Il
titolo di questa raccolta è “La revoluzione delle farfalle di sopramezzo”
E’
un concetto antitetico a quello di rivoluzione, e fa riferimento piuttosto ad
una costante evoluzione in successivi aggiustamenti progressivi.
Nello
specifico ci riferiamo ai seguenti due titoli
Clò.
Clò
siamo tutti noi.
Clò
è l’uomo qualunque che tutti sono o possono essere.
Si
tratta di un uomo le cui principali caratteristiche genotipiche sono la
razionalità
(intesa in un senso precipuo, soprattutto come precisione nel calcolo perenne)
e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri affari individuali.
Ricerca
che lo porterà ad andare ben oltre l’interesse esclusivo per la cura dei suoi
propri interessi individuali.
In
questa costante ricerca farà molte cose e si troverà in molte situazioni, dalle
quali cercherà sempre di cogliere il loro funzionamento.
E
che cercherà sempre di rendere migliori, ovvero più funzionali, in assoluto e
non solo rispetto a sé.
Clò,
quindi, è uomo economico, ma è anche ingegnere.
Colui
che usa l’ingegno non solo per capire come le cose funzionino, ma soprattutto
per fare funzionare quello che non funziona “a dovere”.
A
volte quello che non funziona è il se stesso, che tratterà con la stessa
logica.
E’
in questo senso che Clò è al tempo stesso artefice, regista e spettatore di
quella che chiama Revoluzione Perenne.
Il
riferimento è a
Aldous
Huxley e alla sua
Filosofia
Perenne, una raccolta di citazioni che
si riferiscono a una "realtà divina
consustanziale al mondo delle cose, delle vite e delle menti".
La
filosofia perenne è infine una psicologia che scopre nell'anima qualcosa di
simile alla realtà divina, o addirittura di identico ad essa.
In
questo senso va intesa l’idea di Ri-evoluzione Perenne.
Una
costante ricerca evolutiva che parte dall’osservazione e apprendimento della
realtà e cerca di evolverla oltre se stessa.
Clò
è un uomo qualunquemente economico, che vive una vita di economia pratica, e
che cerca sempre di evolvere, sé e la realtà, per renderli compatibili, e
infine consustanziali.
O
forse, per dire meglio: “per renderli compatibili, e infine coerenti con la
loro consustanzialità”.
Tutto è economia
Apparirà sempre più chiaramente come tutto sia economia.
Seppur sia innegabilmente vero che l’economia non è una
scienza, stante l’incapacità attuale di fornire generali modelli di previsioni
replicabili, l’economia è dappertutto.
E forse questa è proprio la ragione per cui essa non è
ancora scienza esatta.
Forse è talmente omnipervasiva e variegata, da risultare
“troppo tanta” per essere inquadrata e ridotta agli attuali schemi conoscitivi.
Proviamo a rileggere le prime righe della la definizione di Wikipedia - Economia, che offre sempre buone sintesi.
Come già detto in premessa, emergono 3 punti fondamentali.
1. Per economia - dal greco οἶκος
(oikos), "casa" inteso anche come "beni di famiglia", e
νόμος (nomos), "norma" o "legge" - si intende :
·
sia
l'organizzazione dell'utilizzo di risorse scarse (limitate o finite) quando
attuata al fine di soddisfare al meglio bisogni individuali o collettivi,
·
sia
un sistema di interazioni che garantisce un tale tipo di organizzazione
(sistema detto anche sistema economico).
2. I soggetti che creano tali
sistemi di organizzazione possono essere persone, organizzazioni o istituzioni.
3. Il sistema economico, secondo la
visione dell'economia di mercato nella moderna società occidentale, è
·
la
rete di interdipendenze ed interconnessioni tra operatori o soggetti economici,
·
che
svolgono le attività di produzione, consumo, scambio, lavoro, risparmio e
investimento,
·
per
soddisfare i bisogni individuali e realizzare il massimo profitto,
·
ottimizzando
l'uso delle risorse, evitando sprechi e aumentando la produttività individuale
nonché attraverso la diminuzione del costo del lavoro.
E come già detto in premessa, è ormai evidente a tutti, che
soprattutto con riferimento all’ultimo bullet, l’economia reale è altra cosa
rispetto alla teoria.
L’economia
è il tentativo di governare tramite rappresentazione numerica i sistemi
adattivi complessi ed infine è misurazione e governo dei processi e dei
comportamenti
emergenti o autoaggreganti.
Inoltre,
tutto è sistema emergente autoconfigurante. Non solo i casi citati da
Wikipedia, nella precedente definizione.
Quindi,
se tutto in quanto sistema adattivo complesso è economia, l’economia bisogna
assimilarla il meglio possibile.
Tenendo
conto che in quanto processo di costante misurazione delle interrelazioni, è
finalizzata all’efficienza. Questa è la sua ragion d’essere.
Nell’assecondare
questa sua natura intrinseca, inoltre, essa interagisce con le altre scienze.
Con
la biologia, con la fisica, con l’informatica e così via.
Ma
fa di più che interagire.
Offre
una piattaforma di valutazione funzionale e comparativa, valida per tutti i
suoi attori partecipanti.
Un
giorno avremo capito che l’economia può stabilire un nesso causale tra il
“battito d’ali” di un fremito di un foglio di carta su cui è stampata una fattura
e la vendita di un appartamento in un altro continente.
Allora
sarà davvero “la” scienza.
E
allora vedrete che diremo : “Ah, l’economia ….: una volta ci disgustava, ma
oggi ci strabilia”.
Questo
fa Clò, si prepara e si affina in un costante percorso di consustanziazione con
l’habitat economico in cui vive, nella fantasia che un giorno tutto ci stupirà
per quanto è chiaro.
Questa
è la confusione che si fa comunemente.
I
soldi, che nascono come strumento, hanno la miracolosa capacità di abbindolarci
tutti e diventano obiettivo ultimo.
Proprio
per la loro caratteristica univocità e fungibilità con se stessi, perdono
completamente la caratteristica di interconnessione e interdipendenza immanenti
all’economia reale, e liberi da catene materiali si librano tra i pensieri come
una divinità trascendente.
Ecco,
questa, secondo noi è l’essenza del problema.
Se
per comperare una bistecca io posso dare un pezzo di carta è evidente che la
bistecca non la assocerò con la mia fatica di 3 ore da falegname.
E
fine ultimo del mio lavoro non sarà più costruire belle sedie, ma trovare il
modo di guadagnare più soldi.
Nel
racconto delle esperienze di Clò, emerge poi un altro problema dei soldi, vale
a dire che quando infine te li trovi in mano, allora scopri la loro
evanescenza.
E’
come se quando te li trovi in mano, ti accorgessi di botto che tutto quello che
volevi comprare non vale niente.
Aveva
una valore solo perché non potevi averlo.
E
quindi ora che puoi averlo, vuoi qualcos’altro.
Alcune
volte, i più evoluti lungo la via della ricerca del “
Nirvana
mobile” arriveranno così ad una consapevolezza più elevata: “vorranno non
volere”.
Questo
capiterà a Clò.
In
ogni caso, quando la moneta sostituisce la consapevolezza di interconnessione e
interdipendenza, allora la frittata è fatta.
A
quel punto l’economia non è più come un bel cervello pieno di sinapsi attivate,
ma è diventata gelatina morta in cui ogni neurone dialoga solo con se stesso.
Questo
fanno i soldi : come strumento di sintesi estrema, annullano l’identità dei
componenti che assommano, ed infine si sostituiscono ad essi.
Solo
conoscendo la complessità, si potrà arrivare ad ammirare la sintesi di tanto
mondo che una banconota contiene.
Insegnare
questo spetta a chi ha il privilegio di poterlo fare.
Chi
vive una vita di stenti, guerre e miseria non ha il compito di farlo, piuttosto
quello di pretendere che altri lo facciano.
Ricapitoliamo
molto in sintesi.
In
ambito di economia, uno dei modi in cui si realizza la Revoluzione Perenne è
così riassumibile.
1. Consumate meno. Condizionatevi a
riconoscere e neutralizzare i condizionamenti che vi impongono.
2. Educatevi, ed educate, al
risparmio perenne
3. Quando avrete il risparmio,
usatelo come volete. Ma cercare di convertire spese inutili in cose utili in
senso allargato. Utili per tanti e non per pochi.
4. Questa è l’essenza di ciò che si
chiama investimenti, che dovrete cercare ovunque nel mondo.
Essere revoluzione e porsi la
domanda se qualsiasi cosa può essere fatta meglio.
L’uomo
si sveglia presto.
Appena
sveglio il primo istinto è quello di alzarsi. Mentre sta per farlo, interviene
un antagonista neurale che gli dice di guardare l’orologio.
Senza
sapere perché’, l’uomo si asseconda. L’orologio segna le 4 e 30.
Ripensa
a quello che si canterà nei giorni seguenti e che conosce già, perché’ mille
volte cantato nei giorni precedenti.
Si,
early va bene, ma questo è “too early”, si dice. Non va bene. Non è la
normale.
Provo a riaddormentarmi.
Si
ridistende sul letto e nemmeno fa in tempo che interviene un altro antagonista
neurale che gli dice di assecondare il fisico. “E’ meglio così”, vuole dire. Se
pensavi che l’ottimo normale fosse alle 5.00, puoi usare qui 30 minuti per
risvegliarti ascoltando musica”.
I
due antagonisti e l’uomo fecero un compromesso. Ci alziamo alle 5.00, e usiamo
questi 30 minuti per caricarci fino alla sveglia, restando stesi a letto al
buio ascoltando la musica.
Sembrò
a tutti un compromesso intelligente.
L’uomo
iniziò a chiedere ai suoi antagonisti cosa fosse meglio ascoltare.
Uno
di loro disse :
Pink
Floyd, musica delle alte vette, a
quest’ora va bene.
Ma
intervenne subito l’altro dicendo che si, a quell’ora andava bene, ma se ci
vogliamo preparare alla sveglia delle 5.00 è meglio darci un po’ di carica più
ritmica. Rimbalza in testa un’altalena di un certo
Battisti
con i
Mano
Negra, che sono effettivamente due
concezioni diverse.
L’uomo
si impunta. Vabbene cercare sempre la via migliore, ma l’ottimo è nemico del
buono.
“Io
mi sento
Pino
Daniele live alla televisione della svizzera
italiana. Ho in mente quelle immagini di Tullio de Piscopo vestito da
Mazinga
che è tutto un programma”
Alle
5.00 l’uomo fa per alzarsi e una vocina gli dice : “sicuro, che adesso va
bene?”
L’uomo
tira il primo vaffanculo della giornata, certo che questa volta sia
appropriato.
In
cucina mette a bollire l’acqua per il suo caffe’ liofilizzato, figlio
illegittimo di una mancata riparazione della glamorosa macchinetta elettrica da
espresso tipo bar che ancora troneggia rotta sul suo ripiano.
Quando
si ruppe, l’uomo si era chiesto se valesse la pena di farla aggiustare e
ritenne che il gioco non valeva la candela senza che nessun antagonista gli
suggerisse il contrario.
Ragione
per cui la macchinetta, adesso svolgeva il ruolo di totem anticonsumistico
nella sua immobile inutilità. Non aveva potuto buttarla, perché’ era un rifiuto
speciale. Troppo sbattimento rispetto ai vantaggi che in effetti, comunque, non
si palesarono.
Il
caffe’ liofilizzato invece era molto utile, ma anch’esso aveva dovuto superare
la barriera del vaglio sul fatto che fosse il migliore possibile.
L’uomo
aveva dovuto studiare per giorni le scaffalature del supermercato e dopo vari
test empirici era approdato al “Prezzo discount”, constatando di persona che
non c’era nessuna differenza sostanziale che giustificasse i prezzi doppi o
tripli degli altri prodotti.
Orgoglioso
di tanta conquista, mentre aspettava che l’acqua bollisse, andò in bagno a
soffiarsi il naso con la sua carta igienica, anch’essa discount.
Non
si spellò il naso e si disse che anche quella era stata una scelta giusta,
frutto del solito processo di analisi e prove empiriche.
Il
suo lato dove non batte il sole ebbe un piccolo fremito confirmatorio che
l’uomo ascoltò con simpatia.
L’uomo
bevve un po’ d’acqua del rubinetto.
Poi
un goccio di quella con le bolle.
Aveva
ceduto alla tentazione, e non si era astenuto dall’alimentare la catena del
plusvalore dei venditori di acque minerali.
Le
bollicine erano troppo buone
L’acqua
naturale intanto stava iniziando a bollire.
L’uomo
guardava il pentolino che iniziava a dare segni di vita.
Piccole
bollicine iniziavano a muoversi dal fondo.
All’inizio
tutto sembrava casuale, poi, come ogni mattina, l’uomo si trovò a rimirare
quell’incantevole processo con cui le prime bollicine si rivolgevano verso il
centro del pentolino aggregandosi in una colonna che saliva verso la superficie
dove alcune ribollivano per evaporare in quel caos ordinato di vapore, mentre
altre di loro ritornavano alle pareti del pentolino lungo le quali scendevano
verso il fondo per ricominciare il ciclo.
Come
tutte le mattine l’uomo pensò : “guarda che capacità di auto organizzarsi. Ah,
se fossimo così bravi anche noi umani.”
Preparò
l’intruglio di caffe’ liofilizzato e zucchero.
Non
si chiese se lo zucchero e il caffe’
fossero pochi o troppi o giusti.
Sapeva
già da se che erano davvero troppi, riconobbe la stessa forma, schema, che si
riproduceva ogni mattina.
Ma
in quel caso decise che poteva fottersene: caffeina a fottere e zucchero a
strafottere per cercare di dare una sferzata a quel suo risveglio troppo denso
di misurazioni ed equilibri.
Trangugiò
un po’ di caffe’ e si accese la prima sigaretta.
Quella
mattina il pacchetto era di buon umore.
Non
gli augurò di morire sul colpo.
L’uomo
misurò la follia umana, non tanto perché’ permetteva di vendere sigarette,
quanto per il beffardo avvertimento che sembrava proprio una confessione.
Pensò:
“brutto affare quello della remissione dei peccati”.
E
si mise al computer alla ricerca di qualcosa da scrivere che fosse almeno
buono.
Sapeva
già che sarebbe stato un altro giorno sull’altalena di cosa è buono e cosa no.
E
sapeva molto bene che ogni “grande buono” è fatto dalla somma di tante
infinitesimali bollicine di bene.
Per
cui si concentrò e si accinse a fare il pescatore di buoni.
Si
chiese se qualcuno avesse capito che tutto quello che misurava lo misurava non
per risparmiare, quanto per impedire di guadagnare a chi guadagnasse troppo.
Si
guardò con un piccolo brivido di compiacimento e si disse :
“Io
sono Revoluzione”
Una
Farfalla
sta volando distratta alla ricerca di un fiore dal quale succhiare un po’ di
nettare.
Vola
a testa bassa per i prati fitti di fili d’erba senza vedere alcun fiore.
Rimpiange
i tempi in cui era ancora bruco.
Avrebbe
potuto nutrirsi di tutta quell’erba, che non sapeva essere pregna di aquile.
Stranezze
della metamorfosi, che a volte sale e a volte scende.
Il
bruco bruca vegetali, poi diventa pupa che si schiude in farfalla che poi
depone un uovo.
Dall’altro
lato un ermellotta asincrona si fa mangiare, diventa aquila, che scompare tra i
battiti d’ali di una farfalla, sciogliendosi nel tutto e rinascendo erba.
Finalmente
la farfalla vede un fiore, ci plana sopra, succhia il nettare e si dice :”oh,
meno male. Avevo una fame”.
E’
una farfalla particolare.
E’
una farfalla arcobaleno che, quando non deve mangiare, è capace di volare
battendo le sue ali dai colori
arcobaleno
talmente veloce che gli stessi colori ridiventano
luce,
in una metamorfosi cromatica che la rende invisibile a tutti tranne che ai suoi
simili.
Appena
finito di mangiare la farfalla si rialza in volo.
Sente
un certo prurito alla punta delle ali, ragione per cui si guarda intorno.
A
perdita d’occhio tutto attorno a lei, vede un gran mare di farfalle arcobaleno
vorticanti nella forma di luce.
Sente
lo spostamento d’aria che la colpisce da tutte le parti, prima non ci aveva
fatto caso per la fame.
E
mentre sbatte le ali anche lei, si rende conto che ogni volta che sfiora
un’altra ala alla velocità della luce, qualcosa succede altrove in quel mare di
luce.
Per
qualche particolare ragione di cui è costituita, la farfalla riesce a stabilire
dei nessi tra i suoi infiniti battiti e le loro conseguenze su battiti altri,
altrove o altrimenti.
E
altrettanto chiaramente capisce cosa significano quegli spostamenti d’aria che
riceve.
Capisce
che deve volare sincrona con le altre farfalle, e anche che con un piccolo
tocco di ali, può comunicare alla velocità della luce con qualsiasi altra
farfalla del mondo.
Il
tocco rimbalza da una ala a un’altra, rotolando come una palla da tennis su di
un lenzuolo steso in orizzontale, ma istantaneamente.
Inizia
così a mandare messaggi cifrati, in codice, un po’ ovunque perché’ vuole vedere
l’effetto che fa.
Usa
un linguaggio binario. Un battito è uno. Nessun battito è zero.
Ma
le altre farfalle non le rispondono.
Sono
dedite all’attività di essere luce, e non si curano della singola povera
farfalla che gioca.
Un
giorno un uomo percepisce i segnali, con chissà quale diavoleria.
L’uomo
non vede la farfalla ma la sente e inizia a giocare con lei.
Sono
giochi di parole, perché’ essendo la farfalla invisibile, sono gli unici
possibili.
Ogni
volta che l’uomo dice una parola alla farfalla, quella sbatte sulle sue ali e
rimbalza a catena, inarrestabile come il vento, lungo tutto il mare di farfalle
di luce.
Fino
a che non trova una farfalla ferma nel suo arcobaleno a succhiare del nettare,
la parola non si ferma.
Continua
invece a volare passando sopra altre parole e, a volte, sovrapponendosi con
alcune di esse in modo da formare dei piccoli stormi di parole di luce che
alcuni di noi chiamano pensieri.
Questi
pensieri si aggregano lungo il cammino delle singole parole, e siccome
continuano a volare, può capitare che ritornino fino all’uomo di partenza.
L’uomo
non li riconosce con esattezza, perché’ lui ha detto una sola parola, mentre
quella gli è tornata indietro in compagnia.
Però
rimane affascinato dalla possibilità, che sente concreta, che ci sia un nesso.
Addirittura
l’uomo si dice che quel nesso deve essere già infisso nella sua mente,
altrimenti non lo riconoscerebbe. Forse gli è stato sedimentato in qualche
tempo d’altrove mentre giocava con qualche altra farfalla.
Un
giorno l’uomo va a fare la spesa, e si ritrova con il carrello pieno di ogni
ben di dio di lusso che potesse
immaginare.
E’
talmente compiaciuto del suo benessere che lo racconta alla farfalla nei suoi
pensieri.
La
farfalla parla infinitesimali fremiti e dice : “il tuo benessere è malessere di
qualcun altro”.
“Io
lo so perché’ sono fatta per tenere il conto dei miei battiti d’ali e di quelli
che ricevo dalle mie sorelle farfalle”.
“Io
sono fatta per contare ciò che torna indietro.”
“Devi
abituarti a cercare la misura”, concluse.
Le
parole dell’uomo e della farfalla volano tra la luce, e quasi d’incanto l’uomo
inizia a sentire tante voci di bambini.
Uno
di 7 anni dice che quei giocattoli per cani li ha costruiti lui, nella fabbrica
dove fa lo schiavo, che li produce perché’ ha sentito delle voci dire che
qualcuno li avrebbe comperati.
Un
altro racconta di come ha cucito le sue scarpe in quella fabbrica dove lavora
perché’ ha le mani piccole, la quale fabbrica esiste perché’ ha sentito delle
voci dire che qualcuno li avrebbe comperati.
Un
altro racconta che le mani le ha perse con una bomba giocattolo, con il cui
ricavato sono stati comperati schiavi per mandarli in una miniera dalla quale
venisse estratto qualcosa che qualche voce disse che qualcuno avrebbe
comperato.
Fino
a che l’uomo sentì per ultimo il bambino di tutti quei bambini.
“Ogni
cosa che compri senza pensare, fa diventare più ricco qualcuno che continuerà a
fare danni per tutto il mondo.”
“E
tu poi lo guarderai con ammirata invidia per quanto è ricco.”
“Senza
pensare che lo hai fatto diventare tu così ricco.”
“Ogni
cosa che fai, anche altrove fa risuono.”
“Ogni
battito d’ali, provoca qualcosa altrove”.
“Il
tutto è fatto di tanti niente, e i pesi di tanti niente sono capaci di
ammazzare o’ ciucciariello. L’asinello da soma”.
“Insomma
: sei tu la causa del tutto. Di quell’ogni tutto che sempre si rimescola al
tutto.”
“E
tu lo devi capiscere. E io sono qui per fartelo capiscere”,
“La
farfalla sei tu”.
“La
Revoluzione sei tu.”
Dicesi
“terra di sopramezzo” quella particolare porzione di spazio e di tempo in cui
alberga il lato destro di ogni spartizione di casi distribuita secondo
l’archetipico schema ricorrente detto della
normale.
Alcuni
studiosi ritengono che sia anche possibile chiamarla, con una certa sinistra
veggenza, “terra di media a destra del centro”, più brevemente “centrodestra”,
riferendosi a un immaginario processo di osservazione frontale della curva
gaussiana.
Tale
processo di osservazione porterebbe chiunque fosse dotato di una quantità
minima sufficiente di buonsenso, a capire che per eliminare gli estremi della
distribuzione stessa, è sufficiente una semplice operazione di travaso dal lato
destro a quello sinistro.
Con
tale traslazione si otterrebbe il risultato di innalzare la quantità di
presenza di casi nell’intorno più vicino lungo la retta centrale, con una
ridistribuzione per percolasse anche in discesa verso la base, a beneficio di
molti.
Per
una qualche trasposizione di mimetismo semantico, tale operazione di lieve
traslazione a sinistra non viene quasi mai menzionata esplicitamente in termini
politico-sociologici, nell’ambito dei quali si parla invece molto spesso di chi
sta sopra e chi sta sotto.
Ma
nella nostra ipotesi, e probabilmente anche nei dati di fatto, destra sta per
sopra e sinistra sta per sotto.
Da
tale generalistica impostazione deriva il termine di “sopramezzo”, che sta
quindi a significare il territorio che sta al centrodestra rispetto alla media,
anche noto come “Terra della cultura del più”
Se
da tale territorio di centrodestra spostiamo, dunque, i casi estremi a favore
del centrosinistra, otteniamo a parità di media, una più funzionale
distribuzione della quantità che stiamo trattando, qualsiasi essa sia.
Abbiamo,
quindi, una distribuzione più normale. Più funzionale, dove per funzionale
intendiamo, ad esempio, utile al benessere collettivo, senza che ciò crei
alcuno scompenso di massa.
E’
questo il motivo per cui sono in molti a credere che il centrosinistrismo sia
una questione di diritto naturale, e in fin dei conti lo ritengano una cosa
normale.
La
“Revoluzione delle farfalle di sopramezzo” fa quindi riferimento ad un processo
evolutivo che venga alimentato proprio dagli abitanti del sopramezzo, sia per
illuminazione su dette questioni di diritto naturale, sia per questioni di
utilità pratica.
Esiste
infatti una particolare caratteristica della distribuzione gaussiana, che in
certi casi si è già comportata come un sistema a vasi comunicanti.
In
assenza di mediazione attiva esplicita da parte dei centrodestra, vale a dire
in assenza di una volontaria ridistribuzione del di se’ verso il basso, diventa
inevitabile un travaso di casi-soggetti dall’estremo di centrosinistra verso
l’alto dell’altro lato della normale centrale.
In
termini storico-sociologici, detta occorrenza viene chiamata Rivoluzione.
Questa
rivoluzione, è l’esatto opposto sociologico della nostra Revoluzione, e con una
sola singolare
traslitterazione
di una piccola vocale, determina stravolgimenti di portata storica che si
concludono normalmente in malo modo per il centrodestra.
Quindi,
e per concludere, la Revoluzione è responsabilità di chi la può fare, anche per
il proprio interesse.
E
se questo non la fa, reiterando all’infinito comportamenti da “criceto nella
ruota”, il suo omesso rispetto del senso del dovere di natura, verrà pagato a
caro prezzo.
Ed
in fin dei conti, si renderà conto a posteriori di essere stato lui il vero
pazzo.
Una buona definizione del
termine
Ricottaro che
abbiamo trovato in rete è di seguito riassunta.
Vedremo come essa non abbia alcuna
valenza offensiva, quanto piuttosto sia un definizione “constatativa”.
La parola “ricottaro” deriva
quasi certamente e visibilmente da “ricotta”.
E la ricotta è
inequivocabilmente un latticino povero. Potremmo dire “proletario”.
Quella che segue, dunque,e’ una
storia di caseificazione di massa da una certa aura metaforica.
Per
continuare a tal riguardo, è necessario descrivere brevemente il processo di
caseificazione della ricotta(secondo la definizione di Wikipedia), tenendo a
mente l’utilità metaforica della descrizione.
La ricotta, pur essendo un prodotto
caseario, non si può definire
formaggio ma va classificata semplicemente come
latticino:
non viene ottenuta infatti attraverso la
coagulazione
della
caseina,
ma dalle proteine del
siero di latte, cioè della parte liquida che si
separa dalla
cagliata
durante la caseificazione.
Il processo di coagulazione delle
sieroproteine avviene con il riscaldamento del siero alla temperatura di
80-90 °C. Le proteine interessate sono in particolare
albumina e
globulina.
La tecnologia più antica consisteva
solamente nel riscaldare il siero aspettando l'affioramento della ricotta in
superficie.
Nei secoli si sono via via sviluppate
tecnologie che, sfruttando la reazione di saturazione salina, ottenevano un
migliore recupero ed una più alta qualità. Tali tecnologie sono quelle
riconducibili all'impiego di acque sorgive e/o marine ieri, ed oggi sali per
ricotta. Spesso vengono anche aggiunte soluzioni acide (di
acido
citrico, lattico, sale amaro o inglese per catalizzare la coagulazione).
Il metodo tradizionale siciliano, ancora
praticato in alcune piccole aziende agricole dove il formaggio viene preparato
ogni giorno con latte crudo e senza fermenti, utilizza la scotta inacidita del
giorno prima come catalizzatore: il liquido che rimane dopo la produzione della
ricotta viene messo da parte, lasciato inacidire durante la notte e il giorno
dopo una piccola quantità di questo liquido viene aggiunta al siero riscaldato
per produrre la ricotta.
La massa coagulata viene poi posta in
recipienti perforati (anticamente si usavano cestini di vimini o di canne) per
far scolare il liquido in eccesso.
La ricotta ha un sapore dolce, dovuto al
lattosio
presente nel siero in misura variabile dal 2 al 4 per cento, in funzione del
latte utilizzato. Il contenuto in
grasso varia.
Riassumiamo.
Ci sono le proteine del latte,
la caseina (80%), e le proteine del siero (20%).
Riscaldando il latte, si ottiene
da una parte la caseina, che dà origine
alla “cagliata”, con cui si fanno i formaggi, e dall’altra le proteine del siero.
Il siero residuo della lavorazione del
formaggio viene riscaldato a 80-90 °C, temperatura che varia in funzione del
fatto che si aggiunga o meno latte e/o panna. Il siero viene poi acidificato
per ottenere l'affioramento della ricotta.
Spesso, soprattutto con siero di latte
di pecora, non è necessario acidificare.
Quindi,
riscaldando (“cuocendo”) ulteriormente le proteine del siero a 80-90° C, si
ottiene la ricotta cosiddetta da “recoctus”, ricotto.
La ricotta è dunque, per certi
versi, lo “scarto” della lavorazione del latte: un prodotto che si ottiene
senza sforzo.
Per traslato, viene chiamato
“ricottaro” chi sfrutta il lavoro della mignotta, senza fare alcuna fatica.
Su questo punto alcuni ritengono
che ci sia da discutere, innanzitutto,
perché’ per ottenere la ricotta il siero del latte va riscaldato, quindi non è
che proprio non si debba fare alcunché.
Fuor di metafora, il ricottaro,
pur non fornendo direttamente la prestazione sulla quale lucra, deve comunque
sorvegliare che le prestatrici d’opera non corrano pericoli, che non battano la
fiacca, e che non s’imboschino i guadagni. Insomma, passa le notti in bianco anche lui.
Ma è altrettanto incontestabile
che la materia prima, il capitale di funzionamento umano, e la manodopera ce li
mette la mignotta.
Diciamo che il nostro ricottaro,
di norma potrebbe essere assimilabile ad un dirigente del controllo o del
marketing, essendo spesso colui che consiglia sull’abbigliamento, sulla
geolocalizzazione e sulla tempistica ottimale delle prestazioni
dell’imprescindibile capitale umano, adeguatamente istruito su prezzi, tempi e
metodi dei servizi da fornire.
Secondo questa tesi si può
quindi azzardare che il ricottaro viva una sorta di occulta simbiosi con
l’altra sua metà: la mignotta. E tutto sommato è dura anche la vita del
ricottaro.
Nella Napoli del 700, in cambio
della sua protezione il ricottaro aveva diritto a tre vestiti nuovi all’anno, tre accessi settimanali alla
propria protetta, e al pagamento delle spese del vitto, del fumo e
dell’avvocato qualora, nell’ambito dei rischi connessi alla sua attività, fosse
stato arrestato.
Ai giorni nostri, secondo alcune
testimonianze raccolte personalmente, nel nostro mondo occidentale evoluto, il
caso dello sfruttamento della prostituzione è spesso sostituito da un accordo
bilaterale tra le parti con il quale la proprietaria del fattore di produzione
capitale umano, concede lo stesso in usufrutto al ricottaro per un certo tempo,
dopo il quale ritorna nel pieno possesso dello stesso.
Il ricottaro diventa quindi una
sorta di usufruttuario temporaneo dell’impianto produttivo, e viene spesso
aggregato in ulteriori gruppi, o reti, di ricottari, alle dipendenze dei
vertici del terzo settore sommerso.
Le cosiddette cupole, che alcuni
francesizzano in coupòles per darsi una parvenza di tono d’incognito, senza
riuscirvi.
A questo punto, la
concentrazione a rotazione pluriannuale del capitale umano nelle mani di dette
cupole della sommersa parte di terzo settore, determina un costante flusso di
quattrini in ingresso verso detti vertici, il che li rende a tutti gli effetti
capitalisti dotati di sempre maggiori capitale da reinvestire.
Il ciclo diventa autoalimentante
e si reindirizza sempre più verso la finanziarizzazione della sua attività,
stante la crescente saturazione dei mercati di beni reali.
Qualcosa del genere la descrisse
già Marx, ma non parlava di ricottari e di mignotte.
O forse si.
Si, perché’ basta sostituire il
concetto di plusvalore a quello di siero, e vedrete che tutto appare per quel
che è.
Ed ecco che a questo punto
l’analogia tra capitalista, o finanziere, e ricottaro ci pare ben documentata.
E spalanca, tra l’altro ai
portoni della logica questa domanda : “cosa aspettano a legalizzare tutta la
filiera della prostituzione?”
A titolo di cronaca si dice che
il termine “Ricottaro” potrebbe peraltro non avere niente a che fare con la
ricotta.
Secondo alcuni lessicografi
deriverebbe piuttosto da “recòveta”: la raccolta di denaro che si faceva periodicamente
nei vicoli di Napoli per aiutare le famiglie di chi era finito in galera.
Queste “raccolte” erano
sollecitate da personaggi equivoci, che spesso usavano questa formula per
spillare del denaro a chi non era in condizione di dire di no.
Il ricottaro sarebbe dunque un
“raccoglitore” di soldi, guadagnati senza alcuna fatica.
Ma, come vi apparirà chiaro,
cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia.
E’ la proprietà commutativa
delle categorie a priori.
Le puoi calare in qualsiasi
contesto e rendono sempre lo stesso schema.
E il risultato in questione è
che dove si vede che si accumulano troppi soldi, c’e’ sempre all’opera un
ricottaro.
La
Bambina e il Finanziere
B: Che cosa è un finanziere ?
F: Uno che lavora con le finanze, con i soldi.
B: Cosa sono i soldi ?
F: Una cosa che tutti cercano e solo il
finanziere ha.
B: E come hai fatto ad averli ?
F: All’inizio vendevo ricotte prese in un
caseificio dove non le volevano.
B: E poi ?
F: Poi ho comperato il caseificio.
B: E poi ?
F: Poi ho comperato le mucche.
B: E poi ?
F: Poi ho cercato di comperare l’aria che
respiravano le mucche.
B: Ma non si può comperare l’aria !
F: Si, me ne sono accorto, ma prima non lo
sapevo. Pensavo che tutto mi fosse dovuto.
B: Mhhh.. hai tanti amici ?
F: Certo, le mie mucche.
B: Mhhh..tu sei un ricottaro ?
F: Beh, all’inizio io aspettavo solo che
venisse a galla la ricotta. Forse si, sono stato un ricottaro.
B: E adesso ?
F: Adesso sono un capitalista.
B: Mhhh... Mio papà dice che ha ragione la mamma
di Forret Gump. Ogni uomo ha bisogno solo di una certa quantità di soldi e
tutto il resto serve solo a fare i pavoni. E dice che chi ha troppi soldi è
sempre un ricottaro.
F: Io non ho troppi soldi. Ne ho tanti, ma mai
troppi. Posso comperare, e comperare, e comperare.
B: Mhhh : mi sa che ha ragione papà. I ricottari
son tutti pavoni.
Mhhh : lo sai che il mio criceto anche
lui sta sempre a correre, correre, correre ?
Mhhh.: e lo sai che il criceto è un topino e che noi veniamo dalle scimmie che
vengono dai topi ?
Mhhh : e lo sai che….a me mi sembri tanto
un criceto.
F: Ah, beh, grazie tante!
B: Non è un offesa. E’ una constatazione. Ma lo
sai che più cose ti comperi, più riduci la possibilità che le comperi qualcun
altro, e più ci allontani dalla distribuzione di tutte le risorse buona e
giusta per tutti?
F: Ma io cerco solo di raggiungere la
situazione ottima per me.
B: Mio papà dice sempre che l’ottimo è nemico
del buono.
Ma adesso, ascoltando te, capisco meglio
cosa vuol dire.
L’ottimo per te è nemico del buono per
tutti.
Tu non sei una persona cattiva.
Devi solo scendere dalla ruota.
Rendere nel prendere.
Non prendere e poi forse rendere.
Kalimmudda
ipsum dixit
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