2023 11 08 – Il triste teatro dei candhapajiee.
Cani da pagliaio.
Questo vuol dire.
Povere anime.
Non è per colpa loro.
Ma ce ne è un’infinità.
Che ci circondano di mediocrità.
Io l’ho visto in prima persona cosa vuol dire.
Tenevano alla catena da anni un povero bastardino che dicevano
mordace perché abbaiava sempre.
Faceva il so’ meste’ di candhapajiee.
Finchè io mi avvicinai e pretesi che lo slegassero, tra l’orrore
e il terrore del contadino.
Gli dovevo comperare la cascina e i terreni per il mio
progetto di prototipo di Mac.
Mac
Microeconomia adattiva complessa - Evoluzionaria e Metagricola - Visione e
appunti.
Mac
Microeconomia adattiva complessa - Evoluzionaria e Metagricola - I conti.
Per cui davanti alla grana, pur riluttante non si fece
pregare due volte.
Slegò il cane da pagliaio che mi corse incontro per leccarmi
di gratitudine senza ombra di ferocia.
E restò sempre lì a fare la guardia anche da libero.
Ma questa è una storia di bellezza contadina, lontana dalla
mediocrità che abbiamo puntato da ferma.
Cani da pagliaio nell’astigiano.
La locuzione si usa per indicare uno che inveisce, minaccia,
insulta ma che in realtà è inoffensivo.
Si dice anche di una persona che chiacchiera, chiacchiera,
chiacchiera ma non conclude nulla.
Uno tutto chiacchiere e distintivo, per chi vuole cogliere un
pezzo di storia del cinema.
L'espressione fa riferimento al cane da pagliaio delle
fattorie, dove un tempo, di notte, i cani aggressivi venivano affiancati da
cani di piccola taglia, molto rumorosi ma completamente inoffensivi i quali,
con il loro abbaiare ininterrotto, potevano tenere lontano i malintenzionati.
Un tempo in campagna, quando nasceva una cucciolata di cani,
il più versato nella punta diventava specialista nella ferma, quello più
robusto faceva il riporto, il cane combattivo e magro veniva usato come animale
da tana.
Per ognuno di essi il proprietario stabiliva il destino in
base alle caratteristiche e alle capacità.
A volte però c'era anche il cane scemo, quello incapace di
seguire tracce olfattive, di vedersela a tu per tu coi selvatici, o di
riportare al cacciatore la preda uccisa.
Ecco come si sceglieva un cane da pagliaio.
Se il cucciolo non era buono da niente lo si legava alla
catena e gli si gettava un osso di quando in quando.
Candhapajiie. Cani da pagliaio.
Dice l’avvocato, quello astigiano : “cane da pagliaio è proprio la definizione
che si dà al massimo dei derelitti, che alla fine contiene nella vecchia
saggezza popolare un pizzico di comprensione e un pizzico d’amicizia. Anche ai
‘candhapajiee’ ogni tanto qualche zuppa viene offerta.”
Ma nell’accezione meno lirica, il can da pajiie sembra
piuttosto il cane buono a nulla.
Quanti ne riconosciamo nello squallido panorama di pauperismo
intellettivo in cui navighiamo.
Comunque bella la campagna, perché è bella.
Ma son luoghi di vita dura.
Dove senza un po’ di sana tradizionale saggezza contadina si
resta invischiati in una inutile mediocrità.
Quello che so è che avevo progettato il mio prototipo di
revoluzione su piccola scala.
Replicabile più volte come cucciolate di cani di utile
utilità.
Invece il popolo applaude e ringrazia quel poco che sa.
E succhia la tetta finché ce ne avrà.
E che ci volete fare.
E’ gente per cui le arti stan nei musei.
Forse alla fine lo siamo tutti.
A me la zuppa però non l’hanno mai offerta.
E son rimasto forestiero.
Buono a nulla.
Sijmadicandhapaijiee tutti.
Naaa, non tutti.
Kalimmudda ipsum dixit
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