2020 10 20 – Finchè c’è
virus c’è paranza
Paranza deriva da paro.
Avete presente un paro de
cojioni?
Ecco, quelli li che vanno
sempre a coppie.
E che tendono a farsi
rompere.
Così si dice per una imbarcazione
da pesca costiera con un albero a vela latina, bompresso con un fiocco, prua
tozza e poppa assai ampia, di stazza lorda fino a 25 t circa, ancora in uso
negli anni ’50 del Novecento nel Tirreno e, soprattutto, nell’Adriatico per la
pesca a coppie, in paranza appunto, in cui ciascuna paranza tirava un’ala di
una rete a strascico.
Che bella immagine di
tradizione antica.
Poi nel linguaggio di
trattoria, e che bello sapere che esista ancora anche per un vocabolario, fritto
di paranza è la frittura mista di pesciolini e di piccoli molluschi che vengono
pescati con le paranze.
E vabbè.
Ma poi ci rinsecchiamo
già un pochino.
A Roma, un tempo,
compagnia di persone legate da amicizia, o associate in un’impresa, in un
affare, in un’attività lavorativa. Nel gergo della malavita, gruppetto di truffatori
o di ladri che operano insieme.
Fino a che diventiamo
asciuttamente semplici e diretti.
Nel gergo della camorra
napoletana, gruppo o sezione di camorristi.
Ahia.
C’è pure il
vezzeggiativo.
Paranzella: uè cumpa’nun
facimmocci ‘na ‘ndrinella, facimmoci ‘a paranzella.
E intanto le buone
abitudini non muoiono mai
Comunque, capìta la
paranza, capìto l’articolo.
Potremmo anche chiuderla
qui.
E invece no.
Ringraziamo certi
periodisti reportisti, che ci hanno dato spunti a non finisti.
La politica.
La collusione.
La corruzione.
La tangentazione.
La parentazione.
La frequentazione.
Ohhh, ma quanta bella azione.
Mettiamoci pure quel
pochino di evasione.
E…
Finchè c’è vita c’è
paranza.
Ma qui c’è virus non
vitas.
E allora vorrà dire che quando
si muore ci sarà pronto pronto un bel racket del funerale.
Speriamo non arrivi il
camion militare, che gli soffia il lavorare.
Allora siccome finora
sparo minchiate, che pur fanno leggerezza e con sorriso spero dolcezza,
stavolta un accennino a quel bel mare di Lombardia, vituperatòr di quello di
paranza mia, lo farò.
Siamo nel varesotto. Affettuoso
aggettivo.
Chissà perché lo chiamano
otto.
Non c’è mica il cremotto.
O il bergamotto.
O meglio questo si ma l’è
n’altra roba e tra l’altro di ben altra mia latitudine.
Ne vien fuori pure il
chinotto, sempre per restare sull’otto.
Palla nera in buca
d’angolo, la numero otto.
O filotto.
Dipende dalla geografia
del gioco.
Ma si vince a strafotto,
qui nel varesotto.
In ogni caso un dì erano bische
fumose, per la mala giocose.
E invece queste cittadine
da bere si ritrovano nei circoli da canottiere.
Roba esclusiva, di
relazioni profusiva e di affari conclusiva.
Sono tutti parenti, o
perlomeno ben conoscenti.
Il varesotto da bere: non
sapevo che ci fosse anche li.
Sembrava roeba esclusiva
dela gran Milàn.
Col carciofo contro il
logorìo della vita moderna.
E invece del logorìo, ci
ritroviamo col lavorìo.
Sa tanto di lavoro a
vuoto, o lavoro per finta,
dal nome di polla, che
sgorga di bolla.
Questi improbabili
agglomeratini urbani che giocano a fare i grandi, ma sempre provinciali
rimangono, tranne che nell’avverbietà dell’evidenza..
Nati con il camice.
Covidamente.
Cari resotti, fate
attenzione a giocare a paranze, che quelli sono quelli che ti faccio sparare.
Ma qua non è con la
frittura che adesso rischiate.
La domanda è quando è che
la gente scende in piazza, e per davvero si incazza?
Come è possibile che
stiano tutti zitti e buoni, quasi fosse questione di razza?
Ci sarà davvero il
bromuro nell’acqua?
Vogliamo provare con un
po’ d’otto, e ci mettiamo il chinotto?
Si ricordi il che segue.
Quando si dice nati con
il camìce vale per pochi.
E covidamente diventa
imprudente.
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