venerdì 24 novembre 2023

2023 11 24 –Una goccia e scatafascio

 2023 11 24 –Una goccia e scatafascio

 

Un nervo che salta.

Gli ultimi postini angoscianti hanno ucciso il senso di scrivere.

Una diffusa impotenza mi ha contorto la pancia.

Mi è venuta anche una certa nausea delle balene.

Allora mi sono rivolto al misuratore di ordine naturale.

I bassi raggi del sole d’inverno sparano schegge di luce attraverso i suoi rami.

Quaranta metri di vicinanza al cielo e di conforto d’anima.

E’ pieno di miracolosa meraviglia di vita.

Contro il nero funereo che mi inviluppa.

Mi faccio osservatore delle danze.

Mentre mi uccido di fumo a raffiche.

Richiamo dal volo gli uccelli più vari.

A volte in coppia, a volte in piccoli stormi familiari di pochi esemplari.

Coppie di tortore, piccioni volgari, colombi nobiliari.

Pettirossi, merli, capinere.

Pure gli scoiattoli paiono volare.

Tutti convergono verso l’albero della vita.

Albero dei vicini che straripa di qua.

Fiorisce massiccio d’estate.

Fitto di api e zanzare che proteggono i fiori sui rami.

L’albero apparecchia piccoli grappoli di bacche nere.

Riserva alimentare per l’inverno che arriva.

Alcuni uccelli si producono in strani saltelli.

Volare o saltare per raggiungere le bacche.

E’ un piccolo circo privato.

Misura l’ordine cosmico che dice che tutto è a posto.

Arriva la neve.

Gli uccelli appollaiati sui rami si accoccolano appiccicati per riscaldarsi.

Poi la neve si scioglie di gocce.

Inizia a piovere.

Su questo squarcio da agreste urbanista.

Mentre tutto sembra in ordine.

Anche l’acqua risuona di giusti rimbalzi.

Una goccia cade dall’albero della vita.

E rimbomba in quel silenzioso mare di ordine e serenità.

Rimbalza sulle foglie secche.

Montagne di foglie marcescenti.

Che vanno raccolte.

Ma è tutto nell’ordine, tutto è a posto.

Anche la gravità si comporta a dovere.

Sento quel buco nero in centro galassia che risucchia tranquillo, senza vorticare vorace.

Io alla gravità ci tengo molto, mi preoccupa più di altro

E’ lei che trascina la goccia.

E lei che deve restare in rotta diritta.

Poi un nervo che salta.

Dai e dai si accumula il desiderio di sfascio.

Dai e dai un pensiero si insinua surrettizio.

Dai e dai un nervo s’intosta.

Ma che palle questa goccia.

E le zanzare, le api, le foglie.

Io questo giardino lo brucerei.

Cemento, ci vuole cemento.

Lo colerei di cemento.

E bitume fumante a tappezzarne il prato tosato.

Che diventi parcheggio locato.

Per far spazio ad un mare di auto.

Tutta grana da poter consumare.

Per comperare inutilitarie.

Adeguarsi all’impero del gregge.

Cacciar via questo gregge di uccelli.

Che cagano ovunque anche quelli.

Io penso positivo perché son vivo.

Ma va caghèr.

Basta.

Dopo avere predicato, adesso è passato.

Pensiero positivo.

Non l’ho mai sopportato

Meglio gettare tutto.

Per quella misera goccia.

Che fa traboccar la pazienza.

A scatafascio.

 

Kalimmudda ipsum dixit

Scata scata

 

 

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