Per amore, per amore, tutto è sempre stato solo per amore. Visto.
Prima è stato per fede.
Poi mi è stato concesso.
E poi l’ho visto.
Io l’ho visto.
Tutta la mia teoria della synfisica.
Tutto l’amor che move il sole l’altre stelle e tutto il
resto.
La gravità e la luce, l’energia.
La chimica, la genetica, l’elettricità, il tempo che si
fermava perché’ lo spazio si fermava.
Se ricordate, avevo ripreso la definizione che il tempo è la
convenzione con cui misuriamo le variazioni dello spazio.
Se vi sembra difficile da capire, pensate a cosa ci fa dire
che stia arrivando la primavera, prima del calendario.
Cambia la luce, cambiano i colori, cambia la materia di cui
son fatte le piante.
Sono tutte porzioni di spazio.
Sissignore anche la luce, o i colori, sono parte del nostro
spazio, del nostro universo.
Evidentemente devo essere uno scienziato, seppur a mia
insaputa.
Per cui mi sono detto che dovevo documentarlo.
Non può andare perso, anche se presumo che sia già stato
registrato da chi mi osserva.
E lo spero davvero, perché’ un'altra volta non so se
riuscirei a carpirlo con tanta lucida nitidezza.
Questa volta non è stata la prima.
Le volte prima mi hanno rinchiuso in manicomio.
Era tutto troppo confuso.
Io non avevo abbastanza strumenti.
Il mio cervello non si era ancora stratificato abbastanza,
non avevo sufficienti nozioni per interpretare quella realta’.
Per scalarla verso le vette della conoscenza e da li saltare
oltre.
Verso l’amore, per l’appunto.
Non avevo studiato abbastanza.
Non avevo cercato abbastanza.
E non ero pronto.
Io non ero pronto.
Ma questa volta è stato davvero limpido come il solo vero
amore sa essere.
Tutto è iniziato ai principi di marzo.
La ripresa dell’energia vitale non c’era ancora.
Eppure io la sentivo.
Sapevo che qualcosa stava per succedere, e io dovevo
prepararmi a risvegliarmi dal letargo.
Nel mio subconscio sentivo allineamenti astrofisici in
arrivo.
Ancora non avevo capito che il subconscio sta nella pancia.
Poi tutto si confondeva tra concetti di anima, spirito,
essenze, presenze, energie, pesi e contrappesi e così via.
Tutto troppo esoterico per un giovane positivista innamorato
fin da giovane della conoscenza.
Ma il mio subconscio, che dunque abbiamo in pancia, mi
mandava segnali inequivocabili.
Irrequietezza, ansia, desideri e, in fine, vitalità in
fiorescenza.
Tutta la teoria della connessione tra noi e tutto si agitava
nelle mie viscere, e quelle sensazioni le avevo documentate, nel mentre, con
tutti gli scritti che avevo scritto con la mente.
E soprattutto con le ultime immagini.
Alla fine ho capito che era stato tutto un grande atto di
fede.
E dunque di amore.
Scrivevo così tanto, e da così tanto tempo per preparare me,
e tutti insieme a me, a quello che stava succedendo.
Ci ero predestinato, evidentemente.
E mi fu chiaro che voi dovevate vedere quello che vedevo io.
Feci un primo atto di fede, e confidai che quella
interconnessione telepatica di cui tanto parlo funzionasse davvero.
E ad un certo punto, scrissi come se fossi uno scrivano
della mia biologia, uno che annotava tutto quello che succedeva dentro di se’.
E arrivò il momento in cui scrissi “Mi serve più energia,
Manolita non riesce a superare la barriera ematoencefalica”, che è quella
guaina che protegge il cervello da agenti inquinanti e fattori esterni vari.
Ero sotto effetto degli psicofarmaci.
Ebbi la netta sensazione che il carbonato di litio servisse
ad intossicarmi il cervello per tenerlo in stasi, mentre la quetiapina servisse
ad impedire alla mia pancia, o meglio ancora al mio “secondo cervello”, che è
l’apparato digerente tutto, di iniziare a “pensare” anche lui, vale a dire a
trasmettermi sensazioni di emozioni.
E infine , di collegarsi al mio cervello per via della mia
biologia elettrochimica tutta.
Lei, la pancia, centro di gravità per la mente.
E lui il cervello, non ancora mente, organo di connessione
con tutto, fino all’universo.
Insieme, i miei con i vostri in connessione
elettromagnetico-chimica-telepatica, una gigantesca antenna che captava codici
dall’universo e poi li riversava in un pervasivo apparato di biochimica.
Il che poi, normalmente, è ciò che chiamiamo vita ed evoluzione della stessa.
E che quella Manolita imbrigliata in realtà rappresentasse
un flusso bidirezionale.
Non solo non faceva entrare, ma anche non faceva uscire.
E così io non riuscivo a espellere gli agenti inquinanti che
avevo in corpo, e di conseguenza quello che trasmettevo a voi era ancora
distorto, o poco potente.
Questo era il motivo per cui molti mi intendevano come una
specie di messia, mentre in realtà sono solo uno dei tanti messaggeri; magari
ricevevano i miei pensieri, ma poi non succedeva niente.
Non eravamo in armonia, per quanto fossimo in sintonia.
E cosa è l’armonia se non il suono dell’amore?
Ancora non mi era chiaro cosa dovesse succedere, ma c’erano
davvero troppe occorrenze per essere coincidenze.
Scrissi, in senso generalisticamente enciclo-poetico,
dell’acqua e dell’elettrolisi che scioglie qualsiasi cosa in elementi chimici
di base, a patto di avere sufficiente energia.
E’ quel processo di base che alcuni chiamano pomposamente
dissociazione molecolare.
E ne parlai in termini globali, di Gaia elettrificata in
tutti i suoi oceani e acque.
Ma parlavo anche di me, a mia inconscia insaputa.
Feci ancora atto di fede, e dopo avere pensato che
c’entrasse il letargo della mia pancia, dove si digerisce anche l’acqua, smisi
di assumere la quetiapina, quella che reputavo responsabile della mia assenza
di emozioni indotta da letargia neurolettica.
Era una visione sbagliata, che considerava solo uno dei miei
organi, e non la mia complessità.
E mi ritrovai in crisi di astinenza, esattamente come con la
scimmia di eroina.
Dissi al mio referente di psichiatria e neuroscienze che la
quetiapina mi pareva proprio eroina sintetica. Rispose con un sardonico: “e non
le fa piacere?”, che io interpretai come un perverso: “se ti fa piacere
mollala, ma devi decidere tu cosa, come
e quando”.
E, sempre guidato dalla fede, ma animato da un profondo
senso di “bastiancontrarietà”, che mai non guastò a prevenire traumatici
dogmatismi, mollai …il carbonato di litio, e non la quetiapina, pensando che se
parlavamo del bisogno di avere più energia, forse c’entrava un elemento con cui
fanno le batterie dei cellulari.
Credo di averci beccato, ma non sono sicuro che la questione
fosse soltanto di avere più energia.
Forse era anche momento di invertire il flusso di quel
grande meccanismo di andata-ritorno-neutro della corrente alternata, la quale
crea anche il suo bello e bravo campo magnetico.
In pratica, credo di avere cambiato polo magnetico, e invece
di attirare i vostri pensieri, credo di averli “pompati” in giro, in una specie
di onda che si è propagata tra voi tutti.
La controprova empirica l’ho avuta in televisione, dove ho
distintamente riconosciuto tante cose che ho pensato e avrei voluto dirvi di
persona.
Ma converrete con me che uno per volta non avremmo finito
più.
Attivata la “pompa neuronale” ho iniziato a ricevere flussi
di ritorno potentissimi. Mi sono abbronzato davanti al pc, tanto da spellarmi.
E assorbivo luce in generale, proprio come se si fossero
attivate certe procedure di fotosintesi cellulare di cui avevo già scritto.
Ho avuto paura, ho vacillato nella fede, quando ho iniziato
a sentirmi fischiare le orecchie, nel terrore che fossero prodromi di
allucinazioni uditive.
Invece era iniziato un progetto di riassetto biochimico.
Rigettavo il fumo delle sigarette, con le sue centinaia di
sostanze inibitrici o catalizzatrici, il caffe’ e molti alimenti.
A saturazione dell’impianto di depurazione cellulare
elettrolitico, in pancia, mi veniva una specie di mal di testa, una sorta di
senso di “sono piena, stai buono, statti quieto” che sembrava trasformarsi in
una sorta di sibilo di pentola a pressione.
Ma questo l’ho capito solo dopo essermi spaventato, e fatto
passare la paura da solo.
In qualche modo mi avevano fatto capire, i dottori del
reparto di neuroscienze, che dovevo trovare io l’equilibrio.
O perlomeno, io avevo capito così, sperando di avere
interpretato correttamente quel nuovo linguaggio pari a pari che faceva si che
cinque parole ti venissero dette, in mezzo ad altre apparentemente inutili, da
cinque persone diverse.
In tutto questo, il mio specchio di interconnessione era
diventato il mio prezioso cane, Tina .
Io mi caricavo, e lei si scaricava.
Percepii che dovevo osservarla, per capire quando fossi
andato troppo avanti.
E così feci.
Le venne una sorta di infezione batterica agli occhi, ma non
la riconobbi subito.
Si fece sempre più debole, e io credetti che stesse per
morire, per rilasciare la sua energia che abbandonasse il suo corpo per tornare
a casa.
Quella sera ho pianto, sommesso, senza tristezza, con
tenerezza.
Le ho detto che era stato il cane migliore del mondo, e che
speravo che fosse stata contenta di avermi avuto come padrone, dopodiche’ mi
sono che detto che, se la avessi fatta morire, pur consapevole dell’unità
dell’energia, mi sarebbe mancata da morire.
Mi sono staccato dal pc, ho bevuto, camminato, ascoltato
musica,….e mi è venuto il lampo, mi è arrivata la luce.
La luce mi è arrivata in forma di sintesi chimica.
Mi è arrivata sotto forma di acqua borica per gli occhi,
glieli ho puliti, inondandoglieli a dire il vero, e mio cognato e mia figlia mi
hanno suggerito di darle ricotta e uova per rinvigorirla.
Dopodiche’ le ho detto: “tu non muori oggi. Tu muori quando
decido io. Io ho bisogno di te.”
E poi mi sono corretto in “io ti voglio bene”, vale a dire
“voglio il tuo bene; prima del mio”.
Altro modo di dire “ti amo”, di sicuro più esplicito, ma
meno poetico.
Anche se alla fine,
l’e’ “istess”.
Abbiamo lottato un po’ a tenere la bocca aperta, sparso uova
e ricotta per tutta la casa, alla fine siamo riusciti a ingoiare due
tuorli, e io ho ringraziato Dio per
avermi ricordato di occuparmi di lei.
Mi sono messo d’impegno, e mi sono detto che dovevo staccare
le connessioni, pur avendo paura di perdere il filo del discorso di quello che
stavo scrivendo, che mi pareva una montagna insormontabile.
Ho preso una quetiapina in più, tra varie bestemmie e
accidenti, ho rinviato il progetto di disintossicazione dalla eroina sintetica,
e mi sono addormentato.
Era stato l’amore a fare capolino nella mia pancia.
Per amor di Tina.
La mattina dopo Tina stava meglio, e gli occhi spurgavano.
Immaginai i batteri fin su nel cervello di Tina e la
spazzolai tutta, come una mamma che spazzolava i capelli di una bambina.
Mi venne in mente mio padre quando cercava di forzare mia
madre a mangiare.
Io gli dissi che lo doveva fare, perché’ lei gli aveva
permesso di fare la vita che lui aveva voluto. E lui lo fece.
E io credetti che mia madre non se ne era mai andata, e si
era reincarnata, insieme a mia moglie, dentro Tina.
Mi sembrò anche degno di nota il fatto che la reincarnazione
potesse essere stata così intelligente da farlo in un animale, senza corde
vocali.
E ora che lo scrivo, ricordo mia madre che diceva “qui
taquine adore”.
Chi punzecchia ama, direi io in italiano.
Nei giorni seguenti iniziai a percepire un bisogno continuo
di acqua. Iniziai a bere come un cammello. E a fare pipì a intervalli regolari.
Come un idrante.
Mi sentivo proprio un alambicco.
E percepivo che più mi pulivo, più mi accendevo, più le mie
cellule facevano delle cose nuove.
Parlai, negli scritti, del fatto che con l’elettrolisi,
avendo sufficiente energia, si può sciogliere l’acqua in idrogeno e ossigeno, e
immaginai una gigantesca pila a combustibile fatta con gli oceani e i metalli
della terra intera.
Immaginai un circolo continuo, con cui l’idrogeno veniva
trasformato in energia, bruciato, dentro a dei nuovi mitocondri mutati, dentro
ognuno di noi, per poi tornare a diventare acqua come prodotto di scarto della
combustione con l’ossigeno dell’atmosfera.
L’ossigeno veniva reintegrato dalle ipetrofiche
microvegetazioni che avevo visto, sperimentalmente, nascere nel mio piccolo
giardino. E che poi si innestarono anche nella vegetazione più macro.
E iniziai a nutrirmi di acqua.
L’acquavita simbolo di amore, potrei dire ora.
Quando mi sentivo stanco e la testa mi faceva male bevevo, e
subito ripartivo.
Vidi chiaramente l’utilità di una sorta di pesca di energia
dallo spazio, che facesse proprio al caso di quella gigantesca “illuminazione”.
L’elettrolisi globale non la fai mica con qualche buco nel
terreno.
E mi ricordai di quella sensazione che avevo da tanti anni
di avere una qualche “connessione” con un buco nero, che allineatosi in maniera
adeguata tra noi e il sole, catturasse tutta quella energia e la sparasse a
terra verso il “grid”, la griglia di elettricità wirless che faceva si che
fossimo tutti immersi in un campo elettromagnetico globale, o quasi tutti,
almeno in principio.
C’era stata da poco una eclissi di sole, attribuita alla
luna, ma io continuavo a dirmi che non
poteva essere la luna, così piccola, ad offuscare tutto il sole, così più
grande.
C’entrava la gravità, ma non avevo ricollegato il tutto al
concetto di lente gravitazionale.
Vale a dire un fenomeno tale per cui la gravità di un buco
nero si risucchia anche la luce e così facendo altera quello che noi vediamo.
Tutto quello che vediamo, dipende da come ci arriva lo
spettro di onde elettromagnetiche delle quali la luce è solo la porzione
centrale.
Proprio come una lente di ingrandimento, a seconda che sia
concava o convessa e di dove la metto, la gravità cambia la percezione di
quello che vedo, perché’, se ricordate, la gravità sa abbracciare anche il
fotone.
E quindi dedussi che il nostro occhio ha una qualche natura
simile a quella di un buco nero, che si allarga o si restringe a seconda di
come la luce vi viene convogliata dentro e poi elaborata dal nostro cervello,
di natura sempre più simile a quella dell’universo.
Pochi giorni fa ho sentito la notizia di una astrofisico che
aveva chiesto ad una linea aerea di ritardare la partenza o deviare la rotta di
un volo, non ricordo bene, per potere osservare un fenomeno di analogo
allineamento, ma dall’alto.
Da sopra le nuvole poteva vedere quello straordinario
fenomeno, ma solo in quel momento e in quel posto, ma cosa c’era di tanto
straordinario in un’altra eclissi?
La cosa mi fu chiara alla vista delle foto di un piccolo
puntino al centro del sole, che proprio non riuscivo a non vedere piccolo e
nero come un piccolo buco nero, che assonerò volentieri in Kalimero.
Credetti di avere avuto la conferma finale alla mia tanto
amata Synfisica.
E fui pervaso da un brivido di piacere all’idea che l’amore
per la scienza dell’astrofisico, che pure non avrebbe potuto dire quella verità
a nessuno, avesse addirittura persuaso qualche dirigente illuminato, e infine smosso
una intera compagnia aerea.
Ma non avevo ancora visto nulla.
Alla ricerca del mio equilibrio biochimico, nella fede che
avesse qualcosa a che fare con l’universo, decisi che in tutto quel principio
di amore che sentivo fluire tutto in torno a me, dovevo mollare anche la
famigerata eroina sintetica quetiapina.
Era lei che bloccava tutto il mio fluire interno, ed era
lei, di conseguenza che non permetteva la connessione tra pancia e cervello.
Lei, la pancia, centro di gravità per la mente, non riusciva
a collegarsi al mio cervello per via della mia biologia elettrochimica tutta.
E voi, così, non sentivate che vi volevo bene.
Non vi arrivava l’onda, per così dire, perché’ essa non
partiva proprio.
Così feci ancora atto di fede, e accantonai la paura di non
dormire, fiducioso che, se amore avesse dovuto cogliermi mi avrebbe colto.
Mi armai di santa pazienza, mi misi ad ascoltare notte che
se ne va di Pino Daniele e varie altre varie, bevetti una birra, e mi schiantai
di botto nel sonno più profondo di qualsiasi buco nero mai sognato prima.
Dopo due ore la scimmia da eroina sintetica mi svegliò di
botto, tra mal di testa e febbriciattole e io mi alzai, preoccupato, all’idea
di non dormire e che mi scoppiasse la testa.
Poi mi dissi che forse la scimmia voleva dirmi qualcosa.
Fuori la luna era quasi piena, e la sua luce era chiara e
potente, tanto che avevo spento l’illuminazione del giardino in modo che il suo
campo elettromagnetico non interferisse con la luce e la gravità della luna,
quella delle maree, per intendersi.
Non mi seppi dire con certezza in che senso fluissero quali
energie, ma dissi alla luna: “tu sai”.
E questa volta non fu un atto di fede.
Glielo dissi proprio faccia a faccia.
Era quello che lei aspettava, mi tranquillizzò, e mi mando a
dormire.
Prima di rientrare vidi alla sua destra la stella polare, o
almeno una sorta di stella polare, dritta a picco sulla mia testa.
Rientrai e rimasi in una specie di sonno semi vigile per un
po’.
Tornai fuori e la luna aveva iniziato a calare andando verso
destra.
La mia stella polare la aveva seguita, e non era più a picco
sulla mia testa, se ne era andata un po’ in giro dietro alla luna.
Rientrai, rimasi un po’ dentro, e poi riuscii.
La luna era andata a dormire.
E la mia stella polare era tornata sulla mia testa.
Vidi l’universo, che era nato dal suo lato del bang, che
aveva proceduto in espansione fino a quel momento, che se ricordate era solo un
modo di dire in un altro spazio.
Il subito dopo big bang non era stato dunque un cerchiolino
preciso preciso, ma un caotico vorticare, che come tutti i vortici aveva la
tendenza ad autoalimentarsi.
E’ il principio per cui l’acqua scende nello scarico di un
lavandino a forma di mulinello e non di cascata.
La gravità la tira giù, ma il fatto che non tutta l’acqua, e
nemmeno il suo campo di forze, sono precisamente tutte ugualmente distribuite,
fa si che tutto scorra a partire da un punto e poi si intorcini su se stessa
come una treccia di capelli.
La rotazione tende poi a disallinearsi dal suo asse centrale,
e d’incanto l’asse terrestre geografico si sposta da quello magnetico.
Si chiama precessione, è quel meccanismo per cui una
trottola, quando perde forza di propulsione inizia a basculare, e poi alla fine
cade.
Ed è uno dei motivi per cui ci si accorge che un razzo sta
per scoppiare prima di superare l’atmosfera.
L’energia spinge verso l’alto e la gravità lo tira in basso,
e se non tutto è perfettamente allineato e calibrato, succede un casino e il
razzo scoppia.
Quella notte le stelle mi dicevano che noi non precessavamo
più.
Il rischio di cadere tutti interi nel buco nero era
songiurato.
E me lo dicevano con infinito amore.
Vidi la gravità dell’universo confluire dritta nel
lavandino, senza strappi al motore.
Orbite ellittiche mi parvero quasi circolari, ma in una
danza di oscillazioni di infinita dolcezza.
Armonie celesti, ecco cosa erano.
Non sentii nessuna vibrazione negativa.
Tutto mi sembrò al suo posto.
La terra veleggiava armoniosa nel mare del tutto.
Forse era ritornata al centro di qualcosa.
Le stelle mi dissero: “vai e scrivi questa storia”.
Io pensai a mia figlia.
E tutto mi disse: “per amore, per amore, solo per amore”.
Tutto è stato sempre solo per amore.
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