
forse tzunomi.
O
tsunami.
E
dai e dai anche da noi è arrivata la seconda ondata.
Proprio
mentre ci crogiuolavamo nel nostro tipico italianismo alla “semo i più furbi,
come l’hamo gestita bene, alla faccia dei francesi che le balle ancora gli
girano”, è partito il tiro al piccione al grafico più bello.
E
sono tutti uguali.
Dopo
le scuole, tutti in erezione degna di un priapismo quotidiano, neppure
mattutino, che ammalarsi ci si ammala alla Totore: a tutte l’ore.
E
minimizzano.
Tutto
sotto controllo.
Faremo
i locdaun selettivi, come dei cecchini antivirus: si e chi e cosa selezioniamo?
Quattro
discoteche, un paio di bar fino alle 18 e tre ristoranti fino alle 24?
Qui
continuano con la minimizzazione del “stiamo a vedere cosa ci tocca”.
Legittimando
una immunità di gregge implicita, come influencer da effetto esposizione e
ripetizione.
A
furia di ripetere che è tutto sotto controllo la gente ci crede, fino a quando
davanti allo tsunami si ricrede, rivalutando infine la fede, se non la buona
fede.
E
che Dio ce la mandi buona.
D’altronde
siamo un paese di santi.
Vuoi
che non ce ne sia uno che ci da una mano?
San
Genna’: fammi vincere alla lotteria. Figlio mio, io te facissi pure vincere, ma
tu ‘o biglietto almeno te lo vuoi accatta’?
A
me sembra che stavolta non si scherza un cazzo.
Partita
a tradimento, l’onda rotola imperiosa ed impetuosa davvero come uno tsunami.
2000,
4000, 6000, 8000, 10000.
E
meno male che per ora è lineare. Cresce tanto, ma sempre allo stesso andamento.
Seppur
andamento come vento, non più brezza come fu a inizio anno.
Basta
poi pensare all’estero e ci si prospetta la realtà dello tsunami virale.
Ma
ce l’avevano detto.
In
autunno arriva la seconda ondata.
Ma
mica ci avevano detto che sarebbe stata come un invencibile grande y felicisima
armata.
E
intanto hanno perso i mesi di tregua.
Invece
di prepararci, abbiamo struzzato la testa nemmeno sotto la sabbia, solo
girandola dall’altra parte.
Una
cosa in particolare mi fa incazzare, che le balle ancora mi girano.
In
principio furono i francesi.
Mia
figlia in Francia ci vive e ci va a scuola e in classe hanno avuto già due o
tre casi.
Mandati
a casa, tutta la classe è rimasta in classe, e che Dio abbia fede lui stesso nelle
mascherine.
Ma
noi seguiamo a ruota, o a rota se preferite le assuefazioni.
Allora
anche da noi adesso si accorgono che le scuole sono assembranti.
E
poi ci sono gli autobus per arrivarci.
Ma
le scuole non si potevano tenere chiuse?
No,
non è possibile.
C’è
la questione sociale.
E
poi i genitori non possono pagare le babysitter.
E
poi tanto i giovani guariscono subito.
Si,
tirandosi dietro uno strascico da untori fino a quando compaiano i monatti.
La
scuola e l’istruzione in genere sono un settore che non genera PIL incrementale immediato
(su quello futuro è un altro discorso), e quindi non vincolano la questione
economica, oltre la sanità che però ovviamente va tenuta aperta a meno di non
optare per una iperbolica immunità di gregge terminale a tappeto.
E
la difesa, che però serve a caricare i suoi camion di morti e presto a
mantenere l’ordine pubblico nelle strade. Come in Iraq.
Ma
tornando alle scuole, per meglio dire, non intendo chiuse in senso classico.
E’
che come sempre chi decide è di una lentezza esasperante che in fondo sa di
presa per il culo.
Non
mi venite a dire che non si può, perché io sono in smart working da mesi e
garantisco che si può benissimo, anzi meglio, che non c’è traffico,
trasferimenti, smog e così via.
Certo,
bisognava prevedere degli ammortizzatori per i lavoratori, ma tanto a tenere
aperte le scuole li pago lo stesso e non ho ricavi immediati in ritorno.
Allora
ecco che parlano tanto di digital deal.
Ecco
come nei tre mesi di tregua avrebbero dovuto riconvertire la scuola.
Invece
di pensare a imbiancare o mettere i banchi singoli, si doveva verificare e
dotare tutti di dispositivi adeguati.
Vale
a dire PC non telefoni, che sul telefono ci ciatti non ci studi mica,
ovviamente in connessione alla rete compresa nel prezzo.
E
non parlo solo di bonus e incentivi, pur opportuni se mi impongo per legge.
Intendo
obbligo di proprietà agevolato.
Mica
tutti ce l’hanno un PC funzionale, non lo sapevate?
Restava
il problema, annoso in Italia e soprattutto al Sud, del digital divide che non
so se risolvibile in 3 mesi, ma segnalo che esistono strumenti che vengono
usati, nelle zone scoperte dai major player, che danno comunque l’accesso alla
rete a intere piccole comunità.
Si
parla tanto di digital deal, poi alla prima occasione buona di fare qualcosa,
si opta per il speriamo in Ill.
Infine
una nota di nostalgica archeologia industriale.
Certo
se avessimo avuto ancora l’Olivetti sarebbe stato più facile fare una
convenzione, e probabilmente quelle generazioni di illuminati lo avrebbero
fatto per il bene del paese, cosa che non è nei geni di una catena di
spacciatori tecnologici come quelle oggi in voga.
Ricordiamocelo
alla prossima tentazione di privatizzazione e snazionalizzazione.
Allora,
per questo tanto agognato digital deal, che parta davvero, che ci sia una classe
dirigente di illuminati a farci vedere una luce.
Senza
di essa tutti i deal di propaganda del rilancio, e non solo quello digital, resteranno
soldi sprecati che lasceranno solo debito a cui saremo impiccati dal primo
conquistadore di Invincibile Grande y Felicisima Armada che passi per le nostre
lande e che magari sta già aspettando godendosi l’inerzia nazionale.
Pronto
ad istruirci solo di imbonerie da conquistatore.
Allora
non si sa mai che a qualcuno venga in mente di privatizzarle, per quattro
spiccioli ovviamente, scuole ed istruzione, necessarie a mediare soprattutto in
era di social media che a imbonire disgregare e manipolare ci pensano già
abbastanza da soli.
L’istruzione
è il vaccino, e questa volta non è una metafora.
Ma
si può fare anche moderna.
Magari
per il periodo che serve.
O
forse una volta abituati e organizzati ci si accorge che quel limite di periodo
non serve più.
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