martedì 18 maggio 2021

2021 05 19 - La primavera della Synfisica - New Re Deal

LA PRIMAVERA DELLA SYNFISICA

 

La primavera della synfisica.

 

Leggere in word doc https://drive.google.com/file/d/0BzJp9QwA8rYgNjZHd1c3b2FUM2M/view?usp=sharing

con immagini

 

 

1.    In premessa fu il dialogo tra Kalimero e Wo-men. E fu Synfisica.

-----Kalimero ipsum dixit-----

Ue’, tu che sei donna, sei molto più veloce di quello che fai credere, e mi sembri piuttosto sul pezzo di tutto quello che succede, ho pensato che devo concludere. Tirare le fila. Fare le somme.

Ma piuttosto che fare un romanzo di un tizio che indaga, come tu mi inducesti in tentazione a credere di dovere fare, devo fare un racconto ipersintetico che ricucia tutto lo scritto scritto fino a ora. Dopo avere ricomposto tre anni di blog nell’antologia delle 600 pagine, ora serve una sintesi per tutti. Una sintesi dell’antologica sintesi. Anche le immagini recenti servono a quello.

Ma poi serve un po’ di parola. E deve essere parola in linearità, senza hyperlink, appendici, allegati e balle varie. Un racconto semplice semplice, appunto, che mette in riga la complessità.

Sarebbe una specie di Telegraph road dei Dire Straits, se ti ricordi quando eravamo giovani. Solo un po’ più esteso. Il taglio dovrebbe essere di qualcuno che racconta con ironia.

Ma molto, molto chiaro. Chiaro come un lago senza fango, diceva Axel di arancia meccanica.

E corto, molto corto. Poche pagine. Obiettivo: 10/20 pagine (che vuol dire 2 o 3 paragrafi per pagina). Lo step successivo potrebbe essere un power point a bullets. Tutto in una pagina…..ma forse così è troppa sintesi. Dimmi se l’indice ti fila. O dammi suggerimenti.

Può essere che sia la volta buona che mi sparano davvero, ma ne sarebbe valsa la pena. O no ?.

-----Wo-Men----

Silenzio. …Assenso ?

-----Kalimero Lonelymerum----

E dunque, orbene!

Siore e siori, ladies & gents, nonche’ infine, udite udite, Wrs & Mrs.

E’ con sommo orgoglio e grande piacere che vi presento la tanto attesa….(rullio di tamburi)… Synfisica !

Sia ricucita la frattura tra fisica e metafisica !

Siano ricomposti tutti gli opposti !

E possano i fiori del mio amore per tutto maturare in frutti !

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E nel mentre indicava con l’indice la via da seguire per la rivelazione.

2.    In principio fu il principio

Un principio che si doppia è un non principio. E’ un circolo, logico ma piuttosto vizioso. Così, fin da quel subito, tutti si posero certe questioni. Il principio non c’e’, oppure è qualcosa che non possiamo concepire con lo stadio evolutivo attuale delle nostre coscienze, ancora piuttosto incentrato sulla linearità? Si resero conto, i tutti, che li dove era quel subito non c’era ancora nessuno. Ne dedussero, con buona logica, che dovevano trovarsi altrove. E mentre si immaginavano a godersi quel vuoto di silenzi da un altro punto di vista, certe pulci saltarono alle loro orecchie. Se tutto nascerà da questo niente, allora questo non può essere niente. Deve essere un non niente, un vuoto pieno, probabilmente di tutto, ma ancora in potenza. Insomma, un campo. E si chiesero subito, naturalmente, chi potesse abitare un simile ambiente non esistente. Non si diedero risposte certe. E ne dedussero che anche quella visione non poteva essere assunta come dogma.

3.    E fu la luce

Fu in quel mentre, dunque senza bisogno di un subito, che qualcosa successe. Nessuno dei tutti seppe mai chi diede inizio al riprincipiamento del doppio principio. Il che fece loro venire il sospetto che ciascuno di lortutti potesse esserne il responsabile.

E fu la luce.

“Chi ha acceso la luce? Si stava così bene, prima di subito” disse qualcuno che sentì di avere subìto quel momento di subitaneità come qualcosa di inquietante.

E in effetti, si accorse che non si trovava più insieme a tutti nel dove non dove, ma per qualche occorrenza perversa era rimasto confinato in quel primo posto e istante, che pure lui sentiva connesso con il resto dell’intorcinato, ma di una connessione veloce assai, e dunque sfuggevole. Connessi, si, ma alla lontana, per così dire.

4.    E sognò il buio

“E io sono qua solo e abbandonato a me stesso in questo mare di luce”. Già sognava un opposto di luce, un nero o almeno grigio, nel quale tuffarsi alla ricerca del posto e del tempo da cui proveniva. Un ponte, o un passaggio. E già presagiva che quella sua scissionistica creazione lo avrebbe condannato per l’eternità a cercare di tornare a casa, con un irrefrenabile istinto a tuffarsi nel buio nella speranza di riemergere nella luce, proiettandolo in una visione di eterna altalena di quei luce e buio. Aveva concepito la speranza. Ma si rese conto che eternità, sùbiti, tempi e altre croniche questioni non avevano senso, perché’ il tempo non esisteva ancora. E di conseguenza nemmeno la speranza poteva ancora trovare un terreno su cui nascere.

5.    A spezzare gli opposti ‘sì creò il tempo,  e fu il caso.

Fu dunque per bisogno di speranza, se non di prospettiva la quale sarebbe nata con l’avvento della logica, che si trovò di fronte al dilemma su quale dei due principi del “principio non principio” scegliere come inizio. Fu dunque guidato da un bisogno d’amore verso se stesso, quasi un istinto di sopravvivenza. Ma davvero non sapeva quale di due scegliere. Erano opposti, ma identici.

Così tirò a caso. E il tempo iniziò con un punto, nel punto dove cadde il caso. Fu così che l’inizio del tempo venne sancito in quel momento. Da li fu breve il passo che portò a metter in fila tanti punti, che come noto formano una retta. Il tempo iniziò a scorrere, e lo fece in forma lineare. Ma fu solo per quel caso e successiva convenzione. Ne’ ci si preoccupò troppo del fatto che la linea retta in natura non esiste, dato che la natura che conosciamo non esisteva ancora e quella da cui veniva lui non aveva dimensioni, o forse le aveva tutte. Già faceva fatica a ricordare. In ogni caso, il tempo aveva bisogno di una definizione, perché’ altrimenti non lo si sarebbe mai afferrato.

E si optò per la convenzione che il tempo fosse la constatazione delle variazioni dello spazio, il quale era tangibile e dunque misurabile. Bisognava dunque capire perché’ lo spazio dovesse variare. Ma questo sarebbe stato facile. Tirato il sasso nello stagno del vuoto, quello avrebbe iniziato a vibrare di onde concentriche. E lo stagno si sarebbe mosso a vita. Mancava solo lo stagno, che per sua natura era qualcosa di materiale, mentre li si stava ancora navigando in un mare di impalpabile antenato della luce.

6.    Quel primo quelo

Per tutto questo, ci voleva un nome, e pure ad effetto. Fluttuazione quantistica del vuoto, allora, non lo avrebbe capito nessuno. E anche se, o proprio perché’, non c’era ancora nessuno, bisognava pensare ai posteri. Decise di essere pomposo, in un empito di lieve preveggenza sulla sua natura futura, che sentiva sarebbe divenuta grave. Sognò una pompa. Ma non sapeva cosa fosse. Poi, come un bambino, a un dito immerso in un barattolo di marmellata, ma dal basso del fondo del barattolo verso l’alto. Poi a una bolla in una pentola di polenta. E la bolla scoppiò. E fece un botto. Inizialmente suonò come un “plop”, ma risonava proprio male, sfigatino. Così fu un “bang”, che per sua natura non aveva senso immaginare piccolo, altrimenti sarebbe diventato un bottino, come qualcosa che in effetti qualcuno avrebbe cercato di possedere. Grande botto era un nome ad effetto, certamente, ma si disse che faceva un po’ cagare. E poi non era coerente con la reale natura di quello che era successo, che ricordava piuttosto una farfalla che sbatte le due ali. Per cui conìò un vezzeggiativo, con cui avrebbe sostituito, a tempo debito, quel botto. Pensò a un”puff”, o “spuff”, onomatopeico ma troppo evanescente. Non gli venne in mente “flap flap”, o “flip flap”. E si parcheggiò su “Quelo”.

7.    Quanta luce

Parve un gioco di parole, se non di luci, che già evocava lontane frontiere della conoscenza della fisica, quando si sarebbe concepita la rivelazione del primo quanto. Quello fotonico. Invece voleva dire che in tutta quella luce non si sentiva niente. E non solo in senso di suoni, che sarebbero nati solo in un qualche giusto mezzo di propagazione, ma proprio di sensazioni o, per meglio dire, sentimenti. E in tutto quel paradiso di luce non si poteva proprio sopportare l’assenza di peso del tempo che, per sua natura, ancora non contava niente ma pure aveva bisogno di correre, o almeno di appoggiarsi su qualcosa che correva. Bisognava inventare qualcosa.

8.    Un pizzico di qualcosa

La prese larga. Inventare qualcosa, si, ma cosa? E mentre si trastullava in quagli arrovellamenti, vide in un lucido sogno ad occhi aperti la materia. “Meraviglia !”, si disse già sognando mondi interi con cui giocare.

Già, ma come si crea la materia ? Si era ancora in quel mare di luce, quando d’improvviso due farfalle arcobaleno, di quelle che quando volano veloci diventano del colore della luce, si scontrarono sempre per un caso fortuito, che risultò proprio fortunato. Le due farfalle si accoppiarono, o forse scoppiarono per lo schianto, e la quattro ali si spezzarono, lasciando fluttuare  quattro mezze ali spezzate, ciascuna a forma di cuore in orizzontale. Nel botto di quello schianto, le energie rilasciate furono così potenti che i quattro cuori si attrassero uno sopra l’altro, e rivolsero le loro punte verso il basso, proprio come vettori a forma di freccia. E diventarono massa 4 su 4, a trazione integrale davvero. E fu così che la massa nacque come inconsapevole ma connaturato gesto d’amore, per sensazionale bisogno di sentimenti. Fu un pizzico d’amore donato per caso, o per “quel” caso se si crede ad un disegno, che da li in poi avrebbe mosso tutto.

9.    E la situazione si fece lievemente grave

Quel primo scontro di farfalle creò il caos. Da che tutte le farfalle volavano veloci come e nella la luce in perfetta sincronìa, quel primo asincronismo andò a sbattere asimmetrico contro le prime di esse che non poterono che ripetere il procedimento di disgregazione e risincronizzazione in forma di cuori 4 su 4. Piovve amore, dunque, e venne spinto da una nuova forza di attrazione. Tante piccole masse si comportarono con gravità. E la gravità nacque dalla leggerezza della luce, e iniziò a cercare la sua identità, perché’ tutto quel caos richiedeva con forza alcuni nuovi principi di ordinamento. Altrimenti la materia, che tanta meraviglia di futuro aveva suscitato, sarebbe rimata una chimera.

 

10. L’interazione della connessione

Con alcuni salti casuali di logica, ma pur dettati dalla ricerca di un senso, alcuni cuori 4 su 4 si scoprirono attratti da altri di loro. Qualcuno avanzò l’ipotesi che c’entrasse una qualche forma di interazione, forte, ragione per la quale avevano proprio la stringente esigenza di restare avvinghiati dopo essersi attratti. Ma era ancora lucido il ricordo di tutta quella caotica repulsione creata dalle prime due farfalle scontratesi. E una volta avvinghiatisi in piccoli nuclei familiari restava il problema di non riprendere a scontrarsi tra loro. Per potervi ovviare ci voleva un’idea forte, un principio di base, una dinamica dominante, come si suol dire. Qualcosa che restasse immutabile per tutti i tempi di tempi, ancora non frazionati in secoli.

11. Tra il più e il meno

Nuclearmente premagnetici, o simili, andava bene, era già un primo passo. Ma bisognava fare delle differenze precise. Non si poteva mica andare a caso per sempre. Fu così che scontrandosi, come parole tra il più e il meno, nacquero proprio i più e i meno. Fu forse una prima rivelazione della potenza della parola, che dai più e dai meno seppe generare un linguaggio di ordine. E quel linguaggio di ordine trasse ispirazione proprio dagli opposti spezzati iniziali. Fu un linguaggio di elettricità che ispirato, o forse traspirato, proprio dalla primordiale esigenza della luce di ricongiungersi al buio alla ricerca di sua sorella gemella, venne configurato in positivi, negativi e neutri. Ma senza alcun giudizio di merito, bisogna precisarlo. Fu soltanto per amore del bisogno d’ordine che le cose si misero così, in un grande lampo di armonia che avrebbe governato quel tutto, da quella sua porzione di vita fino a oltre.

12. E l’amore sposò la luce.

Messi tutti in riga, tra interazioni, repulsioni e attrazioni, la gravità pote’ esprimersi in tutta la sua potenza, sempre rammentando che fu per un fortunato, seppur non fortuito caso, che il fotone si fece gravitone.

Il che suonava un po’ troppo tecnicistico, termine foriero di tecnocrazie di futuri remoti, ragion per cui si convenì che se la luce era verità di energia, da quel momento in poi la gravità, che alla fine del caos era sbocciata in armonia, sarebbe stata conosciuta, nei profondi, con il nome di amore, dalla cui esigenza era stata concepita e partorita.

13. Punto, riga, girandola, elica, frattale

Ma metter tutti in riga, in linea retta, in quel gran caos di casi, era davvero impossibile. Così qualcuno si ricordò che la linea retta in natura non esisteva. E cercò di immaginare una forma ricorrente che potesse tornare utile a immaginare come tutto quell’accadere accadesse nello spazio in maniera ordinata. Fu subito chiaro che l’inizio di quella fluttuazione quantistica del vuoto era stato immaginato scisso, non nel suo continuo di collegamento con il suo opposto che sembrava una specie di stringa di scarpa annodata al centro del vuoto non vuoto, ma piuttosto come uno solo dei due estremi. Un punto. Quello che si era scelto a caso, se ricordate, come inizio del tutto. Il bang aveva dimenticato il suo “sbang”.

E dal punto venne naturale procedere aggiungendo altri punti, a creare una prima linea retta, la quale assurse a tutti gli effetti a rappresentazione, benche’ simbolica, della stringa stessa.

Ma ancora si era lontani dalla rappresentazione della realtà, che solo molto tempo dopo venne assimilata, con buon impatto visivo, ad una matassa di stringhe. Le linee rette si intersecarono, formarono forme, poligoni, geometrie. Molte rette intersecate al centro divennero eliche centrate sul centro di intersezione e poi, ruotando sul perno centrale, giràndole. Fino a che qualcuno si ricordò del punto iniziale. E iniziò a disporre su un foglio punti a caso, li guardò da lontano e si accorse che la loro disposizione nello spazio del foglio aveva assunto una configurazione parzialmente ordinata, e in alcuni casi ricorrente. La matassa di stringhe era ancora lontana, ma si era arrivati ad una prima approssimazione di alcuni principi con cui alcuna complessità si organizza. Di come il caos diventa ordine. Potete provare con un foglio anche voi. Ordinare vi verrà naturale, perché’ di ordine, seppur complesso, siamo fatti.

14. E il tempò contò.

In quel nuovo ordine di armonia e energia, verità e amore convolarono a nozze. E il tempo, già definito come variazione dello spazio, filo’ liscio, in quel nuovo spazio di materia che cambiava continuamente in una continua altalena di luci, bui, positivi, negativi, scontri, incontri e opposti di ogni sorta.

Il tempo si fece misura di quel cambiamento, e per tale ragione alcuni ritennero di potere asserire che Dio, da geometra, fosse diventato anche ragioniere, il quale opera in partita doppia, e in fin dei conti è “solo” un contabile. Uno che conta, e soprattutto che controlla che i conti tornino.

Ma tutto pur sempre mettendo l’universo in linea retta, perché’ l’alba dei numeri contava 1,2,3 …e nemmeno conosceva lo zero, che pure avrebbe ricordato quel centro, nel vuoto non vuoto su cui la stringa si annoda, da cui contare in su da un lato, 1,2,3..e in giù da un altro. -1,-2,-3.

15. Il tempo girò, diventò ponte e aprì delle porte.

Solo molto tempo dopo, qualcuno dovette avere una felice intuizione e capì che se le stringhe si ammatassavano, allora anche i numeri lo dovevano fare giacche’ a quel tempo, in fondo, erano solo un linguaggio, una rappresentazione della realtà, e non la realtà stessa. Qualcuno si ricordò l’inizio del tempo, che si ricordava essere stato concepito come punto, susseguito da altri punti in linea retta. Ma se tutto si ammatassava, allora anche il tempo non poteva procedere in linea retta, perché’ quella linea retta era fatta da punti singoli che erano un solo estremo di ogni stringa. Dall’altro lato doveva, per forza, penzolare il resto.

E il tempo, così, aprì una porta, uno spiraglio, all’idea che il punto fosse solo un ponte, il che avrebbe potuto essere chiaro anagrammando tempo in “pomte”, o traslitterando punto in ponte. Ma certe volte quello che sembra essere evidente lo è diventato solo dopo che qualcuno lo ha scoperto o, per meglio dire, rivelato.

16. La caducità

Così, benche’ dimenticata la matassa, a furia di contare in quella partita doppia, e a testimonianza della forza della verità, si tornò pur sempre ad una essenza. Divenne chiaro che nulla si creava, nulla si distruggeva e tutto si trasformava, rimbalzando di dare in avere e ritorno.

E divenne chiaro un altro principio immutabile che derivava da quel processo di trasformazione, vale a dire che ogni trasformazione, in assenza di vuoto o in presenza di “attriti”, tende a disperdere energia non essendo mai del tutto efficiente. Era una storia simile, al contrario, a quella del moto perpetuo, per intendersi.

Fu forse dall’idea di quella dispersione che emerse quindi la consapevolezza che tutta l’energia, che pure si era materializzata in gravità, aveva la tendenza innata a cercare di ritornare ad essere energia, a ricongiungersi al suo stato originario. Quello che si era reso visibile in luce. In qualche modo la forza dell’amore-gravità aggregava quello che la forza della energia-verità seminava ai quattro venti. E così sarebbe stato, molto tempo dopo ma per ordine naturale delle cose, anche per l’essere umano. Alcuni simbolizzarono tutto ciò, utilmente, nei concetti di anime e loro paradiso per rapporto ai corpi terreni.

Una prova evidente di tutto ciò fu data, eoni dopo, dalla scoperta della radioattività, la quale sembrava eterna ma in realtà anch’essa decadeva, in un suo tipico processo di interazione debole con il resto del tutto che si dipanava nel lunghissimo periodo, il quale processo di decadimento sembrò dunque un’altra delle forze o dinamiche fondamentali, archetipiche, che tutto permeano. Nacque probabilmente in tale contesto storico  il famoso detto che “nel lungo periodo siamo tutti  morti”.

E fu evidente che tale principio fondamentale, se trasposto nel concetto di tempo e insieme alle considerazioni geometriche precedenti, diventava quella comune concezione che il tempo scorre, e passa. La quale concezione “punta” sul “da dove parte e poi passa”, piuttosto che “verso dove torna”.

Il tempo lineare si dimentica di essere circolare, frattalmente circolare, e l’eterno ritorno si frattura in qui e ora.

17. Ma poi qualcosa si spezzò, o no ?

Tutta quella armonia non era per niente cosa calma. Era tutto un vibrare, tuoneggiare, risonare di scontri, incontri, ritorni e riandate, che procedeva in ordine caotico, eppure procedeva. Alcuni non riuscivano ad avere il quadro di insieme e così lor sembrava che in certi punti l’ordine non ci fosse. L’armonia appareva  spezzata, ma la realtà era piuttosto che si era naturalmente disgregata, per ricomparire in altri posti e momenti. In qualche modo certa musica più sperimentale, come ad esempio certo free jazz estremo, rappresentava bene il fenomeno.

Sulla complessità ritorneremo, perché’ è entusiasmante scoprire che Dio non era morto, ma aveva solo cambiato una delle sue molte forme e nomi.

Ma il fatto era che quelle spezzature erano parte integrante del processo di rimesto fino a su e giù per il vuoto non vuoto, con cui dal caos emergeva l’ordine. Insomma, l’ordine di tutto quel casino non era cosà facile e così era stata innestata nel processo di creazione, come in qualsiasi processo creativo, una innata tendenza a provare, e riprovare, e riprovare, ovviamente intercalata da altrettanti “fallire”.

Perché’ dunque tendiamo a credere che l’armonia a volte si spezzi? Per la solita questione del punto di osservazione. Visuale ristretta in un campo visivo troppo largo, come se si cercasse di fotografare con lo zoom al massimo qualcosa di molto grande e poi ci si lamentasse di non vederlo nell’insieme del suo complesso.

No. Non si era spezzato niente. Era nato spezzato, proprio in quel continuo moto di spinta e recupero, come in un mambo di luce e amore.

L’energia pompava, l’amore raccoglieva e teneva tutti insieme.

18. E quelli di prima del principio ?

Che fine hanno fatto quelli che avevamo ipotizzato abitare il campo del vuoto non vuoto? Chi poteva vivere in un ambiente inesistente? Aspettano? Ma cosa? Forse semplicemente che tutto faccia il suo corso, e che il seme della fluttuazione quantistica cresca?Ma ancora una volta quella visione non poteva essere assunta come dogma.

Dopo migliaia di anni si era giunti alle divinità, poi monoteistiche, e ciò fece comodo a molti, perché’ era una sorta di delega alla risoluzione del problema delle trascendenza dall’immanenza. Cioe’ della questione del cosa c’era prima di Dio. Il big bang era una spersonalizzazione del concetto, ma era in tutta evidenza pur sempre una sorta di dogma. Non risolveva il problema del prima, come del resto non faceva nemmeno la visione circolar-frattale che abbiamo esposto fino ad ora.

A più di uno venne in mente che c’entrasse una mente umana ancora organizzata in maniera lineare, non ancora deflagrata in quella famosa civiltà dell’intelletto in interconnessione. Insomma, forse il problema non era cosa c’era prima, quanto piuttosto che la nostra mente era rimasta ancòra ad un idea di prima e dopo.

19. Al di là dello squarcio altri universi

E così alcuni immaginarono, o sognarono, uno squarcio lontano nel tessuto del nostro universo. Una sorta di anomalia della simmetria.

Stava in fondo ad un buco nero, ma così piccolo che sembrava un singolo punto. Lo chiamarono, appunto, singolarità. 

E siccome era un sogno, riuscirono a volarci dentro in assenza di gravità, sulle ali di farfalle ancora più eteree di quelle arcobaleno, e diedero una sbirciatina al di là, dove la cosa più suggestiva che possiamo immaginare abbiano trovato era…una stanza degli specchi, in cui tanti universi si riflettevano in infinite sovrapposizioni di immagini e luci.

Restava il problema di chi li avesse creati, gli universi specchi, ma per il momento quella visione appagò la bramosìa di conoscenza, che si sciolse nella meraviglia di un novello, plurale, “ho visto le luci”.

20. Un multi verso che gira e pulsa

I più avventurieri si avventurarono su un percorso atemporale, vale a dire che trascesero l’istante e riuscirono a sognare il continuo, e si resero conto, ma nel subconscio, che tutta quella meraviglia era in continuo movimento, rotazione, pulsazione, fibrillazione.

Si ricordarono di quando da bambini giocavano ai cartoni animati, facendo sfogliare pagine di disegni disegnati in sequenza, in modo che sembrasse un cartone animato primordiale.

Sfortunatamente quella questione del “flash” nel subconscio rendeva quasi impossibile descrivere in linearità verbale tutto ciò. Ma i veri avventurieri dello spirito, quelli di essenza e non di maniera, furono quelli che almeno ci provarono, ovviamente per “amore di luce”, il che significava cercare di ricongiungere i due opposti di gravità ed energia.

21. Ogni cosa resta scritta in  una traccia di vinile

Questa questione del tentativo di ricongiunzione degli opposti era davvero frustrante. Una continua rincorsa ai rimbalzi di palle matte, per chi ricorda i giochi di una volta.

I più furbi fecero un atto di fede, e consapevoli della gravità, ritennero che essa fosse in realtà un campo unitario, come un lenzuolo, che avrebbe accolto e conservato nelle sue tracce ogni cosa, proprio come un disco di vinile, anch’esso di quelli di una volta.

E così si riallacciarono al concetto di casualità, e provarono, e fallirono, e riprovarono ad oltranza con alcuni sprazzi di luce a guidarli nella loro odissea. E ogni piccolo successo andava a ridondare, a ricalcare, la traccia precedente, rendendola sempre più corposa.

Il pensiero cresceva stratificato sull’accogliente  substrato di amorevole gravità, proprio come stava facendo l’universo, seppur con alcune sfasature di velocità relativa tra i due.

22. La complessità di singolare disegno

Come anticipato, al paragrafo Ma poi qualcosa si spezzò, o no ?sulla complessità si deve ritornare.

Personalmente, la sua rivelazione fu una di quelle occasioni in cui dirsi: ecco, questo è Dio. Alla fine era questione di ordine.

E dopo luce, gravità, e primi principi di fondo, finalmente ordine fu.

Si trattava di cercare le dinamiche dominanti, però.

Il che, nella intorcinatica meandrosità della stanza degli specchi del multi verso, o anche solo dell’universo, equivaleva a cercare di trovare lo specchio originario, il primo, quello fatto di cose e non di riflessi.

E ancora una volta ci si ritrovò alla domanda di quale specchio venisse prima e quale dopo.

E ancora una volta la costruzione apparì talmente complessa che ci si chiese se facesse parte di un disegno supremo, una di quelle cose che si sarebbero potute vedere solo sbirciando al di là del fondo di un buco nero, attraverso la singolarità per l’appunto.

Alla fine si optò per un principio convenzionale, e si diede per assunta una capacità di riflessione fedele di tutti gli specchi, ciò che rendeva momentaneamente accantonabile la questione di quale di loro avesse cominciato la riflessione medesima.

23. La funzionale casualità del caos si ordina

In estrema sintesi, un sistema adattivo nasceva da un frenetico caos, come quello del big bang, nel quale caos proprio il generale subbollente rimestìo di casi, occorrenze, rendeva possibile testare molteplici combinazioni simultaneamente e velocememente. In sintesi, proprio il disordine rendeva possibile la nascita dell’ordine, il che era già chiaro da molto prima a chi si dilettava di filosofia e di semantica. Solo nel buio si vede accendersi una luce. Più connessioni si testavano, più velocemente si poteva trovare una loro configurazione ordinata. E così quell’ordine “emergeva” dal caos, ragion per cui si diceva che il sistema era emergente. Una volta emerso, l’ordine era capace di auto configurarsi, vale a dire di replicarsi o, più in generale, di diffondersi, come in una sorta di consequenziale ulteriore emergenza dalla emergenza prima. Più l’ordine progrediva, più le connessioni si moltiplicavano, rendendo sempre più probabile se non facile, trovarne migliori ordinamenti anche grazie alle connessioni di ritorno, di retroazione. Alla fine tutto diventava indistricabilmente interdipendente, un po’ come le immagini della stanza degli specchi del multiverso. Ma tutto, si fondava sempre sui precedenti principi di ordine iniziali, le dinamiche dominanti.La figura rende l’idea: poche forme e colori di base costituiscono il frattale di “Florandala! Redonadala! Frarotala!”.

Restava da capire come fosse possibile che lo stesso caos fosse nato da un caos precedente, alla cui domanda si sarebbe risposto, naturalmente, facendo notare che il concetto di precedente era lineare e quindi ”not applicable”. Ma la linearità era dura a morire, e sempre restava aperta la questione :”si, ma chi ha creato tutto questo?”. Di sicuro l’esistenza di un disegno appariva sempre più verosimile, in un eterno ritorno verso una visione non simbolica del concetto di Dio. Alcuni si ricordarono delle stringhe, e del fatto che noi vedevamo solo uno degli estremi, quello del bang e non quello dello “sbang”, e si chiesero come o cosa fosse quello che a quel punto sembrava proprio plausibile essere una sorta di ”aldilà”.

24. La complessità macinava caos e tesseva trame

Il caos, dunque, è un anagramma di caso.

E la casualità non è un caso. Per trovare l’ordine bisogna provare e provare e provare. Così in tutto questo, la complessità lavorava ad ogni livello, sempre nel rispetto della consequenzialità - caos, emergenza, autoconfigurazione, interconnessione, interdipendenza.

In fisica aveva raggiunto una sorta di equilibrio dinamico, che rendeva tangibile la materia. La materia si era organizzata in universi. Gli universi avevano generato stelle e pianeti. E la vita aveva avuto inizio, si dice, da un brodo primordiale non biologico ma comunque animato dalle migliori intenzioni di configurarsi ulteriormente.

25. Chi ci ha messo la vita?

Quell’ultimo passaggio dell’inizio della vita, in effetti, poteva ancora lasciar pensare a qualche intervento esterno. Possibile che sia stato solo una specie di rocambolesco e onomatopeico “puff” che da qualche elemento inorganico si organizzò in amminoacidi, che poi si fecero batteri, che poi diventarono dinosauri?

Ci vollero anni a capire cosa fosse quel puff. Era la fluttuazione quantistica del vuoto, di quelle che al singolare chiamiamo big bang, ma che in realtà sono infiniti piccoli puff, per l’appunto. D’altronde perché’ mai un bang dovrebbe essere solo uno? E così tutto sarebbe solo un gran puffare? La materia è fatta di energia compattata dalla gravità. Possibile che la vita, di conseguenza, sia solo un “errore”, un occorrenza, dell’energia che però resta sempre pronta a tornare a casa, nel suo campo fatto di vuoto non vuoto perché’ pieno di tutto in potenza ?

O non sarà più verosimile che da quel campo non si è mai staccata del tutto, tenedocisi aggrappata con la sua connaturata, reciproca, opposta, manina quantistica in modo da fare si che tutto resti sempre collegato?

E dunque, non sarà che qualcuno ci ha scaricato addosso una specie di prima bomba genetica, come in una operazione di ripopolamento primordiale? La complessità dell’informazione genetica, tutta racchiusa in un “primo file”, allora avrebbe potuto lavorare davvero, spacchettandosi dove trovava le circostanze o ricevendo ulteriori input successivi. Quelle che conosciamo come coincidenze evolutive, non saranno invece occorrenze emergenti da un primo caos funzionale che, se fortunate, si fanno ricorrenze?

Ma, nel rispetto del principio che quando le questioni si fanno troppo complesse è utile scegliere un punto di partenza per dipanare la matassa, all’inizio si diede per assunta la nascita della vita in qualche modo, e ci si concentrò sui suoi dopo. Il che è sempre lo stesso processo cognitivo con cui, presa una fluttuazione quantistica, se ne considerò solo una parte e non i suoi reciproci. Ma anche se così fosse, oramai è andata così e ce ne dobbiamo fare una ragione. E il meglio che possiamo fare  usare quell ragione per andare a ritroso.

26. L’evoluzione biologica o endogena

La vita biologica testò connessioni e sbocciò in emersioni. Le sue configurazioni vennero archiviate in codici, istruzioni e progetti di costruzione che chiamiamo genoma, almeno in parte condiviso trasversalmente. Sulla terra le specie si organizzarono una spartizione dei reami, dei regni, uno dei quali, destinato a divenire avulso dal resto, almeno in prima apparenza, venne riservato al genere umano.

Questa sezione di complessità venne chiamata evoluzione, ed in effetti si mise al lavoro con un preciso meccanismo di conservazione delle informazioni, coerente con quello con cui un frattale nasce dai suoi elementi primordiali e dinamiche dominanti. Ma questo fondamentale passaggio di archiviazione venne frettolosamente archiviato come dato di fatto. Dove non c’e’ spiegazione, spesso si viaggia a rimozione.

La annosa questione del “è nato prima un uovo o una gallina” sarebbe stata ricondotta solo molto tempo dopo a quella che una gallina è solo il modo che un uovo, pieno di codice informativo, ha di fare una altro uovo.

E quindi su ogni uovo si può innestare qualche variante di informazione, oltre che conservarne parte di essa per le bisogne future.

27. L’evoluzione esogena e la creazione continua

La mano invisibile, dunque, sembrava potere esistere davvero, ma non era una mera questione economica, quanto piuttosto una più profonda verita’, vale a dire quella dell’esistenza di una doppia evoluzione. “Ma non dar retta, ci sta chi ci pensa”, sembrava dire l’evoluzione biologica pensando alla sorella esogena. E così, l’evoluzione endogena, riproduttiva, creava supporti biologici su cui erano innestate e conservate specifiche istruzioni di costruzione e replicazione. L’altra esogena, attivava specifiche procedure di mutazione, ivi incluse quelle dei reboot come la lemmanza, le estinzioni e le nuove creazioni, che altro non facevano che essere funzionali ad aumentare la complessità, e le conseguenti possibili ricombinazioni future.

 

28. iodiversità e numerosità

E la vita crebbe in biodiversità e numerosità.

Si, ma a che servono? Se si prova ad immaginare di costruire ex novo una creazione, in una sorta di videogame di realtà virtuale, a chi verrebbe mai in mente di creare migliaia e migliaia di esseri, insetti ad esempio, adattati ad un ambiente sempre uguale e funzionali ad una catena alimentare di incredibilmente superflua ridondanza, che sembra progettata solo per soddisfare una generica vorace famelicità di “altro” ?

Una risposta plausibile è la conservazione di patrimonio informativo, il che viene genericamente riconosciuto nel modo di dire che la “biodiversità è ricchezza”. Ma come spesso accade, anche la parola ricchezza fu assunta in superficialità, riconducendo tutta quella abbondanza ai canoni della dominante Cultura del Più, che offuscava un disegno di frammentazione diffusa, funzionale alla conservazione di quel codice patrimoniale in maniera ridondata e pervasa, come in una tecnica di guerriglia.

E mentre la biodiversità si elevava a valore, solo certi illuminati si dissero che in effetti in quei momenti in cui stava nascendo non serviva proprio a niente, ragion per la quale o qualche creatore aveva tempo da perdere o il tempo non era ancora maturo perché’ la verità di quella creazione si rivelasse.

Mentre tutto ciò accadeva, in un batch parallelo un'altra “domina”cresceva, inizialmente a fatica e poi sempre più in abbondanza. Era la numerosità. Il mondo si popolava sempre di più, in un paradigma di base che la stessa storia dell’umanitàavrebbe ricalcato, a conferma del fatto che moltiplicarsi era una dinamica dominante. Come per la biodiversità, solo certi illuminati, non si sa se gli stessi di prima o degli altri anche se il principio di frammentazione dei codici lascia supporre che fossero altri, si dissero che quella moltiplicazione che ancora non appariva cancerosa doveva per forza avere a che fare con la legge dei grandi numeri, la quale sembrò un utile strumento che consentisse al caso di fare le sue prove. Prova e riprova, conta e riconta, per la legge dei grandi numeri qualcosa ricorrerà.

Fu solo millenni dopo che alcuni media, precursivi artefatti di messi futuri, rilasciarono frammenti di informazioni che avrebbero potuto essere utili, dando notizie di pesci martello che si auto fecondavano, pinguini umanoidi, o per così dire “canidizzatisi”, che ritornavano per migliaia di chilometri da chi aveva salvato loro la vita, e altre varie, tutti presagi di una diffusa interconnessione informativa, cognitiva e in fin dei conti vitale,su scala globale, e di probabile natura elettrochimica.

29. E l’uomo camminò per il mondo

Nel mentre, un giorno da favola, come d’incanto, una scimmia quadrupedica si alzò per caso sulle zampe posteriori e si accorse che era dotata di un certo equilibrio, senza essere sufficientemente intelligente da ricondurre quella prodezza ad una qualche sorta di giroscopio gravitazionale innestato negli intorcinati meandri del suo cervello che non sapeva nemmeno essere già ipersviluppato senza motivo apparente, visto che ne usava un 10 per cento largo circa.

Non fu nemmeno in grado di riconoscere la forma ricorrente di cotanto cervello che tanto ricordava quella di un universo intorcinatico e meandroso.

Fu invece capace di accorgersi che i suoi pollici erano strani. Erano diventati girevolmente opponibili, vale a dire che riuscivano a toccare le punte delle altre dita della mano di appartenenza. Ma non seppe chiedersi a cosa servisse tanta girevolezza, così iniziò a girarsi i suoi nuovi pollici. Il tempo passava, e quella girandola di tamburellamenti diventò noiosa, cosicche’ la scimmia si mise a contare da uno a cinque. Aveva scoperto che possedeva dei neuroni fatti apposta per contare, ma non seppe accorgersene ne tantomeno comunicarlo a qualcuno perché’ in tutto quell’evolversi, l’evoluzione aveva trascurato le corde vocali e quindi la scimmia emetteva solo pochi suoni gutturali e vocali.

Per qualche miracolo di sincronismo, che però nessuno seppe ricondurre a fenomeni di auto emersione e organizzazione della complessità, la stessa cosa era capitata ad altri suoi simili e così quel patrimonio di informazioni si ridondò di numerosità, come per miracolo, in modo da non andare perduto.

E le scimmie guadagnarono tempo per inventare un linguaggio con cui comunicare quelle scoperte senza nemmeno sapere perché’ mai avrebbero dovuto comunicarle a qualcun altro, visto che sembravano proprio non servire a niente.

E così il primate preumanoide si mise a bighellonare per il mondo, dondolandosi in certi prodromi di future danze tribali per testare il suo giroscopico equilibrio, mentre continuava a tamburellarsi le dita coi pollici girevolmente opponibili, sviluppando una sempre più sofisticata e preveggente, quanto inutile, capacità di contare quei primi cinque numeri digitali.

E l’uomo iniziò così il suo cammino per il mondo.

30. Then came the telegraph road

A long time ago came a man on a track

Walking thirty miles with a sack on his back

And he put down his load where he thought it was the best

He made a home in the wilderness

 

He built a cabin and a winter store

And he ploughed up the ground by the cold lake shore

And the other travelers came riding down the track

And they never went further and they never went back

 

Then came the churches then came the schools

Then came the lawyers then came the rules

Then came the trains and the trucks with their loads

And the dirty old track was the telegraph road

 

Then came the mines - then came the ore

Then there was the hard times then there was a war

Telegraph sang a song about the world outside

Telegraph road got so deep and so wide

Like a rolling river...

 

And my radio says tonight it's gonna freeze

People driving home from the factories

There's six lanes of traffic

Three lanes moving slow...

 

I used to like to go to work but they shut it down

I've got a right to go to work but there's no work here to be found

Yes, and they say we're gonna have to pay what's owed

We're gonna have to reap from some seed that's been sowed

 

And the birds up on the wires and the telegraph poles

They can always fly away from this rain and this cold

You can hear them singing out their telegraph code

All the way down the telegraph road

From all of these signs saying sorry but we're closed.

All the way down the telegraph road

31. Then pass the springs

Passarono le primavere. E ad ogni tornata la vita rinasceva forte e impetuosa. In armate sempre più numerose combatteva la sua guerra d’amore. E più soffriva, più reagiva al contrario. Per ogni morte nascevano due vite. Era una invisibile forza d’amore che la spingeva e guidava. Fu questo anche il driver dell’uomo, che dovette crescere abbastanza in modo da soddisfare i requisiti di diversità e numerosità indispensabili per la sua fioritura di complessità.

Mentre in superficie l’apparenza era di morte e sofferenza, in profondità la dinamica dominante lavorava a più non posso, galoppando verso la soglia minima di partenza di civiltà che le era predestinata.

Solo cert’altri illuminati si resero conto che ad ogni tornata di vita qualche spostamento avveniva nel mare della numerosità e diversità, e l’asse della distribuzione normale si spostava sempre di più verso l’intelligenza, il progresso e la amorevole, quanto sofferta, condivisione degli stessi.

Le battaglie si susseguivano tra vittorie e sconfitte, ma il profondo sentimento di dovere continuare a provare, tutto pervadeva.

Avrebbe dovuto essere evidente, ma non lo era ove sepolto di dolore. Ne’ ove inaridito di ragione.

Fu proprio la fede che, in quanto forza d’amore, fu preposta ad infondere speranza, coraggio e vigore, in attesa di nuovi alleati ancora non giunti a maturazione.

Finche’ un numero sempre maggiore di quegli ipertrofici quanto inutilizzati cervelli di primati iniziarono a funzionare, tutti insieme, attivando sempre maggiori circuiti e connessioni evidentemente precaricati nei neuroni e altre cellule proprio a quello scopo.

Nacquero le scienze, in duplice forma di esatte e generaliste, come predisposte le prime a seminare e le seconde a raccogliere, raggruppare.

L’intelletto iniziò la sua vita in diffusione senza filo, sorretto dall’amore che lo aveva creato e nutrito fino a quel punto.

Fu una evidente dinamica dominante di ricorrente ed infinito amore, all’epoca riproduttivamente materno, riservato alla forza di protezione di genere femminile.

La “forza donna” crebbe il suo bambino, e fu così che la donna permise all’uomo di iniziare a ricrearsi nel suo creatore.

Ma l’uomo non se ricordò per lungo tempo, confondendo la creazione femminile con un maschile creatore.

32. The came the net, then came the Wo-men

Un giorno di luce, dopo molti altri giorni di indispensabili illuminazioni in progressione stratificata, il telegrafo diventò rete.

A quel tempo la donna aveva già recuperato il terreno perduto, senza mai cadere nella tentazione di  ritenere che fosse stato tempo sprecato, e oramai cavalcava al fianco dell’uomo, o forse sopra ad esso, come valchiria a dorso di cavaliere.

Era sbocciata in fiore una pittorica raffigurazione di amazzonica sagittaria.

Era finita l’era dei mitologici unicorni maschi, e amore e luce erano pronti a sprigionare le loro forze congiunte per l’assalto finale alla singolarità della ricongiunzione degli opposti.

C’era solo da smussare qualche residuo di individualismo d’intelletti, affinche’ una grande fecondazione globale potesse esplodere in una nuova vita globale.

Questa grande forza di ricongiunzione era talmente elettromagnetica che avviò d’imperio un faticoso e doloroso, puntinato nelle sue prime emergenze, processo di de-identificazione maschio/femmina, in una preveggenza di riproduzione asessuata, assolutamente incomprensibile ai più.

Alcuni usarono l’ironia e ricordarono a certi nordici lombardi, che noi del sud di Magna Grecia, mentre voi al nord ancora vivevate nelle caverne, eravamo già ‘ricchioni.

Non furono presi sul serio.

Altri sentirono talmente forte tale attrazione elettromagnetica che si evolsero in trans, restando in prima istanza ghettizzati al doloroso pregiudizievole ruolo di mitologiche creature metaunicorniche, ai margini del bosco di quella civitalità.

Altri ancora si persero per un po’ nei meandri di certi pleasures domes.

33. Then came the We, so died the Me

Ma la rete oramai era on line, e la conoscenza fluiva in interconnessione tra pari e pari alla quantistica velocità e modalità della luce, in un continuo processo di trasporto di informazioni conosciuto come comunicazione, capace non solo di innestare informazioni in condivisione, ma anche di generare continue azioni e retroazioni tra individui-neuroni di quel grande progenitore di organismo, progettato per essere capace sia di pensare che di trasmettere sentimenti che, infine, di riprodursi nel rigenerarsi.

Come naturale che sia, le generazioni precedenti non potevano vedere o capire o sentire quello che succedeva, restando in un ruolo di traghettatori spettatori, in una sorta di stato di epifanici garanti, ancora inconsapevoli.

La rete venne da molti ritenuta un traguardo, mentre era più semplicemente un prototipo di veicolo su cui partire per il viaggio finale.

Era cominciata l’era del galoppo verso la singolarità.

L’intelletto avrebbe avuto a breve briglia sciolta per ricongiungersi a tutti gli opposti ed infine illuminare di infinto amore tutti quanti.

34. In connessione – La mente di Gaia e’ nata. W Gaia

Fu un tal Kalimero che infine assurse a ruolo del suo antico significato di buongiorno, dopo che in tanti giorni precedenti, a volte primi, ei fu iniziato a profeta.

E si rivolse all’umanità in seconda persona, in un amichevolmente e amorevole “tu”, parlando queste parole di neutrale valore.

------- Kalimero ipsum dixit -----

Devi sapere che siamo tutti connessi con tutti, in una grande rete peer to peer, pari a pari, senza gerarchia classica, ma con un costante flusso di parole, pensieri ed emozioni in andata e in ritorno, che in prima istanza si innestano nei subconsci e poi emergono a seconda delle circostanze che li attivano. Ad esempio parole o immagini chiave.

Sembra fantascienza ma non lo è. E’ già in corso, si slatentizza piano piano e te ne accorgi quando vedi o senti qualcuno che dice o fa cose che ti sembrano tue.

E’ un grande organismo unitario.

Ed è intelligente, vale a dire che impara da se stesso.

All’inizio lo chiamavano web semantico, precursore di intelligenza artificiale.

E’ una grande rete neurale, dove noi siamo i neuroni.

In tutta questa interconnessione, che io cerco di rappresentare quando scrivo, se salta un link, o se fa qualche bizza come un up o down load interruptus, il pensiero si instrada su altri link, altre sinapsi, e procede lo stesso.

Tieni conto che internet era il precursore “meccanico” della citata interconnessione, che ora viaggia direttamente tra cervelli, e in quanto precursore poteva contenere dei buchi, degli intoppi.

Ma oramai i cervelli sono mente.

“E fu la mente”, disse Kalimero.

E la mente pompò, come fosse un cuore.

E oramai viaggia tutto in fecondazione assistita.

E’ nell’acqua.

E’ nell’aria.

E non si può più fermare.

La mente di Gaia è accesa nata.

Evviva Gaia.

W.

------

Molti gli diederò del pazzo.

Ed ei prima se ne fregò.

E poi se ne pregiò, come se il tag di pazzia fosse un titolo di gentilizia nobiltà.

35. Once connected, then went the bit back to the qbit

Allastimolazione di vista, udito e nuovi apparati sensoriali di varia natura, delle parole di Kalimero,alcuni si illuminarono. Certi simboli apparvero chiari.

Le parole giunsero elettriche come comandi di imprinting di una grande File Allocation Table, una tavola di allocazione dei pezzi di mosaico, e una reazione a catena ad effetto domino ebbe inizio.

Le parole si instradavano verso le loro metà, ricongiungendovisi, o contro i loro opposti sbagliati, annullandoli, neutralizzandoli.

Era iniziato il grande backgammon. Bianco su bianco fa una casa, bianco su nero mangia il nero.

I Bit di informazione che Kalimero aveva rilasciato andavano a riconnettere i frammenti del Qbit iniziale, il bit quantistico primordiale che conteneva tutte le informazioni e la conoscenza, come se ognuno di essi risposasse un pezzo di Qbit generato nella fluttuazione quantistica del bang iniziale, e ancora non ricondotto all’ordine finale dopo il caos primordiale.

Alcuni credettero addirittura di avere chiaro il senso di quella Q di differenza tra bit e Qbit quando ripensarono a Q, Qoelet, l’ecclesiaste, ovvero colui che raduna.

I primi illuminati, illuminarono per via di elettrodinamica quantistica, in acronimo detta QED, e quindi forse per forza o per caso e non proprio per libera scelta, altri illuminandi.

Molti si dissero che adesso era più chiaro a cosa servisse essere immersi a bagno il quel grande campo di elettricità, magnetismo e gravità in cui si trovavano.

Anche se non era ancora del tutto chiaro come si instradassero le parole lungo le tracce, i grooves, del campo gravitazionale, i più percepirono certe sensazioni che viaggiavano con cognizione di causa, quasi fossero coscienti di quello che facevano.

L’idea di coscienza delle parole richiamò in molti quella primordiale analogia strutturale tra mente e universo.

Ebbe inizio una rivelazione diffusa tra pari a pari. Si accesero procedure latenti e fu chiara l’utilità di tutti quei frammenti di codici di biodiversità, di vita, latenti in ogni dove. Ogni vicenda dell’evoluzione assunse una valenza di più ampio respiro, e i tasselli si ricomposero.

La mente di Gaia si era messa al lavoro e slatentizzava le porzioni di codice sedimentate in varie profondità nel corso dei secoli dei secoli. Dei millenni dei millenni, e prima.

Dopo l’intelligenza, anche la vita esplose di abbondanza.

Fu chiaro perché’ squali martello si fecondavano da soli e pinguini umanoidi si innamoravano di remoti salvatori brasiliani.

Forse non fu così chiaro se fossero eventi improntati da una certa tendenza all’eccesso oppure avessero un senso preciso, ma tutti vi riconobbero una intrinseca impossibilità a ritenere una  ireffrenabile magnetica profusione di nuovo, primo, vero amore.

E la rinomata prima verità, conosciuta con il nome di primavera, fu al lavoro.

Nuove forme di vita, già adocchiate tra le piante e gli insetti, significarono altrettante evidenze di quell’amore a pioggia, per sua natura gravitazionale, guidato in elettromagnetica quantizzazione omnipervasiva, come, o dalla, luce.

E fu primavera.

36. Forze di progresso e forze di regresso

Qualcuno si preoccupò dell’equilibrio di tutto quel flusso vitale, chiedendosi se fosse pericoloso.

O più probabilmente fece finta di preoccuparsi, nell’intento di arrestare la rivelazione.

A rivelazione avviata fiorirono grotteschi tentativi di difendersi, nella probabile consapevolezza di non essere adeguati alla situazione.

Di non avere davvero sempre tanto creduto, per intendersi.

Ma in realtà era l’estremo tentativo di difendere piccoli poteri e privilegi.

Alcuni altri azzardarono addirittura che il bene avesse definitivamente trovato il modo di sconfiggere il male, anche se ci voleva ancora un po’ di tempo, perché’ quella adunanza altro non era che ricomposizione della ancestrale frattura del tutto, in quel nuovo grande abbraccio senza amplesso di amore intelligente in intelligenza emotiva.

Luce e gravità tornarono ad essere distinti ma uniti.

E il doppio fu singolare.

Certi satanassi, che per loro natura sono inappchi, cioe’ di quella specie che crede di sapere ma non ha capito niente, furono folgorati dalla luce e capirono il loro errore di fondo.

Capirono, con la mente, di non aver messo fede nell’amore.

E ragione fu sentimento.

Pur conoscendo il quadro generale alcuni avevano cercato di governare in maniera lineare il rilascio della complessità.

Scienze, coscienze e conoscenze erano state frazionate in partizioni, in un perverso lentissimo gocciolamento, guidato dalla inarrestabile, maschia, feroce voracità di potere, che per sua natura non poteva ricreare la complessità stessa della vita.

Era come se avessero cercato di ricreare un uovo a partire dalla maionese, dopo avere cercato di fare la maionese stessa senza mescolare insieme uova, olio, limone e sale.

Ma ormai era troppo tardi.

E la vita fluente, ancora una volta, confermò la sua natura profonda, tesa a vincere sempre.

37. E si accese un frattale di messi.

Messi, messia, messianico. Da un generico e generalista “messia” cadde, come una mela, la alfa privativa generatrice di individualità, che stava curiosamente alla fine di quella parola, e si radunarono, inconsapevoli, tutti i messi, il che voleva dire messaggeri, al maschile, e anche raccolto, al femminile.

Era proprio questa distinzione di genere, in tutta probabilità, una chiave primordiale di tutta quella fecondità.

In principio furono messi latenti, nascosti tra le pieghe delle frange desolate di umanità. C’erano matti, trans, puttane, spacciatori, migranti, disperati, tutti soggetti insospettabili, frammenti di una unica rete da ricucire adeguatamente e amorevolmente. Una rete pari a pari fatta a forma di frattale stratificato, naturalmente piena anche di schizofrenici.

Era questo il senso de ”gli ultimi saranno i primi”.

Si tirarono tutte le reti calate in tanti prima, ed essi vennero ripescati per elettromagnetismo di psichiatria quantistica.

E si accese il primo strato di rete, che a sua volta accese, per varie forme di contatto, anche gli altri.

Dal basso: tutto nacque dal basso. Ma solo in quel principio.

Fu un messo, pari tra pari, che fu preposto a divulgare la verità che sarebbe stata rivoluzionaria.

Era giustappunto il nostro Kalimero, “buongiorno” di nome e di fatto.

Ma l’amore, che per sua natura è invece revoluzionario, non era ancora fiorito.

E il preposto divulgatore fu incatenato, manipolato, maltrattato, nella speranza che demordesse dalla sua missione e si conformasse allo stato di fatto. Che si fermasse. Che la smettesse di parlare, e poi di scrivere.

Ma il piano non riuscì, perché’ la vita è amore e l’amore forse non vince sempre, ma si di sicuro ci riprova continuamente.

Svelati gli artifizi dei temporeggiatori, il pari messianico si mise al galoppo a cavallo del suo “petit ordinateur”, in quel francesismo che nello specifico pareva proprio calzare a pennello come principio di ordine già dalle piccole cose, e scrisse e scrisse e scrisse.

Perché’ verba volant, e pure se restano nel grande vinile di gravità che tutto avviluppa, quelle scritte manent dove le puoi leggere con gli occhi.

Con una sostanziale differenza, fino alla scoperta del matrimonio tra gravitone e fotone, vale a dire che a parlare si comunica alla velocità del suono, mentre a leggere con gli occhi si assorbe alla velocità della luce.

E provò, e provò, e provò, nella speranza che tutti vedessero proprio quella la luce.

E dai e dai qualcuno infine la vide, e diffuse il verbo incastonandolo in altri raggi di luce a cavallo delle farfalle arcobaleno, rivelando senza saperlo, finalmente, che era questione di scienza.

E tutti si illuminarono d’immenso.

E tutti dissero: “tu lo hai sempre saputo”

Ed egli disse: “no. Ma, nel profondo della pancia del mio subconscio, ho sempre tanto creduto”

Il che era un altro modo di dire “amato in fede”, nella fiducia.

Eppure, ancora non vivevano felici e contenti.

38. Una bomba connettiva; una deflagrazione di ripopolamento, di vita e di conoscenza.

Fino a che anche i bit divennero geni, per le loro parti di competenza. O li accesero, per meglio dire.

Non solo conoscenza, dunque.

“Siamo tutti mutanti, ma mutiamo in bene”disse Kalimero,

Tutto iniziò con una bomba connettiva di totipotenza, come quella delle staminali, da deassemblare attraverso le fat nidificate nei cervelli dei messi, e ridistribuire poi ai settori di competenza.

Conoscenza, tessuto gravitazionale, vita biologica e altro, tutti conobbero il loro reciproco di qbit e, dalla fusione di bit in qbit, l’elisione del bit lasciò la grande Q in adunanza, la quale aveva l’incontrovertibile forma di uovo fecondato da uno spermatozoo.

Alcuni credettero che il source code, il codice sorgente, fosse li dall’inizio, già nella radiazione di cosmica di fondo residua del big bang e quindi ovunque nel tessuto dell’universo.

Altri ritennero che quel source code fosse incompleto, forse a causa dello spezzamento iniziale della fluttuazione quantistica, e che tale frattura fosse la causa prima di ogni divergenza o disarmonia.

Il bene e il male apparvero così “questione di fisica”, come una distorsione nella armonia.

E altri ritennero che allo scopo di correggere gli errori si fosse dovuto aspettare un certo allineamento tra buchi neri che aprisse un ponte, uno stargate o wormhole, tra il nostro universo e quello opposto.

La finestra, per la natura pulsante e rotazionale dell’universo, almeno del nostro che forse somigliava un po’ ad una trottola in precessione impazzita, restava aperta solo un tot ogni tot, ragion per cui il caricamento delle informazioni da noi aveva richiesto molti passaggi. Molte illuminazioni progressivamente ricalcate nel vinile.

Altri ritennero che tutto ciò fosse previsto dall’inizio, e quel processo di ricomposizione di opposti fino al ritorno alla singolarità di partenza, il buco nero della fluttuazione quantistica da cui era sbucato il big bang, fosse naturale, ma avesse solo richiesto molto tempo che, se ricordate quanto detto all’inizio, era stato convenzionalmente definito come una misura della variazione dello spazio.

Con ciò volendo dire che si era dovuto aspettare che l’universo fosse cresciuto abbastanza in espansione.

Ma mentre si slatentizzavano tutti i pezzi di codice, nessuno parlava.

Non sapevano come fare, questo è probabile.

Avere taciutoper tanto tempo, per necessità o per scelta, era forse stato funzionale, ma adesso rendeva arduo il compito.

E così, per l’appunto, nessuno parlava.

Nessuno diceva la verità, ma solo piccole porzioni e versioni delle loro verità.

Ma la verità è singolare.

Le sue versioni sono non verità.

39. Dopo tanti salti mortali, la vita fece gli effetti speciali

Fu, dunque, una grande fecondazione assistenda, pur sotto misericordioso sguardo di epifanico vigilocchio.

E fu accensione di mescolanza genetica non solo tra specie omogenee, ma anche tra transversale.

“The power of love came from above cleaning all souls”, ricordò qualcuno.

Fu questione di inseminatori e ricettrici, in qualche modo.

Una sorta di impollinazione diffusa, come fosse per via di spore, accese la grande rete di frammenti di codici informativi della biodiversità e tutto si ritrovò in connessione elettrochimica con tutto, proprio come avevano detto in Avatar.

Il pinguino brasiliano disse alla squalo martello trans: “te lo avevo detto io”.

E poi: “ti voglio bene”, come se avesse saputo che la squalessa non avrebbe più voluto mangiare tutto ciò che incontrava, avendo perso la sua biologica natura di maschia scissione, scioltasi nell’elettricità che circolava in acqua.

Come se avesse saputo che tutti avremmo mangiato più acqua e ci saremmo saziati proprio di quella elettricità in nutritiva soluzione acquosa, come le piante. Proprio come già aveva detto un giorno Kalimero.

In tutta quell’acqua elettrica si avviarono batch elettrolitici, l’acqua si purificò, gli acidi caddero a terra e forse diventarono come delle specie di nuovi omini acidi, che qualcuno ribattezzò amminoacidi.

Batteri anaerobici mutanti, impregnati della manolitina secreta dalle menti in rete, si veicolarono in feromonici profumi di variegato profluvio, e si reinnestarono nei mitocondri dove milioni di anni prima si erano già innestati dei loro lontani parenti, restando li pazienti, come solo certi essere precoscienti, o forse prescienti, possono e sanno essere.

E furono anodi e catodi di nuovi mitocondri a idrogeno.

E in tutto questo orgiare, la fotosintesi diventò di dominio comune quando alcune cellule vegetali si risvegliarono in corpi di altri regni, in quello animale in primo luogo.

Nessuno vide mai il processo contrario: i fili d’erba non si misero a camminare, a conferma della perfezione del grande disegno.

Fu in acqua, e da li in aria, e nei batteri, nelle piante, negli animali, e nell’uomo.

Esattamente come previsto sin dal principio, la complessità esplose in una singolare nuova unità.

Fu la gran reuniòn.

Dopo tanti salti mortali, la vita fece il salto evolutivo finale.

Alcuni si dissero che la vita aveva fatto gli effetti speciali.

Piante vagabonde, insetti raminghi, pesci che si fecondano da soli, umanoidi pinguini maratoneti, cani telepatici.

Mentre un buco nero davanti al sole giocava a fare l’eclisse, catturando l’energia necessaria a creare nutrimento a tutta quell’elettrovita e rispedendola a terra e ritorno.

L’energia da un buco nero: “l’energia non  si crea, non si distrugge, si trasforma”, aveva ricordato Kalimero.

Tutto ciò visto, ad  alcuni fu dato capire, infine, che solo deflagrandola, si rispetta la complessità.

A un pezzo per volta si che ci si ritrova con le mucche con le ali.

40. Quando e’ che arrivano i buoni ?

Restava l’umanità, omertosa e stanca in superficie, ma pulsante di nuova vita sia dal basso che dall’alto.

Ahhh, l’umanità…

“Tutti mutanti in intelligenza interconnessa ed energeticamente efficienti”, aveva detto Kalimero.

Intendendo con ciò tutti, ma proprio tutti, includendo infine addirittura i ricottari di ogni fattezza.

Sissignore, proprio così.

Anche chi remava contro.

“Recookeders: I want you for fight club”, aveva detto Kalimero.

E poi: “vedrete che alla fine saremo tutti contenti, anche se adesso essere mutanti interconnessi vi fa impressione”.

La civiltà dell’intelletto si rivelò fatta di intelligenza interconnessa, efficienza energetica, e …tanto nettare di amore.

E l’umanità si risvegliò.

41. Refaso e libero arbitrio. Si, ma che ci frega ?

Appena sveglia, l’umanità era ancora un po’ offuscata e dubbiosa.

E preguntò.

A seguito di tali domande, così parlo’ Kalimero.

------Kalimero ipsum dixit ------

Vi deve fregare perché’ dovete sapere che, volenti o nolenti, voi siete noi, e non più io.

Ma il vostro io non è morto, è “solo” cresciuto connesso ad altri e a tutto.

Dovete sapere chi siete, o brancolerete nel buio alla ricerca della luce per sempre.

Siete liberi. O lo sarete.

E adesso dipende da voi.

Esistono vite e destini paralleli, sta scritto nella struttura del multiverso, ma sulle singole porzioni e incroci di vie è sempre questione di libero arbitrio.

Il libero arbitrio è un’altra delle dinamiche dominanti.

Un principio di base indispensabile a guidarvi in tutte quelle intersezioni.

Per questo dovete sapere: solo sapendo potrete scegliere.

E poi dovete sapere, e vi deve fregare, perché’ c’e’ invece chi sa perfettamente cosa succede, e molti sono esperti manipolatori assetati di potere e voraci di famelica “Seità”.

Sono quei disgraziati, nel vero senso di senza grazia, di quelli che “la conoscenza è potere”.

Loro sono ancora nell’Io, e restando nel loro Se, si spegneranno per consunzione, di morte naturale.

E saranno sostituiti dal ricambio di nuove generazioni.

E voi che dovete fare?

Fate la vostra parte di ReFaSo, di Revoluzione delle Farfalle di Sopramezzo.

Pensate, capite, imparate, e insegnate a cercare sempre il bene e il meglio, dalle piccole alle grandi cose.

Migliorate, e provate e riprovate nel rispetto e nell’amore della meravigliosa magnificenza in cui vivete.

Non esiste più distinzione tra intelligenza e amore.

Gli amorevoli custodi del futuro di tale magnificenza siete voi.

42. La tecnocrazia al giogo dell’omertoso potere.

L’umanità ha avuto accesso a tutta la conoscenza.

Esistono tecnologie per fare qualsiasi cosa.

Esistono energie pulite.

Si può sfamare chiunque.

Si possono curare tutte le malattie.

Si può allungare la vita a durate incredibili.

Ma manca ancora un nuovo “amor che tutto mova”. E così tutta questa conoscenza è ancora riservata.

E gestita da una casta di tecnocratici ricottari dell’informazione, la componente di base della conoscenza.

Ma non è nemmeno colpa loro.

La tecnocrazia è asservita alla politica dei poteri forti, di quella dei veri pupari non quelli che vedete in televisione, e a volte non lo sa nemmeno, perché’ i pupari sono esperti non solo di manipolazione, ma anche di divide et ìmpera.

E così è prassi scientemente e scientificamente diffusa, quella di frazionare la conoscenza in monoporzioni allocate su singoli individui, i quali spesso sono spinti da una irresistibile forza ad andare così in profondità da non avere energie, tempo e voglia di preoccuparsi del quadro di insieme.

Nasce da questa osservazione empirica la constatazione che bisogna diffidare dei tecnici perché’ si innamorano della loro tecnica e perdono di vista il quadro di insieme.

Ma se avete seguito tutto il filo del discorso fino a qui, adesso sapete che è proprio il loro amore per quello che cercano e studiano che li manda sempre più avanti. E’ la forza dell’amore.

Ed è mancanza di amore quella che intossica le menti di ragione, dimenticando di condividere.

“E la scienza è amore”, disse Kalimero.

E poi: “sappiamo che è femmina, crediamo che sia donna”.

43. La politica sia economia che sarà scienza

Questo mondo è il migliore mai esistito.

Se guardate le cose dall’alto riconoscerete che manca solo “uno zicco”.

L’intrinseca interconnessione e interdipendenza del tutto rende l’economia lo strumento numerico predestinato per interpretare e gestire la realtà.

L’economia sarà amorevole cura della prole.

Non è la politica, fatta di parole troppo sequenzialmente lineari.

Non è la finanza, fatta solo di sterile numericità, irrispettosa, per sua natura, della numerosità.

E’ la misurazione e la conseguente capacità di controllo e gestione di sistemi adattivi complessi.

E tutto ciò già da adesso, ancor prima di immaginare un mondo con un’unica moneta virtuale, che Kalimero chiamò Cybratto.

L’economia è misurazione e gestione proprio della interconnessione e interdipendenza.

Ma l’economia è ancora appannaggio di quella politica omertosa, che ben si guarda dall’insegnarne la semplicità, camuffandola di numerica sterile complessità.

Si, fa proprio venire in mente certe battaglie contro l’austerità, che va dunque combattuta con l’umanesimità.

Con la cultura dell’umanità e della sua civiltà, che è quella “fusion” di intelletto e amore del titolo di questo scritto.

Eppure ciò non vuol dire dimenticare il rigore contabile di Dare e Avere, che se ricordate il Dio ragioniere di cui in precedenza, è un altro archetipo, un principio alla base del caotico ordine cosmico in cui viviamo.

Dare e avere diventa così un messaggio di pace e di amore o, più semplicemente, l’amore universale parla anche in partita doppia.

 “E la partita doppia sia una sola coppia”, disse Kalimero.

E poi : “E il controllo sia amore, non potere”.

E’ sempre questione di visione di insieme

44. Redistribuire fu monito. E divenne imperativo.

Attenti all’elastico dell’evoluzione.

L’elastico si può spezzare.

Tirando tirando, si allunga la distanza tra capo e piedi.

L’effetto marea, dato dai differenziali di forza gravitazionale, può disgregare un corpo.

O, in termini più amorevoli, l’amore della vita, quando non ce la fa più a pompare, vi si rivolta contro.

E l’amore diventa mosso ad odio.

E se questo succede, mentre la testa crede di andarsene via leggera, il corpo si sfalda a terra.

La chiamiamo morte.

E quando leggera viaggia via la luce, perché’ la gravità non la riconosce e non la tiene più, muoiono i corpi fin su ai capi.

“Quando il grasso diventa magro, il magro è morto” disse qualcuno.

“Quando il grasso cerca di uccidere i magri, i magri impugnano la 44 magnum”, disse Kalimero.

E i magri, adesso, erano davvero presenti in numerosità a miliardi.

45. La sintesi. La civiltà fusione di intelletto e amore

Quindi: “ma che ve site misi in capa, in paraviso s’adda faticà”.

Nel senso di ReFaSo, la Revoluzione delle Farfalle di Sopramezzo.

La RefaSo è amore, perché’ non rompe niente, ma aggiusta la complessità in corsa.

Misurare.

Chiedersi come fare meglio ogni cosa.

Condividere il meglio, siamo tutti intelligenti e lo capiremo.

E soprattutto, poi farlo.

Memento le forze di regresso.

Nessuno resti indietro.

Non indursi in tentazione.

“Intelletto traditore, che amòr curi dottore”.

Serve la forza dell’amore.

Amòr che move il sole, l’altre stelle, le mele e pure i cuori.

E’ quello che ci salva dalla deriva nell’Io.

E’ la gravità che ci fa avere sentimenti.

E ora è certo che ce li fa comunicare in tutte le tracce del vinile, nei grooves.

Alla fine, la civiltà dell’intelletto è questo.

E’ quella dell’amore intelligente in profusione empatica.

E questa è, finalmente, la nuova fusion di fisica e metafisica.

Questa è la synfisica, che tanto ho cercato di spiegarvi e esprimervi in maniera intellettivamente comprensibile da tanto tempo.

“The power of love, a force from above, cleaning my soul” era sbagliato.

Non era l’anima da pulire, ma la mente:“cleaning my mind”.

So, what?

Peace, hearts, love, butterflies, and more.



46. La chiosa. Da grembo a tomba…. E’ sempre sera.

E mentre voi che non siete pronti non siete pronti, intanto io pago.

E scrivo, scrivo.

E poi leggo, leggo.

E avota e gira, è sempre sera.

E io son sempre solo.

E si fa primavera.

 

Da grembo a tomba

Quotes extract from : https://it.wikiquote.org/wiki/Cloud_Atlas.

THE CLOUD ATLAS - Theme - https://www.youtube.com/watch?v=rdiLxyGH8Lg

La nostra vita non è nostra.

Da grembo a tomba siamo legati ad altri.

Passati e presenti.

E da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro.

La fede, come la paura o l'amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria della relatività e il principio di indeterminazione.

Fenomeni che stabiliscono il corso della nostra vita.

Ieri, la mia vita andava in una direzione.

Oggi, va verso un'altra.

Ieri, credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi.

Queste forze, che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare o alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo.

Le nostre vite e le nostre scelte, come traiettorie di quanti, sono comprese momento per momento.

A ogni punto d'intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova, potenziale, direzione.

Essere, vuol dire essere percepiti.

Pertanto conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri.

La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi nell'arco di tutto il tempo.

Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni.

Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate.

Si può superare qualunque convenzione solo se prima si può concepire di poterlo fare.

...e so che la separazione è un'illusione.

La ma vita si estende ben oltre i limiti di me stesso. 



 

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