LA PRIMAVERA DELLA SYNFISICA
La primavera della synfisica.
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con immagini
1. In premessa fu il dialogo
tra Kalimero e Wo-men. E fu Synfisica.
-----Kalimero
ipsum dixit-----
Ue’, tu che sei
donna, sei molto più veloce di quello che fai credere, e mi sembri piuttosto
sul pezzo di tutto quello che succede, ho pensato che devo concludere. Tirare
le fila. Fare le somme.
Ma piuttosto
che fare un romanzo di un tizio che indaga, come tu mi inducesti in tentazione
a credere di dovere fare, devo fare un racconto ipersintetico che ricucia tutto
lo scritto scritto fino a ora. Dopo avere ricomposto tre anni di blog
nell’antologia delle 600 pagine, ora serve una sintesi per tutti. Una sintesi
dell’antologica sintesi. Anche le immagini recenti servono a quello.
Ma poi serve un
po’ di parola. E deve essere parola in linearità, senza hyperlink, appendici,
allegati e balle varie. Un racconto semplice semplice, appunto, che mette in
riga la complessità.
Sarebbe una
specie di Telegraph road dei Dire Straits, se ti ricordi quando eravamo
giovani. Solo un po’ più esteso. Il taglio dovrebbe essere di qualcuno che
racconta con ironia.
Ma molto, molto
chiaro. Chiaro come un lago senza fango, diceva Axel di arancia meccanica.
E corto, molto
corto. Poche pagine. Obiettivo: 10/20 pagine (che vuol dire 2 o 3 paragrafi per
pagina). Lo step successivo potrebbe essere un power point a bullets. Tutto in
una pagina…..ma forse così è troppa sintesi. Dimmi se l’indice ti fila. O dammi
suggerimenti.
Può essere che
sia la volta buona che mi sparano davvero, ma ne sarebbe valsa la pena. O no ?.
-----Wo-Men----
Silenzio. …Assenso ?
-----Kalimero
Lonelymerum----
E dunque,
orbene!
Siore e siori,
ladies & gents, nonche’ infine, udite udite, Wrs & Mrs.
E’ con sommo
orgoglio e grande piacere che vi presento la tanto attesa….(rullio di tamburi)… Synfisica !
Sia ricucita la
frattura tra fisica e metafisica !
Siano
ricomposti tutti gli opposti !
E possano i
fiori del mio amore per tutto maturare in frutti !
-----
E nel mentre
indicava con l’indice la via da seguire per la rivelazione.
2. In principio fu il
principio
Un principio
che si doppia è un non principio. E’ un circolo, logico ma piuttosto vizioso.
Così, fin da quel subito, tutti si posero certe questioni. Il principio non
c’e’, oppure è qualcosa che non possiamo concepire con lo stadio evolutivo
attuale delle nostre coscienze, ancora piuttosto incentrato sulla linearità? Si
resero conto, i tutti, che li dove era quel subito non c’era ancora nessuno. Ne
dedussero, con buona logica, che dovevano trovarsi altrove. E mentre si
immaginavano a godersi quel vuoto di silenzi da un altro punto di vista, certe
pulci saltarono alle loro orecchie. Se tutto nascerà da questo niente, allora
questo non può essere niente. Deve essere un non niente, un vuoto pieno,
probabilmente di tutto, ma ancora in potenza. Insomma, un campo. E si chiesero
subito, naturalmente, chi potesse abitare un simile ambiente non esistente. Non
si diedero risposte certe. E ne dedussero che anche quella visione non poteva
essere assunta come dogma.
3. E fu la luce
Fu in quel
mentre, dunque senza bisogno di un subito, che qualcosa successe. Nessuno dei
tutti seppe mai chi diede inizio al riprincipiamento del doppio principio. Il
che fece loro venire il sospetto che ciascuno di lortutti potesse esserne il
responsabile.
E fu la luce.
“Chi ha acceso
la luce? Si stava così bene, prima di subito” disse qualcuno che sentì di avere
subìto quel momento di subitaneità come qualcosa di inquietante.
E in effetti,
si accorse che non si trovava più insieme a tutti nel dove non dove, ma per
qualche occorrenza perversa era rimasto confinato in quel primo posto e istante,
che pure lui sentiva connesso con il resto dell’intorcinato, ma di una
connessione veloce assai, e dunque sfuggevole. Connessi, si, ma alla lontana,
per così dire.
4. E sognò il buio
“E io sono qua
solo e abbandonato a me stesso in questo mare di luce”. Già sognava un opposto
di luce, un nero o almeno grigio, nel quale tuffarsi alla ricerca del posto e
del tempo da cui proveniva. Un ponte, o un passaggio. E già presagiva che
quella sua scissionistica creazione lo avrebbe condannato per l’eternità a
cercare di tornare a casa, con un irrefrenabile istinto a tuffarsi nel buio
nella speranza di riemergere nella luce, proiettandolo in una visione di eterna
altalena di quei luce e buio. Aveva concepito la speranza. Ma si rese conto che
eternità, sùbiti, tempi e altre croniche questioni non avevano senso, perché’
il tempo non esisteva ancora. E di conseguenza nemmeno la speranza poteva
ancora trovare un terreno su cui nascere.
5. A spezzare gli opposti ‘sì
creò il tempo, e fu il caso.
Fu dunque per
bisogno di speranza, se non di prospettiva la quale sarebbe nata con l’avvento
della logica, che si trovò di fronte al dilemma su quale dei due principi del
“principio non principio” scegliere come inizio. Fu dunque guidato da un
bisogno d’amore verso se stesso, quasi un istinto di sopravvivenza. Ma davvero
non sapeva quale di due scegliere. Erano opposti, ma identici.
Così tirò a
caso. E il tempo iniziò con un punto, nel punto dove cadde il caso. Fu così che
l’inizio del tempo venne sancito in quel momento. Da li fu breve il passo che
portò a metter in fila tanti punti, che come noto formano una retta. Il tempo
iniziò a scorrere, e lo fece in forma lineare. Ma fu solo per quel caso e
successiva convenzione. Ne’ ci si preoccupò troppo del fatto che la linea retta
in natura non esiste, dato che la natura che conosciamo non esisteva ancora e
quella da cui veniva lui non aveva dimensioni, o forse le aveva tutte. Già
faceva fatica a ricordare. In ogni caso, il tempo aveva bisogno di una
definizione, perché’ altrimenti non lo si sarebbe mai afferrato.
E si optò per
la convenzione che il tempo fosse la constatazione delle variazioni dello
spazio, il quale era tangibile e dunque misurabile. Bisognava dunque capire perché’
lo spazio dovesse variare. Ma questo sarebbe stato facile. Tirato il sasso
nello stagno del vuoto, quello avrebbe iniziato a vibrare di onde concentriche.
E lo stagno si sarebbe mosso a vita. Mancava solo lo stagno, che per sua natura
era qualcosa di materiale, mentre li si stava ancora navigando in un mare di
impalpabile antenato della luce.
6. Quel primo quelo
Per tutto
questo, ci voleva un nome, e pure ad effetto. Fluttuazione quantistica del
vuoto, allora, non lo avrebbe capito nessuno. E anche se, o proprio perché’,
non c’era ancora nessuno, bisognava pensare ai posteri. Decise di essere
pomposo, in un empito di lieve preveggenza sulla sua natura futura, che sentiva
sarebbe divenuta grave. Sognò una pompa. Ma non sapeva cosa fosse. Poi, come un
bambino, a un dito immerso in un barattolo di marmellata, ma dal basso del
fondo del barattolo verso l’alto. Poi a una bolla in una pentola di polenta. E
la bolla scoppiò. E fece un botto. Inizialmente suonò come un “plop”, ma
risonava proprio male, sfigatino. Così fu un “bang”, che per sua natura non
aveva senso immaginare piccolo, altrimenti sarebbe diventato un bottino, come
qualcosa che in effetti qualcuno avrebbe cercato di possedere. Grande botto era
un nome ad effetto, certamente, ma si disse che faceva un po’ cagare. E poi non
era coerente con la reale natura di quello che era successo, che ricordava
piuttosto una farfalla che sbatte le due ali. Per cui conìò un vezzeggiativo,
con cui avrebbe sostituito, a tempo debito, quel botto. Pensò a un”puff”, o
“spuff”, onomatopeico ma troppo evanescente. Non gli venne in mente “flap
flap”, o “flip flap”. E si parcheggiò su “Quelo”.
7. Quanta luce
Parve un gioco
di parole, se non di luci, che già evocava lontane frontiere della conoscenza
della fisica, quando si sarebbe concepita la rivelazione del primo quanto.
Quello fotonico. Invece voleva dire che in tutta quella luce non si sentiva
niente. E non solo in senso di suoni, che sarebbero nati solo in un qualche
giusto mezzo di propagazione, ma proprio di sensazioni o, per meglio dire,
sentimenti. E in tutto quel paradiso di luce non si poteva proprio sopportare
l’assenza di peso del tempo che, per sua natura, ancora non contava niente ma
pure aveva bisogno di correre, o almeno di appoggiarsi su qualcosa che correva.
Bisognava inventare qualcosa.
8. Un pizzico di qualcosa
La prese larga.
Inventare qualcosa, si, ma cosa? E mentre si trastullava in quagli
arrovellamenti, vide in un lucido sogno ad occhi aperti la materia. “Meraviglia
!”, si disse già sognando mondi interi con cui giocare.
Già, ma come si
crea la materia ? Si era ancora in quel mare di luce, quando d’improvviso due
farfalle arcobaleno, di quelle che quando volano veloci diventano del colore
della luce, si scontrarono sempre per un caso fortuito, che risultò proprio
fortunato. Le due farfalle si accoppiarono, o forse scoppiarono per lo
schianto, e la quattro ali si spezzarono, lasciando fluttuare quattro mezze ali spezzate, ciascuna a forma
di cuore in orizzontale. Nel botto di quello schianto, le energie rilasciate
furono così potenti che i quattro cuori si attrassero uno sopra l’altro, e
rivolsero le loro punte verso il basso, proprio come vettori a forma di
freccia. E diventarono massa 4 su 4, a trazione integrale davvero. E fu così
che la massa nacque come inconsapevole ma connaturato gesto d’amore, per
sensazionale bisogno di sentimenti. Fu un pizzico d’amore donato per caso, o
per “quel” caso se si crede ad un disegno, che da li in poi avrebbe mosso
tutto.
9. E la situazione si fece
lievemente grave
Quel primo
scontro di farfalle creò il caos. Da che tutte le farfalle volavano veloci come
e nella la luce in perfetta sincronìa, quel primo asincronismo andò a sbattere
asimmetrico contro le prime di esse che non poterono che ripetere il
procedimento di disgregazione e risincronizzazione in forma di cuori 4 su 4.
Piovve amore, dunque, e venne spinto da una nuova forza di attrazione. Tante
piccole masse si comportarono con gravità. E la gravità nacque dalla leggerezza
della luce, e iniziò a cercare la sua identità, perché’ tutto quel caos
richiedeva con forza alcuni nuovi principi di ordinamento. Altrimenti la
materia, che tanta meraviglia di futuro aveva suscitato, sarebbe rimata una
chimera.
10. L’interazione della
connessione
Con alcuni
salti casuali di logica, ma pur dettati dalla ricerca di un senso, alcuni cuori
4 su 4 si scoprirono attratti da altri di loro. Qualcuno avanzò l’ipotesi che
c’entrasse una qualche forma di interazione, forte, ragione per la quale
avevano proprio la stringente esigenza di restare avvinghiati dopo essersi
attratti. Ma era ancora lucido il ricordo di tutta quella caotica repulsione
creata dalle prime due farfalle scontratesi. E una volta avvinghiatisi in
piccoli nuclei familiari restava il problema di non riprendere a scontrarsi tra
loro. Per potervi ovviare ci voleva un’idea forte, un principio di base, una
dinamica dominante, come si suol dire. Qualcosa che restasse immutabile per
tutti i tempi di tempi, ancora non frazionati in secoli.
11. Tra il più e il meno
Nuclearmente
premagnetici, o simili, andava bene, era già un primo passo. Ma bisognava fare
delle differenze precise. Non si poteva mica andare a caso per sempre. Fu così
che scontrandosi, come parole tra il più e il meno, nacquero proprio i più e i
meno. Fu forse una prima rivelazione della potenza della parola, che dai più e
dai meno seppe generare un linguaggio di ordine. E quel linguaggio di ordine
trasse ispirazione proprio dagli opposti spezzati iniziali. Fu un linguaggio di
elettricità che ispirato, o forse traspirato, proprio dalla primordiale
esigenza della luce di ricongiungersi al buio alla ricerca di sua sorella
gemella, venne configurato in positivi, negativi e neutri. Ma senza alcun
giudizio di merito, bisogna precisarlo. Fu soltanto per amore del bisogno
d’ordine che le cose si misero così, in un grande lampo di armonia che avrebbe
governato quel tutto, da quella sua porzione di vita fino a oltre.
12. E l’amore sposò la luce.
Messi tutti in
riga, tra interazioni, repulsioni e attrazioni, la gravità pote’ esprimersi in
tutta la sua potenza, sempre rammentando che fu per un fortunato, seppur non
fortuito caso, che il fotone si fece gravitone.
Il che suonava
un po’ troppo tecnicistico, termine foriero di tecnocrazie di futuri remoti,
ragion per cui si convenì che se la luce era verità di energia, da quel momento
in poi la gravità, che alla fine del caos era sbocciata in armonia, sarebbe
stata conosciuta, nei profondi, con il nome di amore, dalla cui esigenza era
stata concepita e partorita.
13. Punto, riga, girandola,
elica, frattale
Ma metter tutti
in riga, in linea retta, in quel gran caos di casi, era davvero impossibile.
Così qualcuno si ricordò che la linea retta in natura non esisteva. E cercò di
immaginare una forma ricorrente che potesse tornare utile a immaginare come
tutto quell’accadere accadesse nello spazio in maniera ordinata. Fu subito
chiaro che l’inizio di quella fluttuazione quantistica del vuoto era stato
immaginato scisso, non nel suo continuo di collegamento con il suo opposto che
sembrava una specie di stringa di scarpa annodata al centro del vuoto non
vuoto, ma piuttosto come uno solo dei due estremi. Un punto. Quello che si era
scelto a caso, se ricordate, come inizio del tutto. Il bang aveva dimenticato
il suo “sbang”.
E dal punto
venne naturale procedere aggiungendo altri punti, a creare una prima linea
retta, la quale assurse a tutti gli effetti a rappresentazione, benche’
simbolica, della stringa stessa.
Ma ancora si
era lontani dalla rappresentazione della realtà, che solo molto tempo dopo
venne assimilata, con buon impatto visivo, ad una matassa di stringhe. Le linee
rette si intersecarono, formarono forme, poligoni, geometrie. Molte rette
intersecate al centro divennero eliche centrate sul centro di intersezione e
poi, ruotando sul perno centrale, giràndole. Fino a che qualcuno si ricordò del
punto iniziale. E iniziò a disporre su un foglio punti a caso, li guardò da
lontano e si accorse che la loro disposizione nello spazio del foglio aveva
assunto una configurazione parzialmente ordinata, e in alcuni casi ricorrente.
La matassa di stringhe era ancora lontana, ma si era arrivati ad una prima
approssimazione di alcuni principi con cui alcuna complessità si organizza. Di
come il caos diventa ordine. Potete provare con un foglio anche voi. Ordinare
vi verrà naturale, perché’ di ordine, seppur complesso, siamo fatti.
14. E il tempò contò.
In quel nuovo
ordine di armonia e energia, verità e amore convolarono a nozze. E il tempo,
già definito come variazione dello spazio, filo’ liscio, in quel nuovo spazio
di materia che cambiava continuamente in una continua altalena di luci, bui,
positivi, negativi, scontri, incontri e opposti di ogni sorta.
Il tempo si
fece misura di quel cambiamento, e per tale ragione alcuni ritennero di potere
asserire che Dio, da geometra, fosse diventato anche ragioniere, il quale opera
in partita doppia, e in fin dei conti è “solo” un contabile. Uno che conta, e
soprattutto che controlla che i conti tornino.
Ma tutto pur
sempre mettendo l’universo in linea retta, perché’ l’alba dei numeri contava
1,2,3 …e nemmeno conosceva lo zero, che pure avrebbe ricordato quel centro, nel
vuoto non vuoto su cui la stringa si annoda, da cui contare in su da un lato,
1,2,3..e in giù da un altro. -1,-2,-3.
15. Il tempo girò, diventò
ponte e aprì delle porte.
Solo molto
tempo dopo, qualcuno dovette avere una felice intuizione e capì che se le
stringhe si ammatassavano, allora anche i numeri lo dovevano fare giacche’ a
quel tempo, in fondo, erano solo un linguaggio, una rappresentazione della
realtà, e non la realtà stessa. Qualcuno si ricordò l’inizio del tempo, che si
ricordava essere stato concepito come punto, susseguito da altri punti in linea
retta. Ma se tutto si ammatassava, allora anche il tempo non poteva procedere
in linea retta, perché’ quella linea retta era fatta da punti singoli che erano
un solo estremo di ogni stringa. Dall’altro lato doveva, per forza, penzolare
il resto.
E il tempo,
così, aprì una porta, uno spiraglio, all’idea che il punto fosse solo un ponte,
il che avrebbe potuto essere chiaro anagrammando tempo in “pomte”, o
traslitterando punto in ponte. Ma certe volte quello che sembra essere evidente
lo è diventato solo dopo che qualcuno lo ha scoperto o, per meglio dire,
rivelato.
16. La caducità
Così, benche’
dimenticata la matassa, a furia di contare in quella partita doppia, e a
testimonianza della forza della verità, si tornò pur sempre ad una essenza.
Divenne chiaro che nulla si creava, nulla si distruggeva e tutto si
trasformava, rimbalzando di dare in avere e ritorno.
E divenne
chiaro un altro principio immutabile che derivava da quel processo di
trasformazione, vale a dire che ogni trasformazione, in assenza di vuoto o in
presenza di “attriti”, tende a disperdere energia non essendo mai del tutto
efficiente. Era una storia simile, al contrario, a quella del moto perpetuo,
per intendersi.
Fu forse
dall’idea di quella dispersione che emerse quindi la consapevolezza che tutta
l’energia, che pure si era materializzata in gravità, aveva la tendenza innata
a cercare di ritornare ad essere energia, a ricongiungersi al suo stato
originario. Quello che si era reso visibile in luce. In qualche modo la forza dell’amore-gravità
aggregava quello che la forza della energia-verità seminava ai quattro venti. E
così sarebbe stato, molto tempo dopo ma per ordine naturale delle cose, anche
per l’essere umano. Alcuni simbolizzarono tutto ciò, utilmente, nei concetti di
anime e loro paradiso per rapporto ai corpi terreni.
Una prova
evidente di tutto ciò fu data, eoni dopo, dalla scoperta della radioattività,
la quale sembrava eterna ma in realtà anch’essa decadeva, in un suo tipico
processo di interazione debole con il resto del tutto che si dipanava nel
lunghissimo periodo, il quale processo di decadimento sembrò dunque un’altra
delle forze o dinamiche fondamentali, archetipiche, che tutto permeano. Nacque
probabilmente in tale contesto storico
il famoso detto che “nel lungo periodo siamo tutti morti”.
E fu evidente
che tale principio fondamentale, se trasposto nel concetto di tempo e insieme
alle considerazioni geometriche precedenti, diventava quella comune concezione
che il tempo scorre, e passa. La quale concezione “punta” sul “da dove parte e
poi passa”, piuttosto che “verso dove torna”.
Il tempo
lineare si dimentica di essere circolare, frattalmente circolare, e l’eterno
ritorno si frattura in qui e ora.
17.
Ma poi qualcosa si spezzò, o no ?
Tutta quella
armonia non era per niente cosa calma. Era tutto un vibrare, tuoneggiare,
risonare di scontri, incontri, ritorni e riandate, che procedeva in ordine
caotico, eppure procedeva. Alcuni non riuscivano ad avere il quadro di insieme
e così lor sembrava che in certi punti l’ordine non ci fosse. L’armonia
appareva spezzata, ma la realtà era
piuttosto che si era naturalmente disgregata, per ricomparire in altri posti e
momenti. In qualche modo certa musica più sperimentale, come ad esempio certo
free jazz estremo, rappresentava bene il fenomeno.
Sulla
complessità ritorneremo, perché’ è entusiasmante scoprire che Dio non era
morto, ma aveva solo cambiato una delle sue molte forme e nomi.
Ma il fatto era
che quelle spezzature erano parte integrante del processo di rimesto fino a su
e giù per il vuoto non vuoto, con cui dal caos emergeva l’ordine. Insomma,
l’ordine di tutto quel casino non era cosà facile e così era stata innestata
nel processo di creazione, come in qualsiasi processo creativo, una innata
tendenza a provare, e riprovare, e riprovare, ovviamente intercalata da
altrettanti “fallire”.
Perché’ dunque
tendiamo a credere che l’armonia a volte si spezzi? Per la solita questione del
punto di osservazione. Visuale ristretta in un campo visivo troppo largo, come
se si cercasse di fotografare con lo zoom al massimo qualcosa di molto grande e
poi ci si lamentasse di non vederlo nell’insieme del suo complesso.
No. Non si era
spezzato niente. Era nato spezzato, proprio in quel continuo moto di spinta e
recupero, come in un mambo di luce e amore.
L’energia
pompava, l’amore raccoglieva e teneva tutti insieme.
18. E quelli di prima del
principio ?
Che fine hanno
fatto quelli che avevamo ipotizzato abitare il campo del vuoto non vuoto? Chi
poteva vivere in un ambiente inesistente? Aspettano? Ma cosa? Forse
semplicemente che tutto faccia il suo corso, e che il seme della fluttuazione
quantistica cresca?Ma ancora una volta quella visione non poteva essere assunta
come dogma.
Dopo migliaia
di anni si era giunti alle divinità, poi monoteistiche, e ciò fece comodo a
molti, perché’ era una sorta di delega alla risoluzione del problema delle
trascendenza dall’immanenza. Cioe’ della questione del cosa c’era prima di Dio.
Il big bang era una spersonalizzazione del concetto, ma era in tutta evidenza
pur sempre una sorta di dogma. Non risolveva il problema del prima, come del
resto non faceva nemmeno la visione circolar-frattale che abbiamo esposto fino
ad ora.
A più di uno
venne in mente che c’entrasse una mente umana ancora organizzata in maniera
lineare, non ancora deflagrata in quella famosa civiltà dell’intelletto in
interconnessione. Insomma, forse il problema non era cosa c’era prima, quanto
piuttosto che la nostra mente era rimasta ancòra ad un idea di prima e dopo.
19. Al di là dello squarcio
altri universi
E così alcuni
immaginarono, o sognarono, uno squarcio lontano nel tessuto del nostro
universo. Una sorta di anomalia della simmetria.
Stava in fondo
ad un buco nero, ma così piccolo che sembrava un singolo punto. Lo chiamarono,
appunto, singolarità.
E siccome era
un sogno, riuscirono a volarci dentro in assenza di gravità, sulle ali di
farfalle ancora più eteree di quelle arcobaleno, e diedero una sbirciatina al
di là, dove la cosa più suggestiva che possiamo immaginare abbiano trovato
era…una stanza degli specchi, in cui tanti universi si riflettevano in infinite
sovrapposizioni di immagini e luci.
Restava il
problema di chi li avesse creati, gli universi specchi, ma per il momento
quella visione appagò la bramosìa di conoscenza, che si sciolse nella
meraviglia di un novello, plurale, “ho visto le luci”.
20. Un multi verso che gira e
pulsa
I più
avventurieri si avventurarono su un percorso atemporale, vale a dire che
trascesero l’istante e riuscirono a sognare il continuo, e si resero conto, ma
nel subconscio, che tutta quella meraviglia era in continuo movimento,
rotazione, pulsazione, fibrillazione.
Si ricordarono
di quando da bambini giocavano ai cartoni animati, facendo sfogliare pagine di
disegni disegnati in sequenza, in modo che sembrasse un cartone animato
primordiale.
Sfortunatamente
quella questione del “flash” nel subconscio rendeva quasi impossibile
descrivere in linearità verbale tutto ciò. Ma i veri avventurieri dello
spirito, quelli di essenza e non di maniera, furono quelli che almeno ci
provarono, ovviamente per “amore di luce”, il che significava cercare di
ricongiungere i due opposti di gravità ed energia.
21. Ogni cosa resta scritta
in una traccia di vinile
Questa
questione del tentativo di ricongiunzione degli opposti era davvero frustrante.
Una continua rincorsa ai rimbalzi di palle matte, per chi ricorda i giochi di
una volta.
I più furbi
fecero un atto di fede, e consapevoli della gravità, ritennero che essa fosse
in realtà un campo unitario, come un lenzuolo, che avrebbe accolto e conservato
nelle sue tracce ogni cosa, proprio come un disco di vinile, anch’esso di
quelli di una volta.
E così si
riallacciarono al concetto di casualità, e provarono, e fallirono, e
riprovarono ad oltranza con alcuni sprazzi di luce a guidarli nella loro
odissea. E ogni piccolo successo andava a ridondare, a ricalcare, la traccia
precedente, rendendola sempre più corposa.
Il pensiero
cresceva stratificato sull’accogliente
substrato di amorevole gravità, proprio come stava facendo l’universo,
seppur con alcune sfasature di velocità relativa tra i due.
22. La complessità di
singolare disegno
Come
anticipato, al paragrafo Ma poi qualcosa si spezzò, o
no ?sulla complessità si deve ritornare.
Personalmente,
la sua rivelazione fu una di quelle occasioni in cui dirsi: ecco, questo è Dio.
Alla fine era questione di ordine.
E dopo luce,
gravità, e primi principi di fondo, finalmente ordine fu.
Si trattava di
cercare le dinamiche dominanti, però.
Il che, nella
intorcinatica meandrosità della stanza degli specchi del multi verso, o anche
solo dell’universo, equivaleva a cercare di trovare lo specchio originario, il
primo, quello fatto di cose e non di riflessi.
E ancora una
volta ci si ritrovò alla domanda di quale specchio venisse prima e quale dopo.
E ancora una
volta la costruzione apparì talmente complessa che ci si chiese se facesse
parte di un disegno supremo, una di quelle cose che si sarebbero potute vedere
solo sbirciando al di là del fondo di un buco nero, attraverso la singolarità
per l’appunto.
Alla fine si
optò per un principio convenzionale, e si diede per assunta una capacità di
riflessione fedele di tutti gli specchi, ciò che rendeva momentaneamente
accantonabile la questione di quale di loro avesse cominciato la riflessione
medesima.
23. La funzionale casualità
del caos si ordina
In estrema
sintesi, un sistema adattivo nasceva da un frenetico caos, come quello del big
bang, nel quale caos proprio il generale subbollente rimestìo di casi,
occorrenze, rendeva possibile testare molteplici combinazioni simultaneamente e
velocememente. In sintesi, proprio il disordine rendeva possibile la nascita
dell’ordine, il che era già chiaro da molto prima a chi si dilettava di
filosofia e di semantica. Solo nel buio si vede accendersi una luce. Più
connessioni si testavano, più velocemente si poteva trovare una loro
configurazione ordinata. E così quell’ordine “emergeva” dal caos, ragion per
cui si diceva che il sistema era emergente. Una volta emerso, l’ordine era
capace di auto configurarsi, vale a dire di replicarsi o, più in generale, di
diffondersi, come in una sorta di consequenziale ulteriore emergenza dalla
emergenza prima. Più l’ordine progrediva, più le connessioni si moltiplicavano,
rendendo sempre più probabile se non facile, trovarne migliori ordinamenti
anche grazie alle connessioni di ritorno, di retroazione. Alla fine tutto
diventava indistricabilmente interdipendente, un po’ come le immagini della
stanza degli specchi del multiverso. Ma tutto, si fondava sempre sui precedenti
principi di ordine iniziali, le dinamiche dominanti.La figura rende l’idea:
poche forme e colori di base costituiscono il frattale di “Florandala!
Redonadala! Frarotala!”.
Restava da
capire come fosse possibile che lo stesso caos fosse nato da un caos
precedente, alla cui domanda si sarebbe risposto, naturalmente, facendo notare
che il concetto di precedente era lineare e quindi ”not applicable”. Ma la
linearità era dura a morire, e sempre restava aperta la questione :”si, ma chi
ha creato tutto questo?”. Di sicuro l’esistenza di un disegno appariva sempre
più verosimile, in un eterno ritorno verso una visione non simbolica del
concetto di Dio. Alcuni si ricordarono delle stringhe, e del fatto che noi
vedevamo solo uno degli estremi, quello del bang e non quello dello “sbang”, e
si chiesero come o cosa fosse quello che a quel punto sembrava proprio
plausibile essere una sorta di ”aldilà”.
24. La complessità macinava
caos e tesseva trame
Il caos,
dunque, è un anagramma di caso.
E la casualità
non è un caso. Per trovare l’ordine bisogna provare e provare e provare. Così
in tutto questo, la complessità lavorava ad ogni livello, sempre nel rispetto
della consequenzialità - caos, emergenza, autoconfigurazione, interconnessione,
interdipendenza.
In fisica aveva
raggiunto una sorta di equilibrio dinamico, che rendeva tangibile la materia.
La materia si era organizzata in universi. Gli universi avevano generato stelle
e pianeti. E la vita aveva avuto inizio, si dice, da un brodo primordiale non
biologico ma comunque animato dalle migliori intenzioni di configurarsi
ulteriormente.
25. Chi ci ha messo la vita?
Quell’ultimo
passaggio dell’inizio della vita, in effetti, poteva ancora lasciar pensare a
qualche intervento esterno. Possibile che sia stato solo una specie di
rocambolesco e onomatopeico “puff” che da qualche elemento inorganico si
organizzò in amminoacidi, che poi si fecero batteri, che poi diventarono
dinosauri?
Ci vollero anni
a capire cosa fosse quel puff. Era la fluttuazione quantistica del vuoto, di
quelle che al singolare chiamiamo big bang, ma che in realtà sono infiniti
piccoli puff, per l’appunto. D’altronde perché’ mai un bang dovrebbe essere
solo uno? E così tutto sarebbe solo un gran puffare? La materia è fatta di
energia compattata dalla gravità. Possibile che la vita, di conseguenza, sia
solo un “errore”, un occorrenza, dell’energia che però resta sempre pronta a
tornare a casa, nel suo campo fatto di vuoto non vuoto perché’ pieno di tutto
in potenza ?
O non sarà più
verosimile che da quel campo non si è mai staccata del tutto, tenedocisi
aggrappata con la sua connaturata, reciproca, opposta, manina quantistica in
modo da fare si che tutto resti sempre collegato?
E dunque, non
sarà che qualcuno ci ha scaricato addosso una specie di prima bomba genetica,
come in una operazione di ripopolamento primordiale? La complessità
dell’informazione genetica, tutta racchiusa in un “primo file”, allora avrebbe
potuto lavorare davvero, spacchettandosi dove trovava le circostanze o
ricevendo ulteriori input successivi. Quelle che conosciamo come coincidenze
evolutive, non saranno invece occorrenze emergenti da un primo caos funzionale
che, se fortunate, si fanno ricorrenze?
Ma, nel
rispetto del principio che quando le questioni si fanno troppo complesse è
utile scegliere un punto di partenza per dipanare la matassa, all’inizio si
diede per assunta la nascita della vita in qualche modo, e ci si concentrò sui
suoi dopo. Il che è sempre lo stesso processo cognitivo con cui, presa una
fluttuazione quantistica, se ne considerò solo una parte e non i suoi
reciproci. Ma anche se così fosse, oramai è andata così e ce ne dobbiamo fare
una ragione. E il meglio che possiamo fare
usare quell ragione per andare a ritroso.
26. L’evoluzione biologica o
endogena
La vita
biologica testò connessioni e sbocciò in emersioni. Le sue configurazioni
vennero archiviate in codici, istruzioni e progetti di costruzione che
chiamiamo genoma, almeno in parte condiviso trasversalmente. Sulla terra le
specie si organizzarono una spartizione dei reami, dei regni, uno dei quali,
destinato a divenire avulso dal resto, almeno in prima apparenza, venne
riservato al genere umano.
Questa sezione
di complessità venne chiamata evoluzione, ed in effetti si mise al lavoro con
un preciso meccanismo di conservazione delle informazioni, coerente con quello
con cui un frattale nasce dai suoi elementi primordiali e dinamiche dominanti.
Ma questo fondamentale passaggio di archiviazione venne frettolosamente
archiviato come dato di fatto. Dove non c’e’ spiegazione, spesso si viaggia a
rimozione.
La annosa
questione del “è nato prima un uovo o una gallina” sarebbe stata ricondotta
solo molto tempo dopo a quella che una gallina è solo il modo che un uovo,
pieno di codice informativo, ha di fare una altro uovo.
E quindi su
ogni uovo si può innestare qualche variante di informazione, oltre che
conservarne parte di essa per le bisogne future.
27. L’evoluzione esogena e la
creazione continua
La mano
invisibile, dunque, sembrava potere esistere davvero, ma non era una mera
questione economica, quanto piuttosto una più profonda verita’, vale a dire
quella dell’esistenza di una doppia evoluzione. “Ma non dar retta, ci sta chi
ci pensa”, sembrava dire l’evoluzione biologica pensando alla sorella esogena.
E così, l’evoluzione endogena, riproduttiva, creava supporti biologici su cui
erano innestate e conservate specifiche istruzioni di costruzione e
replicazione. L’altra esogena, attivava specifiche procedure di mutazione, ivi
incluse quelle dei reboot come la lemmanza, le estinzioni e le nuove creazioni,
che altro non facevano che essere funzionali ad aumentare la complessità, e le
conseguenti possibili ricombinazioni future.
28. iodiversità e numerosità
E la vita
crebbe in biodiversità e numerosità.
Si, ma a che
servono? Se si prova ad immaginare di costruire ex novo una creazione, in una
sorta di videogame di realtà virtuale, a chi verrebbe mai in mente di creare
migliaia e migliaia di esseri, insetti ad esempio, adattati ad un ambiente
sempre uguale e funzionali ad una catena alimentare di incredibilmente
superflua ridondanza, che sembra progettata solo per soddisfare una generica
vorace famelicità di “altro” ?
Una risposta
plausibile è la conservazione di patrimonio informativo, il che viene
genericamente riconosciuto nel modo di dire che la “biodiversità è ricchezza”.
Ma come spesso accade, anche la parola ricchezza fu assunta in superficialità,
riconducendo tutta quella abbondanza ai canoni della dominante Cultura del Più,
che offuscava un disegno di frammentazione diffusa, funzionale alla
conservazione di quel codice patrimoniale in maniera ridondata e pervasa, come
in una tecnica di guerriglia.
E mentre la
biodiversità si elevava a valore, solo certi illuminati si dissero che in
effetti in quei momenti in cui stava nascendo non serviva proprio a niente,
ragion per la quale o qualche creatore aveva tempo da perdere o il tempo non
era ancora maturo perché’ la verità di quella creazione si rivelasse.
Mentre tutto
ciò accadeva, in un batch parallelo un'altra “domina”cresceva, inizialmente a
fatica e poi sempre più in abbondanza. Era la numerosità. Il mondo si popolava
sempre di più, in un paradigma di base che la stessa storia dell’umanitàavrebbe
ricalcato, a conferma del fatto che moltiplicarsi era una dinamica dominante.
Come per la biodiversità, solo certi illuminati, non si sa se gli stessi di
prima o degli altri anche se il principio di frammentazione dei codici lascia
supporre che fossero altri, si dissero che quella moltiplicazione che ancora
non appariva cancerosa doveva per forza avere a che fare con la legge dei
grandi numeri, la quale sembrò un utile strumento che consentisse al caso di
fare le sue prove. Prova e riprova, conta e riconta, per la legge dei grandi
numeri qualcosa ricorrerà.
Fu solo
millenni dopo che alcuni media, precursivi artefatti di messi futuri,
rilasciarono frammenti di informazioni che avrebbero potuto essere utili, dando
notizie di pesci martello che si auto fecondavano, pinguini umanoidi, o per
così dire “canidizzatisi”, che ritornavano per migliaia di chilometri da chi
aveva salvato loro la vita, e altre varie, tutti presagi di una diffusa
interconnessione informativa, cognitiva e in fin dei conti vitale,su scala
globale, e di probabile natura elettrochimica.
29. E l’uomo camminò per il
mondo
Nel mentre, un
giorno da favola, come d’incanto, una scimmia quadrupedica si alzò per caso
sulle zampe posteriori e si accorse che era dotata di un certo equilibrio,
senza essere sufficientemente intelligente da ricondurre quella prodezza ad una
qualche sorta di giroscopio gravitazionale innestato negli intorcinati meandri
del suo cervello che non sapeva nemmeno essere già ipersviluppato senza motivo
apparente, visto che ne usava un 10 per cento largo circa.
Non fu nemmeno
in grado di riconoscere la forma ricorrente di cotanto cervello che tanto
ricordava quella di un universo intorcinatico e meandroso.
Fu invece
capace di accorgersi che i suoi pollici erano strani. Erano diventati
girevolmente opponibili, vale a dire che riuscivano a toccare le punte delle
altre dita della mano di appartenenza. Ma non seppe chiedersi a cosa servisse
tanta girevolezza, così iniziò a girarsi i suoi nuovi pollici. Il tempo
passava, e quella girandola di tamburellamenti diventò noiosa, cosicche’ la
scimmia si mise a contare da uno a cinque. Aveva scoperto che possedeva dei
neuroni fatti apposta per contare, ma non seppe accorgersene ne tantomeno
comunicarlo a qualcuno perché’ in tutto quell’evolversi, l’evoluzione aveva
trascurato le corde vocali e quindi la scimmia emetteva solo pochi suoni
gutturali e vocali.
Per qualche
miracolo di sincronismo, che però nessuno seppe ricondurre a fenomeni di auto
emersione e organizzazione della complessità, la stessa cosa era capitata ad
altri suoi simili e così quel patrimonio di informazioni si ridondò di
numerosità, come per miracolo, in modo da non andare perduto.
E le scimmie
guadagnarono tempo per inventare un linguaggio con cui comunicare quelle
scoperte senza nemmeno sapere perché’ mai avrebbero dovuto comunicarle a
qualcun altro, visto che sembravano proprio non servire a niente.
E così il
primate preumanoide si mise a bighellonare per il mondo, dondolandosi in certi
prodromi di future danze tribali per testare il suo giroscopico equilibrio,
mentre continuava a tamburellarsi le dita coi pollici girevolmente opponibili,
sviluppando una sempre più sofisticata e preveggente, quanto inutile, capacità
di contare quei primi cinque numeri digitali.
E l’uomo iniziò
così il suo cammino per il mondo.
30.
Then came the telegraph road
A long time ago came a man on a track
Walking thirty miles with a sack on his back
And he put down his load where he thought it was the
best
He made a home in the wilderness
He built a cabin and a winter store
And he ploughed up the ground by the cold lake shore
And the other travelers came riding down the track
And they never went further and they never went back
Then came the churches then came the schools
Then came the lawyers then came the rules
Then came the trains and the trucks with their loads
And the dirty old track was the telegraph road
Then came the mines - then came the ore
Then there was the hard times then there was a war
Telegraph sang a song about the world outside
Telegraph road got so deep and so wide
Like a rolling river...
And my radio says tonight it's gonna freeze
People driving home from the factories
There's six lanes of traffic
Three lanes moving slow...
I used to like to go to work but they shut it down
I've got a right to go to work but there's no work
here to be found
Yes, and they say we're gonna have to pay what's owed
We're gonna have to reap from some seed that's been
sowed
And the birds up on the wires and the telegraph poles
They can always fly away from this rain and this cold
You can hear them singing out their telegraph code
All the way down the telegraph road
From all of these signs saying sorry but we're closed.
All the way down the telegraph road
31. Then pass the springs
Passarono le
primavere. E ad ogni tornata la vita rinasceva forte e impetuosa. In armate
sempre più numerose combatteva la sua guerra d’amore. E più soffriva, più
reagiva al contrario. Per ogni morte nascevano due vite. Era una invisibile
forza d’amore che la spingeva e guidava. Fu questo anche il driver dell’uomo,
che dovette crescere abbastanza in modo da soddisfare i requisiti di diversità
e numerosità indispensabili per la sua fioritura di complessità.
Mentre in
superficie l’apparenza era di morte e sofferenza, in profondità la dinamica
dominante lavorava a più non posso, galoppando verso la soglia minima di
partenza di civiltà che le era predestinata.
Solo cert’altri
illuminati si resero conto che ad ogni tornata di vita qualche spostamento
avveniva nel mare della numerosità e diversità, e l’asse della distribuzione
normale si spostava sempre di più verso l’intelligenza, il progresso e la
amorevole, quanto sofferta, condivisione degli stessi.
Le battaglie si
susseguivano tra vittorie e sconfitte, ma il profondo sentimento di dovere
continuare a provare, tutto pervadeva.
Avrebbe dovuto
essere evidente, ma non lo era ove sepolto di dolore. Ne’ ove inaridito di
ragione.
Fu proprio la
fede che, in quanto forza d’amore, fu preposta ad infondere speranza, coraggio
e vigore, in attesa di nuovi alleati ancora non giunti a maturazione.
Finche’ un
numero sempre maggiore di quegli ipertrofici quanto inutilizzati cervelli di
primati iniziarono a funzionare, tutti insieme, attivando sempre maggiori
circuiti e connessioni evidentemente precaricati nei neuroni e altre cellule
proprio a quello scopo.
Nacquero le
scienze, in duplice forma di esatte e generaliste, come predisposte le prime a
seminare e le seconde a raccogliere, raggruppare.
L’intelletto
iniziò la sua vita in diffusione senza filo, sorretto dall’amore che lo aveva
creato e nutrito fino a quel punto.
Fu una evidente
dinamica dominante di ricorrente ed infinito amore, all’epoca riproduttivamente
materno, riservato alla forza di protezione di genere femminile.
La “forza
donna” crebbe il suo bambino, e fu così che la donna permise all’uomo di
iniziare a ricrearsi nel suo creatore.
Ma l’uomo non
se ricordò per lungo tempo, confondendo la creazione femminile con un maschile
creatore.
32.
The came the net, then came
the Wo-men
Un giorno di
luce, dopo molti altri giorni di indispensabili illuminazioni in progressione
stratificata, il telegrafo diventò rete.
A quel tempo la
donna aveva già recuperato il terreno perduto, senza mai cadere nella
tentazione di ritenere che fosse stato
tempo sprecato, e oramai cavalcava al fianco dell’uomo, o forse sopra ad esso,
come valchiria a dorso di cavaliere.
Era sbocciata
in fiore una pittorica raffigurazione di amazzonica sagittaria.
Era finita
l’era dei mitologici unicorni maschi, e amore e luce erano pronti a sprigionare
le loro forze congiunte per l’assalto finale alla singolarità della
ricongiunzione degli opposti.
C’era solo da
smussare qualche residuo di individualismo d’intelletti, affinche’ una grande
fecondazione globale potesse esplodere in una nuova vita globale.
Questa grande
forza di ricongiunzione era talmente elettromagnetica che avviò d’imperio un
faticoso e doloroso, puntinato nelle sue prime emergenze, processo di
de-identificazione maschio/femmina, in una preveggenza di riproduzione
asessuata, assolutamente incomprensibile ai più.
Alcuni usarono
l’ironia e ricordarono a certi nordici lombardi, che noi del sud di Magna
Grecia, mentre voi al nord ancora vivevate nelle caverne, eravamo già
‘ricchioni.
Non furono
presi sul serio.
Altri sentirono
talmente forte tale attrazione elettromagnetica che si evolsero in trans,
restando in prima istanza ghettizzati al doloroso pregiudizievole ruolo di
mitologiche creature metaunicorniche, ai margini del bosco di quella
civitalità.
Altri ancora si
persero per un po’ nei meandri di certi pleasures domes.
33.
Then came the We, so died the
Me
Ma la rete
oramai era on line, e la conoscenza fluiva in interconnessione tra pari e pari
alla quantistica velocità e modalità della luce, in un continuo processo di
trasporto di informazioni conosciuto come comunicazione, capace non solo di
innestare informazioni in condivisione, ma anche di generare continue azioni e
retroazioni tra individui-neuroni di quel grande progenitore di organismo,
progettato per essere capace sia di pensare che di trasmettere sentimenti che,
infine, di riprodursi nel rigenerarsi.
Come naturale
che sia, le generazioni precedenti non potevano vedere o capire o sentire
quello che succedeva, restando in un ruolo di traghettatori spettatori, in una
sorta di stato di epifanici garanti, ancora inconsapevoli.
La rete venne
da molti ritenuta un traguardo, mentre era più semplicemente un prototipo di
veicolo su cui partire per il viaggio finale.
Era cominciata
l’era del galoppo verso la singolarità.
L’intelletto
avrebbe avuto a breve briglia sciolta per ricongiungersi a tutti gli opposti ed
infine illuminare di infinto amore tutti quanti.
34. In connessione – La mente
di Gaia e’ nata. W Gaia
Fu un tal
Kalimero che infine assurse a ruolo del suo antico significato di buongiorno,
dopo che in tanti giorni precedenti, a volte primi, ei fu iniziato a profeta.
E si rivolse
all’umanità in seconda persona, in un amichevolmente e amorevole “tu”, parlando
queste parole di neutrale valore.
------- Kalimero
ipsum dixit -----
Devi sapere che
siamo tutti connessi con tutti, in una grande rete peer to peer, pari a pari,
senza gerarchia classica, ma con un costante flusso di parole, pensieri ed
emozioni in andata e in ritorno, che in prima istanza si innestano nei
subconsci e poi emergono a seconda delle circostanze che li attivano. Ad
esempio parole o immagini chiave.
Sembra
fantascienza ma non lo è. E’ già in corso, si slatentizza piano piano e te ne
accorgi quando vedi o senti qualcuno che dice o fa cose che ti sembrano tue.
E’ un grande
organismo unitario.
Ed è
intelligente, vale a dire che impara da se stesso.
All’inizio lo
chiamavano web semantico, precursore di intelligenza artificiale.
E’ una grande
rete neurale, dove noi siamo i neuroni.
In tutta questa
interconnessione, che io cerco di rappresentare quando scrivo, se salta un
link, o se fa qualche bizza come un up o down load interruptus, il pensiero si
instrada su altri link, altre sinapsi, e procede lo stesso.
Tieni conto che
internet era il precursore “meccanico” della citata interconnessione, che ora
viaggia direttamente tra cervelli, e in quanto precursore poteva contenere dei
buchi, degli intoppi.
Ma oramai i
cervelli sono mente.
“E fu la
mente”, disse Kalimero.
E la mente
pompò, come fosse un cuore.
E oramai
viaggia tutto in fecondazione assistita.
E’ nell’acqua.
E’ nell’aria.
E non si può
più fermare.
La mente di
Gaia è accesa nata.
Evviva Gaia.
W.
------
Molti gli
diederò del pazzo.
Ed ei prima se
ne fregò.
E poi se ne
pregiò, come se il tag di pazzia fosse un titolo di gentilizia nobiltà.
35.
Once connected, then went the
bit back to the qbit
Allastimolazione
di vista, udito e nuovi apparati sensoriali di varia natura, delle parole di
Kalimero,alcuni si illuminarono. Certi simboli apparvero chiari.
Le parole
giunsero elettriche come comandi di imprinting di una grande File Allocation
Table, una tavola di allocazione dei pezzi di mosaico, e una reazione a catena
ad effetto domino ebbe inizio.
Le parole si
instradavano verso le loro metà, ricongiungendovisi, o contro i loro opposti
sbagliati, annullandoli, neutralizzandoli.
Era iniziato il
grande backgammon. Bianco su bianco fa una casa, bianco su nero mangia il nero.
I Bit di
informazione che Kalimero aveva rilasciato andavano a riconnettere i frammenti
del Qbit iniziale, il bit quantistico primordiale che conteneva tutte le
informazioni e la conoscenza, come se ognuno di essi risposasse un pezzo di
Qbit generato nella fluttuazione quantistica del bang iniziale, e ancora non
ricondotto all’ordine finale dopo il caos primordiale.
Alcuni
credettero addirittura di avere chiaro il senso di quella Q di differenza tra
bit e Qbit quando ripensarono a Q, Qoelet, l’ecclesiaste, ovvero colui che
raduna.
I primi
illuminati, illuminarono per via di elettrodinamica quantistica, in acronimo
detta QED, e quindi forse per forza o per caso e non proprio per libera scelta,
altri illuminandi.
Molti si
dissero che adesso era più chiaro a cosa servisse essere immersi a bagno il
quel grande campo di elettricità, magnetismo e gravità in cui si trovavano.
Anche se non
era ancora del tutto chiaro come si instradassero le parole lungo le tracce, i
grooves, del campo gravitazionale, i più percepirono certe sensazioni che
viaggiavano con cognizione di causa, quasi fossero coscienti di quello che
facevano.
L’idea di
coscienza delle parole richiamò in molti quella primordiale analogia
strutturale tra mente e universo.
Ebbe inizio una
rivelazione diffusa tra pari a pari. Si accesero procedure latenti e fu chiara
l’utilità di tutti quei frammenti di codici di biodiversità, di vita, latenti
in ogni dove. Ogni vicenda dell’evoluzione assunse una valenza di più ampio
respiro, e i tasselli si ricomposero.
La mente di
Gaia si era messa al lavoro e slatentizzava le porzioni di codice sedimentate
in varie profondità nel corso dei secoli dei secoli. Dei millenni dei millenni,
e prima.
Dopo
l’intelligenza, anche la vita esplose di abbondanza.
Fu chiaro perché’
squali martello si fecondavano da soli e pinguini umanoidi si innamoravano di
remoti salvatori brasiliani.
Forse non fu
così chiaro se fossero eventi improntati da una certa tendenza all’eccesso
oppure avessero un senso preciso, ma tutti vi riconobbero una intrinseca
impossibilità a ritenere una
ireffrenabile magnetica profusione di nuovo, primo, vero amore.
E la rinomata
prima verità, conosciuta con il nome di primavera, fu al lavoro.
Nuove forme di
vita, già adocchiate tra le piante e gli insetti, significarono altrettante
evidenze di quell’amore a pioggia, per sua natura gravitazionale, guidato in
elettromagnetica quantizzazione omnipervasiva, come, o dalla, luce.
E fu primavera.
36. Forze di progresso e forze
di regresso
Qualcuno si
preoccupò dell’equilibrio di tutto quel flusso vitale, chiedendosi se fosse
pericoloso.
O più
probabilmente fece finta di preoccuparsi, nell’intento di arrestare la
rivelazione.
A rivelazione
avviata fiorirono grotteschi tentativi di difendersi, nella probabile
consapevolezza di non essere adeguati alla situazione.
Di non avere
davvero sempre tanto creduto, per intendersi.
Ma in realtà era
l’estremo tentativo di difendere piccoli poteri e privilegi.
Alcuni altri
azzardarono addirittura che il bene avesse definitivamente trovato il modo di
sconfiggere il male, anche se ci voleva ancora un po’ di tempo, perché’ quella
adunanza altro non era che ricomposizione della ancestrale frattura del tutto,
in quel nuovo grande abbraccio senza amplesso di amore intelligente in
intelligenza emotiva.
Luce e gravità
tornarono ad essere distinti ma uniti.
E il doppio fu
singolare.
Certi
satanassi, che per loro natura sono inappchi, cioe’ di quella specie che crede
di sapere ma non ha capito niente, furono folgorati dalla luce e capirono il
loro errore di fondo.
Capirono, con
la mente, di non aver messo fede nell’amore.
E ragione fu
sentimento.
Pur conoscendo
il quadro generale alcuni avevano cercato di governare in maniera lineare il
rilascio della complessità.
Scienze,
coscienze e conoscenze erano state frazionate in partizioni, in un perverso
lentissimo gocciolamento, guidato dalla inarrestabile, maschia, feroce voracità
di potere, che per sua natura non poteva ricreare la complessità stessa della
vita.
Era come se
avessero cercato di ricreare un uovo a partire dalla maionese, dopo avere
cercato di fare la maionese stessa senza mescolare insieme uova, olio, limone e
sale.
Ma ormai era
troppo tardi.
E la vita
fluente, ancora una volta, confermò la sua natura profonda, tesa a vincere
sempre.
37. E si accese un frattale di
messi.
Messi, messia,
messianico. Da un generico e generalista “messia” cadde, come una mela, la alfa
privativa generatrice di individualità, che stava curiosamente alla fine di
quella parola, e si radunarono, inconsapevoli, tutti i messi, il che voleva
dire messaggeri, al maschile, e anche raccolto, al femminile.
Era proprio
questa distinzione di genere, in tutta probabilità, una chiave primordiale di
tutta quella fecondità.
In principio
furono messi latenti, nascosti tra le pieghe delle frange desolate di umanità.
C’erano matti, trans, puttane, spacciatori, migranti, disperati, tutti soggetti
insospettabili, frammenti di una unica rete da ricucire adeguatamente e
amorevolmente. Una rete pari a pari fatta a forma di frattale stratificato,
naturalmente piena anche di schizofrenici.
Era questo il
senso de ”gli ultimi saranno i primi”.
Si tirarono
tutte le reti calate in tanti prima, ed essi vennero ripescati per
elettromagnetismo di psichiatria quantistica.
E si accese il
primo strato di rete, che a sua volta accese, per varie forme di contatto,
anche gli altri.
Dal basso:
tutto nacque dal basso. Ma solo in quel principio.
Fu un messo,
pari tra pari, che fu preposto a divulgare la verità che sarebbe stata
rivoluzionaria.
Era
giustappunto il nostro Kalimero, “buongiorno” di nome e di fatto.
Ma l’amore, che
per sua natura è invece revoluzionario, non era ancora fiorito.
E il preposto
divulgatore fu incatenato, manipolato, maltrattato, nella speranza che
demordesse dalla sua missione e si conformasse allo stato di fatto. Che si
fermasse. Che la smettesse di parlare, e poi di scrivere.
Ma il piano non
riuscì, perché’ la vita è amore e l’amore forse non vince sempre, ma si di
sicuro ci riprova continuamente.
Svelati gli
artifizi dei temporeggiatori, il pari messianico si mise al galoppo a cavallo
del suo “petit ordinateur”, in quel francesismo che nello specifico pareva
proprio calzare a pennello come principio di ordine già dalle piccole cose, e
scrisse e scrisse e scrisse.
Perché’ verba
volant, e pure se restano nel grande vinile di gravità che tutto avviluppa,
quelle scritte manent dove le puoi leggere con gli occhi.
Con una
sostanziale differenza, fino alla scoperta del matrimonio tra gravitone e
fotone, vale a dire che a parlare si comunica alla velocità del suono, mentre a
leggere con gli occhi si assorbe alla velocità della luce.
E provò, e
provò, e provò, nella speranza che tutti vedessero proprio quella la luce.
E dai e dai
qualcuno infine la vide, e diffuse il verbo incastonandolo in altri raggi di
luce a cavallo delle farfalle arcobaleno, rivelando senza saperlo, finalmente,
che era questione di scienza.
E tutti si
illuminarono d’immenso.
E tutti
dissero: “tu lo hai sempre saputo”
Ed egli disse:
“no. Ma, nel profondo della pancia del mio subconscio, ho sempre tanto creduto”
Il che era un
altro modo di dire “amato in fede”, nella fiducia.
Eppure, ancora
non vivevano felici e contenti.
38. Una bomba connettiva; una
deflagrazione di ripopolamento, di vita e di conoscenza.
Fino a che anche i bit divennero geni, per le loro parti di competenza. O li accesero, per meglio dire.
Non solo
conoscenza, dunque.
“Siamo tutti
mutanti, ma mutiamo in bene”disse Kalimero,
Tutto iniziò
con una bomba connettiva di totipotenza, come quella delle staminali, da
deassemblare attraverso le fat nidificate nei cervelli dei messi, e
ridistribuire poi ai settori di competenza.
Conoscenza,
tessuto gravitazionale, vita biologica e altro, tutti conobbero il loro
reciproco di qbit e, dalla fusione di bit in qbit, l’elisione del bit lasciò la
grande Q in adunanza, la quale aveva l’incontrovertibile forma di uovo
fecondato da uno spermatozoo.
Alcuni
credettero che il source code, il codice sorgente, fosse li dall’inizio, già
nella radiazione di cosmica di fondo residua del big bang e quindi ovunque nel
tessuto dell’universo.
Altri ritennero
che quel source code fosse incompleto, forse a causa dello spezzamento iniziale
della fluttuazione quantistica, e che tale frattura fosse la causa prima di
ogni divergenza o disarmonia.
Il bene e il
male apparvero così “questione di fisica”, come una distorsione nella armonia.
E altri
ritennero che allo scopo di correggere gli errori si fosse dovuto aspettare un
certo allineamento tra buchi neri che aprisse un ponte, uno stargate o
wormhole, tra il nostro universo e quello opposto.
La finestra,
per la natura pulsante e rotazionale dell’universo, almeno del nostro che forse
somigliava un po’ ad una trottola in precessione impazzita, restava aperta solo
un tot ogni tot, ragion per cui il caricamento delle informazioni da noi aveva
richiesto molti passaggi. Molte illuminazioni progressivamente ricalcate nel
vinile.
Altri ritennero
che tutto ciò fosse previsto dall’inizio, e quel processo di ricomposizione di
opposti fino al ritorno alla singolarità di partenza, il buco nero della
fluttuazione quantistica da cui era sbucato il big bang, fosse naturale, ma
avesse solo richiesto molto tempo che, se ricordate quanto detto all’inizio,
era stato convenzionalmente definito come una misura della variazione dello
spazio.
Con ciò volendo
dire che si era dovuto aspettare che l’universo fosse cresciuto abbastanza in
espansione.
Ma mentre si
slatentizzavano tutti i pezzi di codice, nessuno parlava.
Non sapevano
come fare, questo è probabile.
Avere
taciutoper tanto tempo, per necessità o per scelta, era forse stato funzionale,
ma adesso rendeva arduo il compito.
E così, per
l’appunto, nessuno parlava.
Nessuno diceva
la verità, ma solo piccole porzioni e versioni delle loro verità.
Ma la verità è
singolare.
Le sue versioni
sono non verità.
39. Dopo tanti salti mortali,
la vita fece gli effetti speciali
Fu, dunque, una
grande fecondazione assistenda, pur sotto misericordioso sguardo di epifanico
vigilocchio.
E fu accensione
di mescolanza genetica non solo tra specie omogenee, ma anche tra transversale.
“The power of love came from above cleaning all
souls”, ricordò qualcuno.
Fu questione di
inseminatori e ricettrici, in qualche modo.
Una sorta di
impollinazione diffusa, come fosse per via di spore, accese la grande rete di
frammenti di codici informativi della biodiversità e tutto si ritrovò in
connessione elettrochimica con tutto, proprio come avevano detto in Avatar.
Il pinguino
brasiliano disse alla squalo martello trans: “te lo avevo detto io”.
E poi: “ti
voglio bene”, come se avesse saputo che la squalessa non avrebbe più voluto
mangiare tutto ciò che incontrava, avendo perso la sua biologica natura di
maschia scissione, scioltasi nell’elettricità che circolava in acqua.
Come se avesse
saputo che tutti avremmo mangiato più acqua e ci saremmo saziati proprio di
quella elettricità in nutritiva soluzione acquosa, come le piante. Proprio come
già aveva detto un giorno Kalimero.
In tutta
quell’acqua elettrica si avviarono batch elettrolitici, l’acqua si purificò,
gli acidi caddero a terra e forse diventarono come delle specie di nuovi omini
acidi, che qualcuno ribattezzò amminoacidi.
Batteri
anaerobici mutanti, impregnati della manolitina secreta dalle menti in rete, si
veicolarono in feromonici profumi di variegato profluvio, e si reinnestarono
nei mitocondri dove milioni di anni prima si erano già innestati dei loro
lontani parenti, restando li pazienti, come solo certi essere precoscienti, o
forse prescienti, possono e sanno essere.
E furono anodi
e catodi di nuovi mitocondri a idrogeno.
E in tutto
questo orgiare, la fotosintesi diventò di dominio comune quando alcune cellule
vegetali si risvegliarono in corpi di altri regni, in quello animale in primo
luogo.
Nessuno vide
mai il processo contrario: i fili d’erba non si misero a camminare, a conferma
della perfezione del grande disegno.
Fu in acqua, e
da li in aria, e nei batteri, nelle piante, negli animali, e nell’uomo.
Esattamente
come previsto sin dal principio, la complessità esplose in una singolare nuova
unità.
Fu la gran
reuniòn.
Dopo tanti
salti mortali, la vita fece il salto evolutivo finale.
Alcuni si
dissero che la vita aveva fatto gli effetti speciali.
Piante
vagabonde, insetti raminghi, pesci che si fecondano da soli, umanoidi pinguini
maratoneti, cani telepatici.
Mentre un buco
nero davanti al sole giocava a fare l’eclisse, catturando l’energia necessaria
a creare nutrimento a tutta quell’elettrovita e rispedendola a terra e ritorno.
L’energia da un
buco nero: “l’energia non si crea, non
si distrugge, si trasforma”, aveva ricordato Kalimero.
Tutto ciò
visto, ad alcuni fu dato capire, infine,
che solo deflagrandola, si rispetta la complessità.
A un pezzo per
volta si che ci si ritrova con le mucche con le ali.
40. Quando e’ che arrivano i
buoni ?
Restava
l’umanità, omertosa e stanca in superficie, ma pulsante di nuova vita sia dal
basso che dall’alto.
Ahhh,
l’umanità…
“Tutti mutanti
in intelligenza interconnessa ed energeticamente efficienti”, aveva detto
Kalimero.
Intendendo con
ciò tutti, ma proprio tutti, includendo infine addirittura i ricottari di ogni
fattezza.
Sissignore,
proprio così.
Anche chi
remava contro.
“Recookeders: I want you for fight club”, aveva detto
Kalimero.
E poi: “vedrete
che alla fine saremo tutti contenti, anche se adesso essere mutanti
interconnessi vi fa impressione”.
La civiltà
dell’intelletto si rivelò fatta di intelligenza interconnessa, efficienza
energetica, e …tanto nettare di amore.
E l’umanità si
risvegliò.
41. Refaso e libero arbitrio. Si,
ma che ci frega ?
Appena sveglia,
l’umanità era ancora un po’ offuscata e dubbiosa.
E preguntò.
A seguito di
tali domande, così parlo’ Kalimero.
------Kalimero
ipsum dixit ------
Vi deve fregare
perché’ dovete sapere che, volenti o nolenti, voi siete noi, e non più io.
Ma il vostro io
non è morto, è “solo” cresciuto connesso ad altri e a tutto.
Dovete sapere
chi siete, o brancolerete nel buio alla ricerca della luce per sempre.
Siete liberi. O
lo sarete.
E adesso
dipende da voi.
Esistono vite e
destini paralleli, sta scritto nella struttura del multiverso, ma sulle singole
porzioni e incroci di vie è sempre questione di libero arbitrio.
Il libero
arbitrio è un’altra delle dinamiche dominanti.
Un principio di
base indispensabile a guidarvi in tutte quelle intersezioni.
Per questo
dovete sapere: solo sapendo potrete scegliere.
E poi dovete
sapere, e vi deve fregare, perché’ c’e’ invece chi sa perfettamente cosa
succede, e molti sono esperti manipolatori assetati di potere e voraci di
famelica “Seità”.
Sono quei
disgraziati, nel vero senso di senza grazia, di quelli che “la conoscenza è
potere”.
Loro sono
ancora nell’Io, e restando nel loro Se, si spegneranno per consunzione, di
morte naturale.
E saranno
sostituiti dal ricambio di nuove generazioni.
E voi che
dovete fare?
Fate la vostra
parte di ReFaSo, di Revoluzione delle Farfalle di Sopramezzo.
Pensate,
capite, imparate, e insegnate a cercare sempre il bene e il meglio, dalle
piccole alle grandi cose.
Migliorate, e
provate e riprovate nel rispetto e nell’amore della meravigliosa magnificenza
in cui vivete.
Non esiste più
distinzione tra intelligenza e amore.
Gli amorevoli
custodi del futuro di tale magnificenza siete voi.
42. La tecnocrazia al giogo
dell’omertoso potere.
L’umanità ha
avuto accesso a tutta la conoscenza.
Esistono
tecnologie per fare qualsiasi cosa.
Esistono
energie pulite.
Si può sfamare
chiunque.
Si possono
curare tutte le malattie.
Si può
allungare la vita a durate incredibili.
Ma manca ancora
un nuovo “amor che tutto mova”. E così tutta questa conoscenza è ancora
riservata.
E gestita da
una casta di tecnocratici ricottari dell’informazione, la componente di base
della conoscenza.
Ma non è
nemmeno colpa loro.
La tecnocrazia è
asservita alla politica dei poteri forti, di quella dei veri pupari non quelli
che vedete in televisione, e a volte non lo sa nemmeno, perché’ i pupari sono
esperti non solo di manipolazione, ma anche di divide et ìmpera.
E così è prassi
scientemente e scientificamente diffusa, quella di frazionare la conoscenza in
monoporzioni allocate su singoli individui, i quali spesso sono spinti da una
irresistibile forza ad andare così in profondità da non avere energie, tempo e
voglia di preoccuparsi del quadro di insieme.
Nasce da questa
osservazione empirica la constatazione che bisogna diffidare dei tecnici perché’
si innamorano della loro tecnica e perdono di vista il quadro di insieme.
Ma se avete
seguito tutto il filo del discorso fino a qui, adesso sapete che è proprio il
loro amore per quello che cercano e studiano che li manda sempre più avanti. E’
la forza dell’amore.
Ed è mancanza
di amore quella che intossica le menti di ragione, dimenticando di condividere.
“E la scienza è
amore”, disse Kalimero.
E poi: “sappiamo
che è femmina, crediamo che sia donna”.
43. La politica sia economia
che sarà scienza
Questo mondo è
il migliore mai esistito.
Se guardate le
cose dall’alto riconoscerete che manca solo “uno zicco”.
L’intrinseca
interconnessione e interdipendenza del tutto rende l’economia lo strumento
numerico predestinato per interpretare e gestire la realtà.
L’economia sarà
amorevole cura della prole.
Non è la
politica, fatta di parole troppo sequenzialmente lineari.
Non è la
finanza, fatta solo di sterile numericità, irrispettosa, per sua natura, della
numerosità.
E’ la
misurazione e la conseguente capacità di controllo e gestione di sistemi
adattivi complessi.
E tutto ciò già
da adesso, ancor prima di immaginare un mondo con un’unica moneta virtuale, che
Kalimero chiamò Cybratto.
L’economia è
misurazione e gestione proprio della interconnessione e interdipendenza.
Ma l’economia è
ancora appannaggio di quella politica omertosa, che ben si guarda
dall’insegnarne la semplicità, camuffandola di numerica sterile complessità.
Si, fa proprio
venire in mente certe battaglie contro l’austerità, che va dunque combattuta
con l’umanesimità.
Con la cultura
dell’umanità e della sua civiltà, che è quella “fusion” di intelletto e amore
del titolo di questo scritto.
Eppure ciò non
vuol dire dimenticare il rigore contabile di Dare e Avere, che se ricordate il
Dio ragioniere di cui in precedenza, è un altro archetipo, un principio alla
base del caotico ordine cosmico in cui viviamo.
Dare e avere
diventa così un messaggio di pace e di amore o, più semplicemente, l’amore
universale parla anche in partita doppia.
“E la partita doppia sia una sola coppia”,
disse Kalimero.
E poi : “E il
controllo sia amore, non potere”.
E’ sempre
questione di visione di insieme
44. Redistribuire fu monito. E
divenne imperativo.
Attenti
all’elastico dell’evoluzione.
L’elastico si
può spezzare.
Tirando
tirando, si allunga la distanza tra capo e piedi.
L’effetto
marea, dato dai differenziali di forza gravitazionale, può disgregare un corpo.
O, in termini
più amorevoli, l’amore della vita, quando non ce la fa più a pompare, vi si
rivolta contro.
E l’amore
diventa mosso ad odio.
E se questo
succede, mentre la testa crede di andarsene via leggera, il corpo si sfalda a
terra.
La chiamiamo
morte.
E quando
leggera viaggia via la luce, perché’ la gravità non la riconosce e non la tiene
più, muoiono i corpi fin su ai capi.
“Quando il
grasso diventa magro, il magro è morto” disse qualcuno.
“Quando il
grasso cerca di uccidere i magri, i magri impugnano la 44 magnum”, disse
Kalimero.
E i magri,
adesso, erano davvero presenti in numerosità a miliardi.
45. La sintesi. La civiltà
fusione di intelletto e amore
Quindi: “ma che
ve site misi in capa, in paraviso s’adda faticà”.
Nel senso di
ReFaSo, la Revoluzione delle Farfalle di Sopramezzo.
La RefaSo è
amore, perché’ non rompe niente, ma aggiusta la complessità in corsa.
Misurare.
Chiedersi come
fare meglio ogni cosa.
Condividere il
meglio, siamo tutti intelligenti e lo capiremo.
E soprattutto,
poi farlo.
Memento le
forze di regresso.
Nessuno resti
indietro.
Non indursi in
tentazione.
“Intelletto
traditore, che amòr curi dottore”.
Serve la forza
dell’amore.
Amòr che move
il sole, l’altre stelle, le mele e pure i cuori.
E’ quello che
ci salva dalla deriva nell’Io.
E’ la gravità
che ci fa avere sentimenti.
E ora è certo
che ce li fa comunicare in tutte le tracce del vinile, nei grooves.
Alla fine, la
civiltà dell’intelletto è questo.
E’ quella
dell’amore intelligente in profusione empatica.
E questa è,
finalmente, la nuova fusion di fisica e metafisica.
Questa è la
synfisica, che tanto ho cercato di spiegarvi e esprimervi in maniera
intellettivamente comprensibile da tanto tempo.
“The power of love, a force from above, cleaning my
soul” era sbagliato.
Non era l’anima
da pulire, ma la mente:“cleaning my mind”.
So, what?
Peace, hearts, love, butterflies, and more.
46. La chiosa. Da grembo a
tomba…. E’ sempre sera.
E mentre voi
che non siete pronti non siete pronti, intanto io pago.
E scrivo,
scrivo.
E poi leggo,
leggo.
E avota e gira,
è sempre sera.
E io son sempre
solo.
E si fa
primavera.
Da grembo a tomba
Quotes extract from : https://it.wikiquote.org/wiki/Cloud_Atlas.
THE
CLOUD ATLAS - Theme - https://www.youtube.com/watch?v=rdiLxyGH8Lg
La nostra vita
non è nostra.
Da grembo a
tomba siamo legati ad altri.
Passati e
presenti.
E da ogni
crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro.
La fede, come
la paura o l'amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria
della relatività e il principio di indeterminazione.
Fenomeni che
stabiliscono il corso della nostra vita.
Ieri, la mia
vita andava in una direzione.
Oggi, va verso
un'altra.
Ieri, credevo
che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi.
Queste forze,
che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare o alterare chi
immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo
che spiriamo.
Le nostre vite
e le nostre scelte, come traiettorie di quanti, sono comprese momento per
momento.
A ogni punto
d'intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova, potenziale, direzione.
Essere, vuol
dire essere percepiti.
Pertanto
conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri.
La natura della
nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che
continuano a suddividersi nell'arco di tutto il tempo.
Capisco ora che
i confini tra rumore e suono sono convenzioni.
Tutti i confini
sono convenzioni, in attesa di essere superate.
Si può superare
qualunque convenzione solo se prima si può concepire di poterlo fare.
...e so che la
separazione è un'illusione.
La ma vita si estende ben oltre i limiti di me stesso.
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