2020 10 20 – Impresenzaaatarm!
In presenza.
Che termine del cazzo.
Lessico covidare.
Freddo come un surgelato.
Che poi dopo il locdaun e
l’assembramento all’incontraire, da non confondere con lo smembramento, minimo minimo
uno si aspetta una dichiarazione d’amore.
Adesso si, che sono
sincero,
oggi e da sempre si che te
quiero.
Caro prossimo mio,
conducimi in danza d’amore.
Stringimi dentro i tuoi
bracci,
e fammi scordare il
dolore.
Una roba così, insomma.
Anche se questa un po’ fa
cagare ma è soltanto per solleticare.
E invece …”in presenza”.
Di chi?
Sembra di una oscura
presenza.
Un ectoplasma, quanto mai
evocativo di una roba nel sangue.
E che tristezza.
Che poi evoca subito in
assenza.
E uno pensa diretto
diretto ai morti.
Come se all’arrivo degli
alleati per strada invece di urlare di gioia….tutti giù a piangere.
Però ci è piaciuta.
E ti è piaciuta ti è
piaciuta tienatella cara cara.
Finchè è durata.
E adesso di botto : non c’è
più.
E’ la caducità delle
cose.
Tutto passa, anche i
termini del cazzo.
E così dall’in presenza,
tutti di nuovo chiusi a casa.
Piano piano, eh?
Mica te lo dicono a tutti
subito.
L’in presenza sparisce a
rate.
E si camuffa.
Zitta zitta quatta quatta
torna a casa in impresenza.
Oibò.
Cambia solo una emme al
posto di una enne.
Sono anche contigue.
E invece di nuovo tutti
in trincea.
La guerra del virus è
fatta di consonanti.
Poco altisonanti,
sfuggevoli come quanti,
simili a degli incanti
ti ricordano solo i
fronti.
Che fronti?
Quelli di guerra, coglionti.
E così dalla movida del
siamo tutti liberi di libertare, e dall’impavido tutti al mare, con un breve
passaggio scolare, ci ritroviamo di nuovo a ci trincerare.
Il virus non ha più la
corona.
E’ tornato in campo da
generale.
E ci risveglia tutti, e
ben sull’attenti, dal sogno dell’in presenza.
E noi giù tutti a
obbedire al suo imperativo comando.
Che fa così.
Impresenzaaatarm!
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