giovedì 22 ottobre 2020

2020 10 20 – Finchè c’è virus c’è paranza

 

2020 10 20 – Finchè c’è virus c’è paranza

 

Paranza deriva da paro.

Avete presente un paro de cojioni?

Ecco, quelli li che vanno sempre a coppie.

E che tendono a farsi rompere.

Così si dice per una imbarcazione da pesca costiera con un albero a vela latina, bompresso con un fiocco, prua tozza e poppa assai ampia, di stazza lorda fino a 25 t circa, ancora in uso negli anni ’50 del Novecento nel Tirreno e, soprattutto, nell’Adriatico per la pesca a coppie, in paranza appunto, in cui ciascuna paranza tirava un’ala di una rete a strascico.

Che bella immagine di tradizione antica.

Poi nel linguaggio di trattoria, e che bello sapere che esista ancora anche per un vocabolario, fritto di paranza è la frittura mista di pesciolini e di piccoli molluschi che vengono pescati con le paranze.

E vabbè.

Ma poi ci rinsecchiamo già un pochino.

A Roma, un tempo, compagnia di persone legate da amicizia, o associate in un’impresa, in un affare, in un’attività lavorativa. Nel gergo della malavita, gruppetto di truffatori o di ladri che operano insieme.

Fino a che diventiamo asciuttamente semplici e diretti.

Nel gergo della camorra napoletana, gruppo o sezione di camorristi.

Ahia.

C’è pure il vezzeggiativo.

Paranzella: uè cumpa’nun facimmocci ‘na ‘ndrinella, facimmoci ‘a paranzella.

E intanto le buone abitudini non muoiono mai

Comunque, capìta la paranza, capìto l’articolo.

Potremmo anche chiuderla qui.

E invece no.

Ringraziamo certi periodisti reportisti, che ci hanno dato spunti a non finisti.

La politica.

La collusione.

La corruzione.

La tangentazione.

La parentazione.

La frequentazione.

Ohhh, ma quanta bella azione.

Mettiamoci pure quel pochino di evasione.

E…

Finchè c’è vita c’è paranza.

Ma qui c’è virus non vitas.

E allora vorrà dire che quando si muore ci sarà pronto pronto un bel racket del funerale.

Speriamo non arrivi il camion militare, che gli soffia il lavorare.

Allora siccome finora sparo minchiate, che pur fanno leggerezza e con sorriso spero dolcezza, stavolta un accennino a quel bel mare di Lombardia, vituperatòr di quello di paranza mia, lo farò.

Siamo nel varesotto. Affettuoso aggettivo.

Chissà perché lo chiamano otto.

Non c’è mica il cremotto.

O il bergamotto.

O meglio questo si ma l’è n’altra roba e tra l’altro di ben altra mia latitudine.

Ne vien fuori pure il chinotto, sempre per restare sull’otto.

Palla nera in buca d’angolo, la numero otto.

O filotto.

Dipende dalla geografia del gioco.

Ma si vince a strafotto, qui nel varesotto.

In ogni caso un dì erano bische fumose, per la mala giocose.

E invece queste cittadine da bere si ritrovano nei circoli da canottiere.

Roba esclusiva, di relazioni profusiva e di affari conclusiva.

Sono tutti parenti, o perlomeno ben conoscenti.

Il varesotto da bere: non sapevo che ci fosse anche li.

Sembrava roeba esclusiva dela gran Milàn.

Col carciofo contro il logorìo della vita moderna.

E invece del logorìo, ci ritroviamo col lavorìo.

Sa tanto di lavoro a vuoto, o lavoro per finta,

dal nome di polla, che sgorga di bolla.

Questi improbabili agglomeratini urbani che giocano a fare i grandi, ma sempre provinciali rimangono, tranne che nell’avverbietà dell’evidenza..

Nati con il camice.

Covidamente.

Cari resotti, fate attenzione a giocare a paranze, che quelli sono quelli che ti faccio sparare.

Ma qua non è con la frittura che adesso rischiate.

La domanda è quando è che la gente scende in piazza, e per davvero si incazza?

Come è possibile che stiano tutti zitti e buoni, quasi fosse questione di razza?

Ci sarà davvero il bromuro nell’acqua?

Vogliamo provare con un po’ d’otto, e ci mettiamo il chinotto?

Si ricordi il che segue.

Quando si dice nati con il camìce vale per pochi.

E covidamente diventa imprudente.

 

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