2023 11 09 – I lager d’oltremare
L’informazione
di regime non vede e non sente niente.
Non
so se ci ho capito qualcosa sulla questione albanese.
Ma a me la deportazione sa tanto di lager.
Parliamone.
Non
so come ma sono riuscito.
Ho
racimolato i soldi per partire.
Dopo
questi, solo speranza.
Forse
ho venduto un ultimo lembo di terra, forse ho venduto mia sorella.
L’importante
è che ora sono sul gommone.
Non
appartengo alla gente di mare, ma il gommone si presenta subito sinistro
maldestro.
Troppo
piccolo per 40 anime, troppo grande per un motore con la scritta 25 Hp, troppo
grande per una tanichetta di carburante che basti a portarci alla terra promessa.
Non
lo sappiamo ancora ma la terra promessa è una nave che incroci da qualche
parte.
Una
nave di ong sarebbe controversa e aprirebbe questioni di diritto.
Quindi
ignari confidiamo in una militare guardia costiera, di che paese non sappiamo né
ci importa.
Nessuno
sa bene come sia finito lì, ci siamo fidati di conoscenze di speranza.
Finalmente
dopo ore o giorni ad aspettare senza pane e senza acqua, partiamo in una giornata
di mare calmo.
Persa
dalla vista la costa, il motore inizia a gracchiare e presto si ferma.
Galleggiamo
nel mare di speranza, ma sull’orizzonte ottico circolare non si vede nessuno.
Stipati
come sardine d’un tratto qualcuno sente un sibilo e lo scafista, che aveva in
mente di confondersi da migrante, impreca e si mette a tastare un tubolare,
alla ricerca dell’introvabile buco che comunque non avrebbe potuto riparare.
Strattona
per un braccio una bambina e le fa segno di non staccare la mano dal buco, che
chissà dove è, mentre tra tutti serpeggia il principio della paura.
Il
tubolare si sgonfia sempre più finché diventa un lenzuolo di gomma ondeggiante sul
mare.
La
paura diventa terrore che diventa panico quando la bambina del buco, che non sa
nuotare, inizia ad affogare finché muore sparendo nel blu degli abissi.
Chi
non sa nuotare la segue veloce.
Morire
in acqua per affogamento non è bello come per la dolce morte, che ti spegne per
congelamento. A furia di bere gli alveoli si saturano d’acqua fino a che si
muore per asfissia. Per quelli di noi che non sanno nuotare l’acqua che entra dagli
orifizi respiratori provoca un waterboarding di massa terminale.
E’
una tonnara.
Nel
panico generale, però, finalmente si vede all’orizzonte la nave promessa.
Per
grazia ricevuta è effettivamente una nave militare della guardia costiera
italiana.
Inizia
la tarantella autorizzativa a prestare soccorso finché il ministero, mosso a
pietà elettorale, autorizza il ripescaggio, sia dei vivi che dei morti.
Rincuorato
e riscaldato, io che so parlare l’italiano mi faccio coraggio di fronte all’autorità
costituita e chiedo dove andiamo.
Il
maresciallo, grado che nella guardia costiera non so come si chiama, mi dice sereno
che andiamo in un certo porto albanese.
Io
strabuzzo gli occhi tanto che quello si sente in dovere di darmi una
spiegazione, ma in realtà non ha capito bene nemmeno lui che casino si siano
inventati su a Roma, pare sempre per questioni elettorali.
Il
maresciallo, fascista nostalgico, pensa che l’unica cosa realmente certa è che l’Italia
deve avere finalmente conquistato l’Albania, altrimenti cosa ci andiamo a fare
oltreconfine?
Comunque
come Dio vuole, insciallà, arriviamo nel porto di destinazione e davanti a noi
si apre lo spettacolo di recinzioni, tende e baracche pronte per accoglierci in stalle da bestie come buoi a fine transumanza.
Deportati ci sentiamo davvero e quella sembra
proprio una baraccopoli di lager.
Poco poco gli italiani devono avere speso bei soldi per costruire, e un giorno abbandonare, tutto quell’ambaradan, scommetto qualche decina di milioni di euro, pensiamo unisoni sia io che il maresciallo.
Io con rimpianto di non usarli a casa mia e lui senza rimorso di che gli frega.
Il maresciallo costiero dà l’ordine di farci scendere mentre mi spiega, in tutta la sua benevolenza d’uniforme, che ci sono 3.000 posti pronti ad accogliere richiedenti asilo e altri disgraziati aventi diritto. Ma il governo conta di potere turnare le disgrazie e fare entrare e uscire 36.000 soggetti all’anno.
Sempre gocce nel mare salato delle prospettive di mondo malato.
Io da ignorante penso che i conti non tornano, perché è astruso calcolare in quanti mesi si sbrigano tutte le pratiche per accogliere, da qualche parte in Europa naturalmente, o respingere e quindi fare uscire, qualcuno.
Eppoi quale è la relazione calcolata tra 3.000 e 36.000 non mi è chiaro.
Lo
faccio presente al maresciallo, giusto per rigurgito di amore di spirito critico e gli chiedo pure ma poi uscire, per chi fosse senza diritto, per andare dove.
Mica ne so niente di tratte di terra a soffocare di fame e di sete nei doppifondi di container di mafie balcaniche e no.
Quello mi guarda e sempre nostalgico pensa il suo muto, pericolosamente serpeggiante emergente, pensiero fascista.
E che ne so io.
Io eseguo soltanto gli ordini
Sarà lucida propaganda elettorale politica di regime.
Alla
peggio, costruiremo dei forni d’oltremare.
Kalimmudda
ipsum dixit
Fino in fondo al blu, a
Lampedusa
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